Ho saputo quasi per caso della morte di Nunziella. Di lei ho un ricordo antico, degli anni '70, all'Università Cattolica di Roma, dei vari appartamenti che abbiamo condiviso per almeno 7 anni, prima nelle palazzine "studentato" dell'università, poi nel "mitico" appartamento di Via dei Savorelli. Poi mi sono trasferita in Lombardia, siamo rimaste in contatto per qualche anno poi ci siamo perse di vista. La riconosco com'era, nel ritratto di lei che emerge dai ricordi che leggo, intelligenza e sensibilità rare, rigore fino alla severità......Nelle discussioni infinite era lei che alla fine "dettava la linea". Però allora c'era anche la leggerezza, la quotidianità sbrindellata e comica, l'ironia siciliana impagabile, le prelibatezze siciliane che sua madre, donna meravigliosa e bizzarra, ci faceva avere ogni tanto e divoravamo insieme con grandi feste.... e mille altri ricordi. Ciao Nunziella, è stato un grande privilegio averti conosciuta.
Per evitare che la discussione su questo post diventi un confronto sterile, alleghiamo per i nostri lettori le tabelle elaborate sui dati dall’ISTAT, sistema dei Conti della Sanità, che illustrano separatamente per il 2016 e il 2022, per ogni voce di spesa (funzioni), il tipo di finanziamento per l’assistenza sanitaria. In fondo a ogni tabella è indicata la percentuale del totale della spesa spesa non-SSN sul totale della spesa sanitaria. La tabella riassuntiva fornisce l'incremento percentuale del 2022 rispetto al 2016.
Appare chiaro che rispetto ai finanziamenti, non cresce la spesa diretta delle famiglie mentre crescono in modo importante i finanziamenti volontari e le assicurazioni volontarie.
Rispetto alle funzioni invece non cresce la spesa privata nell'assistenza ospedaliera in regime ordinario mentre cresce principalmente in day hospital e nell'assistenza ambulatoriale.
Invitiamo i lettori e le lettrici ad arricchire il dibattito sulla spesa sanitaria del nostro Paese segnalando analisi utili ad approfondire il tema. Per esempio segnaliamo la relazione su "pubblico e privato in sanità" presente nei materiali pubblicati da Laboss 2023 e la sintesi dei vari contributi che potete leggere qui.
Quanto ci addolora la notizia della morte di Nunzia!
Abbiamo avuto modo di lavorare con lei ad un progetto per la stima della BPCO a Brindisi e provincia. Ci lavoravamo con Antonella e Mariangela, ispirandoci ad un articolo che Nunzia aveva pubblicato su e&p qualche anno prima. Le chiedemmo per questo di guidare il nostro gruppo di lavoro. E lo fece. Da par suo.
Cara Nunzia, ti ho conosciuta non nell'ambito del lavoro ma in momenti di tempo libero, ci piaceva andare per mostre e parlare d'arte oltre che di politica...terreno rischiosissimo.
Ti ricorderò non solo per la tua intelligenza che spiazzava, ma in particolare per quella sensibilità delicata e vibrante che un aspetto ed un contegno severi, quasi austeri, non riuscivano a nascondere del tutto.
Spero, ovunque tu sia, che attorno a te ci siano colori, luce e festa autentici.
Cara Nunzia,
saranno sempre belli i ricordi in cui venivi a trovarci da "Le grafiche". A noi mostravi il tuo lato leggero, il tuo umorismo sottile e quando entravi nella nostra stanza per chiedere un supporto mettevi sempre allegria. Ma eri anche profonda, le tue visite andavano oltre il lavoro, sempre la prima a dare una mano se avevamo bisogno.
Ti abbiamo voluto tanto bene e so che anche tu ne hai voluto a noi.
Alligator, cara Nunzia
Cara Nunzia... anzi no, non vorresti che io parlassi ad un "anima" da solida laica quale mi ti ricordo. Parlerò a chi la conosceva ricordando cose divertenti, malgrado la sua immensa serietà. Quando entrai all'OER con una borsa di ricerca ricordo che mi venne "anticipata" come un Babbau, persona dura e difficilmente tollerabile. Ricordo che i primi mesi furono molto duri con lei ma imparai un mare di cose e il modo giusto di farle. Col tempo imparai ad apprezzarla e con il mio compagno di lavoro dell'epoca, Paolo, imparammo a farla sorridere e, talora, anche qualcosa di più. Da lì il lavoro fu tutto facile e in discesa fino alla separazione delle nostre strade lavorative. Mi mancherà, anche se non la vedevo da qualche anno, per la sua onestà intellettuale e mi dispiace non poter dire arrivederci, vista la nostra laicità, ma sono contento di dire che è stato bello.
Sottoscrivo parola per parola. Sono stato per molti "inquilino" della stanza accanto, al quarto piano in via di Santa Costanza. E talora ho ricevuto rimproveri per il mio tono di voce quando eccedevo... ma Nunziella era una donna di una Onestà senza pari, senza sconti, "giacobina", innanzitutto con se stessa. Quando fui vittima di un "torto" doloroso, fu l'unica che si espose pubblicamente per sostenerlo. Mi rimprovero di averla persa di vista, di non aver fatto nulla per lei in questi ultimi anni della sua vita. Nunziella, hai scelto di vivere non nella maniera più semplice, hai evitato ogni scorciatoia. Che un oceano di luce, per citare un tuo concittadino, sia lo spazio della tua nuova vita.
Ciao Nun,
mi dispiace che tu sia morta da sola affogata nel tuo sangue e nel dolore muto
sai che non ho mai creduto nei legami familiari e comunque sia abbiamo avuto radici di nuvole, di niente
sei stata davvero tanto intelligente e anche tanto sola, spero che possa trovare quella pace che non hai mai avuto nei giorni di questa terra
Buona notizia: ciò che si dice, e cioè che il SSN è in crisi e la sanità a pagamento cresce è una falsità! I rispondenti alle varie indagini che dicono che si spende di più per curarsi si sbagliano o imbrogliano. La crescita importante delle assicurazioni malattie è un businnes basato su false credenze, in sanità non c'è nulla di più da assicurare. Pure il MEF ci si mette pubblicando dati che dicono il contrario e non si sa allora perchè li pubblica inducendo così pericolose credenze. I pagamenti in nero a medici, infermieri ed altri operatori non ci sono più, tutti fanno onestamente fattura e tutto viene registrato. Sembra persino che stiano addirittura fallendo le imprese che erogano prevalentemente prestazioni sanitarie non finanziate dal SSN. Insomma non preoccupatevi, non avrete alcun bisogno di ricorrere a prestazioni a pagamento perchè il SSN ve le garantisce con vostra completa soddisfazione nei tempi e nei modi necessari.
Sogno o son desto? svegliatemi per favore ...
Mi perdoni ma come fa a disquisire sull'aumento di qualsiasi cosa, partendo da dati errati? Se si parla di spesa corrente, aumenta anche la spesa pubblica; se si parla di spesa rispetto al Pil, la spesa privata sostanzialemente resta invariata nel tempo; se si guarda alla spesa delle famiglie la spesa sanitaria è rimasta identica; se si analizza rispetto al potere di acquisto è ancora un'altra storia.
Che cosa sta considerando lei? Perchè non è affatto chiaro.
Il fatto che questi articoli riportino TUTTI informazioni errate e letture sbagliate dovrebbe non farci proseguire sulla stessa strada ma, al contrario, utilizzare dati affidabili e interpretarli in modo corretto.
Non è gossip; è la salute degli italiani.
Non è materiale su cui aprire il dibattito del "secondo me". Non è una partita di calcio.
Il modo spiacevole di colloquiare lo ha inaugurato Lei, apostrofando il mio nome e cognome e la qualifica. Chiaramente se anzichè rispondere nel merito, si persevera nell'errore e si continua ad arrampacarsi sugli specchi al punto di dire che nulla valgono le ipotesi di una argomentazione perchè l'importante è parlare di tesi tratte da ipotesi errate, alzo le mani.
Infine lei ha parlato di "aumento del ricorso ai servizi sanitari privati" che non significa accesso privato ai servizi ma significa accesso a servizi privati e non c'è interpretazione che tenga.
Visto che - per formazione - resto convinta che sia possibile partire da dati di realtà non solo in ambito accademico o tecnico-scientifico, ma anche negli spazi di divulgazione, mi auguro, invece, che questa discussione ci porti ad essere più attenti nel formulare le nostre ipotesi.
Perchè argomentare ipotesi errate è un esercizio di stile poco nobile.
Mi dispiace constatare che Lei non desidera colloquiare serenamente senza offendere! mi pare non sia il caso di andare oltre anche perchè ripeto che il mio post non era sulla definizione della misura corretta di spesa privata ma sulle ragioni per la quale la spesa sannitaria NON finanziata dal SSN sta crescendo.
Il richiamo agli articoli dei giornali era proprio per evidenziare come l'argomento sia diffuso e vale la pena ragionarci sulle motivazioni. Questo è un blog e non è un articolo accademico! si parla di argomenti di attualità riferendo idee ed opinioni e non solo "verità" documentate e provate.
Non ho mai parlato poi ovviamente di accesso ai servizi di produttori privati, bensì di accesso privato ai servizi; forse una mia espressione poteva essere equivoca ma vedo il suo gusto nell'enfatizzare ogni eventuale imprecisione.
Quindi non risponderò più nel merito delle cifre della spesa, che non era lo scopo del mio post, ma invito chi voglia proseguire il dibattito a ragionare sul perchè cresce l'accesso alle prestazioni sanitarie non finanziate dal SSN, cioè "grossolanamente", la sanità a pagamento!
Va considerato che nei dati ISTAT (Sistema dei conti della sanità) non si tiene conto della spesa che passa attraverso le forme di sanità integrativa, con premi a carico delle imprese (la parte relativa alle imprese riguarda le sole spese dirette per prevenzione a favore dei lavoratori), plausibilmente quella che cresce di più.
Inoltre il SSN finanzia il privato accreditato.
Bisognerebbe guardare anche i dati dal lato della produzione/erogazione di servizi.
Professore, non è da lei.
Ma stiamo davvero confondendo spesa sanitaria privata con ka spesa per servizi sanitari privati?
Ma come si può immaginare di fare informazione o di aprile a una riflessione se si confonde addirittura la fonte del finanziamento con la natura giuridica dei soggetti erogatori presso cui si acquistano i servizi?
Un paziente può spendere i propri risparmi per rivolgersi a un servizio in intramoenia (ovvero un servizio privato erogato da strutture pubbliche); gli utenti del SSN pagano di tasca propria il ticket (spesa privata che va allo Stato); parte del finanziamento pubblico va a pagare servizi presso strutture private accreditate.
Si tratta di due concetti diversi!
Rispetto ai dati sui quali lei basa la sua analisi, continua a non comprendere la falla: il punto non sono "le voci già presenti nel 2016" ma è la popolazione che non è confrontabile.
Faccia una chiamata alla Ragioneria: glielo spiegheranno sicuramente meglio di me.
Ma è tra l'altro evidente, lampante: come si può pensare a un incremento di quel tipo, anni luce lontano da tutte le altre fonti ufficiali?
Quanto alle fonti da lei riportate, posso solo sorridere: le analisi delle persone della sua statura e con le sue conoscenze dovrebbero servire a fare conoscenza e non ad alimentare la disinformazione.
Ma che fa? Mi cita le fonti secondarie? I quotidiani?
Io le riporto i dati ufficiali e lei mi riporta il link della "Mia partita Iva"?!
Concludo dicendo che se lei avesse voluto davvero aprire un dibattito sulle ragioni degli andamenti della spesa sanitaria pubblica e della spesa sanitaria privata avrebbe fatto un'analisi molto diversa, prendendo in considerazione il PIL, l'inflazione, il potere d'acquisto degli utenti.
Una volta partito da dati di realtà, si sarebbe potuto ragionare sui comportamenti di spesa degli italiani.
E invece si cade sempre nel vizio tutto italiano di urlare forte per richiamare attenzione, anzichè fare cultura e ragionare delle criticità REALI del nostro Servizio sanitario nazionale.
Ma è solo questo blog a ritenere che la sanità privata stia crescendo? qualcun altro ne parla:
https://www.internazionale.it/notizie/laura-melissari/2020/12/09/italia-sanita-privata
https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=110245
http://www.sportellopmi.it/sanita-privata-un-settore-in-costante-crescita/
https://ilmanifesto.it/affari-in-crescita-per-i-colossi-della-sanita-privata
https://gipo.it/blog/strutture-sanitarie/sanita-in-italia
https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=79492
https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=106776
... eccetera ...
Le critiche costruttive sono sempre positive e ben accolte anche quando segnalano eventuali errori nelle analisi presentate, più difficile è accettarle quando la critica è fuori target.
Nel nostro post, dedicato all’aumento della spesa privata in sanità, l’obiettivo non era di quantificare in modo puntuale questo aumento, ma riflettere sulle ragioni che lo hanno determinato. A tale scopo, si è fatto cenno a un panorama di fonti differenti che, pur quantificando in modo diverso la crescita della spesa privata, concordavano nel mostrarne l’esistenza. L’aumento del ricorso ai servizi sanitari privati è registrato anche da più indagini, come ad esempio dai dati della Multiscopo Istat che, per quanto rilevati diversamente dalle altre fonti, non sono certo oggi confutabili.
Nel file qui allegato, che praticamente riprende gli stessi valori già pubblicati nel post, sono riportati i dati come risultano dalla relazione della spesa sanitaria del MEF del 2023 (dati con le sole voci già presenti nel 2016 e dati anche con le voci successivamente aggiunte), dai dati Istat dei Conti della Sanità con l'aggiornamento al giugno 2024, oltre ai dati delle Indagini Multiscopo Istat del 2018 e del 2022. Le differenze tra le fonti erano già esplicitamente evidenziate nel testo del post originario e forse potevano, e forse dovevano, essere più approfondite le ragioni delle differenze.
Spero chiusa questa non piacevole querelle e auspico invece che qualche lettore vorrà commentare, anche magari confutandole, le interpretazioni sulle ragioni di questa crescita della sanità privata, che questo era l'obiettivo del nostro blog.
Professore,
le ho riportato:
- le fonti dei dati richieste
- i dati ufficiali che può verificare direttamente nelle relative fonti
- ben tre valutazioni distinte: quella sul Sistema dei Conti della Sanità, quella OCSE e quella sul Sistema contabilità nazionale
- le ragioni per le quali, invece, i dati da lei riportati nel suo articolo non hanno validità: ragioni che sono riportate dallo stesso Ministero dell'Economia e delle Finanze nello stesso documento dal quale lei li ha estratti.
Consideri che secondo la Ragioneria di Stato i dati da Tessera sanitaria sono incompleti anche nell'ultimo anno di valutazione; si figuri nel 2016.
Non mi sono limitata a criticare: le ho chiarito perfettamente dove risiede l'errore.
Non saprei come altro dimostrarle la non validità delle analisi da lei riportate.
Se i dati che si utilizzano nelle proprie elaborazioni sono di scarsa qualità le analisi peccano di invalidità. È lapalissiano.
Per quanto riguarda il rapporto del 2022, si', è il 26%. Lo 0,4% in più rispetto al 2016 (errore di digitazione, sorry).
Dunque, non si passa dal 20% al 25% come da lei riportato, ma dal 25,6 al 26,0%.
Del resto era perfettamente intuibile dalla Tavola1 che lei stesso ha pubblicato.
Buon lavoro!
Mi dispiace sinceramente che nel dibattito ci si permetta, e ci si limiti, a far critiche impietose come quelle di analisi completamente distorte.
Non ritengo quindi utile riprendere un dibattito che non sarebbe su queste basi sinceramente utile e costruttivo.
Mi limito quindi a chiederle perché 45.862 milioni di spesa sanitaria privata 2023 rispetto al totale della spesa sanitaria di 176.153 ( cifre da lei riportate) sia secondo lei il 24.1% e non il 26,0 % come mi sembra con un calcolo elementare. Forse sbaglio anche nel far le divisioni?
Prof. Cislaghi, le spiego perchè la spesa privata non è aumentata e perchè la sua analisi è completamente distorta.
Mi chiede i dati, eccoli:
dati ISTAT (disponibili su sito web Istat) - sezione "Sistema dei conti della Sanità"
Spesa sanitaria privata (out of pocket + intermediata) = 37.887 (2016); 45.862 (2023)
Spesa sanitaria pubblica= 110.086 (2016); 130.291 (2023)
Spesa sanitaria totale = 147.963 (2016); 176.153 (2023)
Si tratta della spesa corrente.
Pertanto rispetto alla spesa sanitaria totale, la spesa sanitaria privata rappresentava il 25,6% nel 2016 e il 24,1% nel 2023.
Pertanto quello da lei riportato rispetto al fatto che la spesa privata sia passata da un quintp a un quarto è errato.
Lei ha erronenamente considerato i dati tratti dal sistema tessera sanitaria, ovvero dalle dichiarazioni dei redditi precompilate.
Questo sistema si è perfezionato nel tempo, allargando anche la platea di soggetti tenuti alla trasmissione, come spiegato anche dal documento MEF.
Non solo, anche se considera la spesa privata rispetto al PIL (stima considerata in tutte le analisi internazionali) - la fonte qui è Ocse - il valore del 2016 è identico a quello del 2023 (2.2%).
Infine, anche il Sistema della Contabilità nazionale (classificazione COICOP) conferma l'andamento di cui sopra: la spesa sanitaria delle famiglie italiane rappresenta il 3.5% della spesa totale delle famiglie sia nel 2016 sia nel 2022.
Se si vuole salvare la Sanità pubblica bisogna partire dai dati di realtà e analizzare gli elementi realmente critici e non inventare messaggi populisti che nulla aggiungono al dibattito pubblico.
Alice Basiglini, epidemiologia dell’AIOP, l’Associazione Italiana dell’Ospedalità Privata, ci dà una notizia per noi inaspettata, e cioè che la spesa sanitaria privata non sarebbe attualmente cresciuta! Sinora abbiamo pensato il contrario e cioè che la spesa a carico delle famiglie sia cresciuta più della spesa a carico del SSN, e la nostra convinzione, ci viene detto, sarebbe originata da nostre analisi sbagliate. Anche al di là dei dati, pare che siano molti gli italiani che si lamentano di un aumento della spesa sanitaria out of pocket e loro non pensano di sbagliarsi nel pensarlo! Per poter rispondere all'accusa di aver fatto delle analisi sbagliate, sarebbe necessario poter consultare le fonti e i dati su cui tale accusa si basa. Nell’attesa di conoscerle, invitiamo a rileggere i dati di alcune delle fonti quì consultate; le trovate a questo link: https://epiprev.it/6459 (copiate e aprite in Internet).
I dati del Mef parlano chiaro: la spesa sanitaria privata non è aumentata. Sono aumentati i soggetti invianti ovvero i soggetti tenuti alla trasmissione.
Non si possono confrontare due dati due platee completamente diverse?
E' come se un giorno calcolassi il reddito totale in un Paese considerando solo gli over 30 e poi lo calcolassi considerando l'intera popolazione: ovvio che è "aumentato".
Infatti è evidente dalla Tavola 1: la spesa diretta delle famiglie come percentuale della spesa totale è quasi identica dal nel tempo.
La settimana scorsa, dopo averla sognata per tutto l'anno, mi accingevo a trascorrere qualche giorno di vacanza, ospite di amici, in una meravigliosa isola del mediterraneo insieme alla famiglia .dopo un lungo viaggio in nave , appena giunti a destinazione il nostro ospite, che aveva viaggiato con noi, ha iniziato a manifestare i sintomi del covid, peraltro piuttosto preoccupanti, trattandosi di soggetto a rischio per cronicità concomitante. In aggiunta la positività si è acclarata solo quando è stato ripetuto ,su mia p recisa insistenza, un primo tampone negativo (dato lo scarso valore predittivo del test negativo in sintomatici). Conseguentemente, per precauzione, il nostro ospite, frattanto entrato in terapia, è dovuto rientrare con la propria famiglia sempre con un lungo e affollato viaggio in nave e gli altri , rimasti con ben altro spirito sull isola, abbiamo avuto la vacanza rovinata e stiamo da alcuni giorni monitorando le nostre condizioni, comportandoci come una volta usava per i contatti stretti. Morale: dopo mesi di preparativi vacanza rovinata, giorni di ulteriore malattia evitabile per un soggetto già provato da altre gravi patologie, sempre che tutto vada per il meglio , rischio di diffusione del contagio per i passeggeri in nave e apprensione per il nostro stato di salute dovendo tra qualche giorno intraprendere un nuovo viaggio per altre mete e per il quale abbiamo già versato una cospicua caparra.
Personalmente già utilizzo l'abbonamento on line benché da boomer quale sono mi piaccia molto "avere la rivista su carta" di cui tengo tutte le copie sin dal mio primo abbonamento! Ormai però la lettura è solo on line, lettura che peraltro permette a coloro che hanno problemi di presbiopia anche di ingrandire il testo a vista. In ogni caso, ritengo che il valore maggiore dell'abbandonare la versione cartacea sia proprio dovuto al non uso della carta, seppure riciclata... utilizziamo quest'ultima per tutti quegli usi per i quali non vi sono alternative!
Ricevo da in collega questo massaggio : " In ospedale non facciamo più tamponi di screening in PS prima dei ricoveri, tranne che per terapie intensive, oncologia, nefrologia, ematologia.
Praticamente la sorveglianza nei reparti di chirurgia e medicina è azzerata. Io ho avuto contatti con molti covid e in ps sono un po aumentati rispetto ai mesi scorsi."
Un mio collega ha preso l’ultima variante. Quattro dosi di vaccino ed anche l' infezione con il virus *** in forma lieve. Questa volta però il decorso è stato gravissimo ed ha avuto seri problemi respiratori. Età 60 anni. Questa variante può essere pericolosa come la prima Wuhan?
I dati sull’incremento dei contagi devono far riflettere e indurre ad azioni preventive anche se evidentemente non gradite dal governo attuale. Non è previsto purtroppo prima della fine dell’anno l’arrivo dei vaccini aggiornati prodotti da Moderna, Novavax e Pfizer contro la variante JN.1, dominante con le sue “derivate” in diversi Paesi del mondo, Italia compresa, come confermato dal direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Francesco Vaia.
Le persone vaccinate contro le varianti precedenti hanno un livello di protezione sempre più basso quanto più passa il tempo dall’ultima vaccinazione e tanto più il virus cambia nel frattempo. Sulla sua virulenza si è detto molto, con l’opinione predominante degli esperti che l’adattamento del virus al suo ospite selezioni varianti sempre più ad alta prevalenza ma a bassa pericolosità. La selezione naturale porterebbe a far emergere varianti sempre più contagiose ma meno pericolose, che permettono al virus di sopravvivere di più. Su questa opinione solo i dati sui ricoveri e decessi possono portare conferme o smentite.
La percentuale di vaccinati è insufficiente a garantire una immunità di gregge per limitare la diffusione del virus, che sia per le ragioni sopra descritte, sia per l’alto numero di suscettibili presenti può dilagare in condizioni di assenza di misure generali di protezione individuale e in caso di varianti nuove maggiormente infettive.
Le previsioni in questa situazione sono di una esplosione di contagi ad inizio autunno a seguito del rimescolamento di infettati e suscettibili durante l’estate.
Per quanto poco gradito, l’uso delle mascherine e il distanziamento (almeno 2 m da ogni soggetto) sono misure precauzionali da usare soprattutto per i soggetti fragili. Sarà forse inutile ricordare che questo virus determina non solo insufficienza respiratoria, ma anche trombosi in vari distretti, pericarditi e miocarditi, legate alla proteina spike e pertanto possibili, pur se in numero estremamente più basso, anche nei soggetti sensibili vaccinati con espressione della stessa proteina. E in questi casi permane il rischio di complicazioni mortali. Questo lo differenzia nettamente dal virus influenzale a cui molti vorrebbero assimilarlo.
L’assenza di comunicazioni governative sui media sul fenomeno in atto amplifica le possibilità epidemiche, e pertanto la strategia comunicativa attuale limitata solo agli addetti ai lavori non può essere condivisa dalla comunità scientifica.
Ai dati ed agli appelli che il professor Cesare Cislaghi condivide, dando un importante contributo di divulgazione, propongo di affiancare un invito ad avere attenzione alla sindrome multisistemica a lungo termine conosciuta come Long Covid, o come Post Covid Condition.
Il 22 maggio 2024, a Roma, nell' Istituto Superiore di Sanità si è tentuto un convegno dal titolo "Analisi e strategie di risposta a lungo termine dell' infezione Covid 19 (Long Covid)". Di seguito il video delle interviste ad alcune delle relatrici e dei relatori, esperti italiani ed internazionali: https://www.youtube.com/watch?v=0C2SCkOrDkY
Il long covid può colpire il sistema cardiocircolatorio, il sistema nervoso, il sistema immunitario, ed essere seriamente debilitante, tanto da rischiare di diventare, in una percentuale di casi, invalidante. L' organizzazione Mondiale della Sanità vi ha dedicato vari report (ad uno degli ultimi ha partecipato anche l' Italia), i mass media negli U.S.A. ne parlano periodicamente da anni, il The Guardian vi ha dedicato un' intera sezione del sito, in Germania il Ministro della Salute ha annunciato pochi mesi fa uno stanziamento di 80 milioni euro per la ricerca sul Long Covid. Le stime delle persone sofferenti di Long Covid, divulgate anche nel convegno di Roma, sono preoccupanti, ma non sono aggiornate agli ultimi due anni, dunque occorrono dati recenti per fare informazione in modo preciso e attuale. Penso si possa dire che molti medici ed esperti internazionali affermino, ed abbiano pubblciato articoli, in cui si dice che anche chi, dopo aver contratto più volte il covid, senza aver mai subito alcun effetto long covid, ad una nuova reinfezione rischia di soffrire di effetti a lungo termine. Difficile trovare al momento delle stime affidabili di quale sia in termini percentuali il rischio di soffrire di long covid legato alle reinfezioni covid. Tuttavia, pur in assenza di stime precise, che esista tale rischio dovrebbe essere portato a conoscenza della popolazione, considerando che, con il nuovo aumento di contagi, nei prossimi mesi è probabile che le reinfezioni covid saranno elevate. I medici in Italia hanno potuto seguire una formazione sul Long covid. Purtroppo finora, in assenza di biomarcatori, è possibile fare solo una diagnosi differenziale, ossia, una volta eseguiti tutti gli esami ed analisi possibili, ed escluse altre patologie, alcuni sintomi possono essere ricondotti al long covid. Fare una diagnosi è dunque difficile, ma possibile. In alcuni Paesi si discute da tempo, anche nei Parlamenti, di sostegni economici per chi soffre di Long Covid in maniera invalidante. Inoltre molte persone potrebbero soffrirne senza sapere che si tratti di Long covid, perchè varie sintomatologie cardiologiche o neuropatiche o di altri sistemi sono sovrapponibili ad altre malattie e patologie. Una divulgazione di approfondimenti sul Long Covid sarebbe molto utile, e sarebbe da fare il prima possibile
I segnali non sono incoraggianti, perché a parte le voci di Cislaghi, Vannucci e Tartaglia su questo blog e quelle di Geddes da Filicaia e Maciocco su Salute Internazionale, poche e deboli sono state le manifestazioni di sorpresa, stupore, dissenso all'ipotesi di chiudere l'ARS della Toscana.
Non entro ovviamente nel merito degli aspetti tecnico-scientifici che questi autorevolissimi epidemiologi hanno già toccato: desidero solo manifestare tutto il mio sostegno a favore di ogni iniziativa volta a mantenere l'attività di una così prestigiosa istituzione pubblica indipendente ed aggiungere un modesto contributo, frutto della mia esperienza personale.
Sono un clinico, un cardiologo, che appena pensionato dal Servizio Sanitario Nazionale è stato chiamato dall'allora Direttore di ARS Francesco Cipriani – e poi confermato dal suo successore Andrea Vannucci - a collaborare gratuitamente con ARS al fine di studiare i percorsi diagnostico-terapeutici dei cittadini toscani affetti da cardiopatie con particolare attenzione alla continuità ospedale-territorio ed all’impatto dei modelli organizzativi sugli esiti di salute. Sono stati anni molto fecondi, caratterizzati anche dalla pubblicazione di articoli scientifici su riviste internazionali, frutto di quell’incontro felice tra professionisti con formazione differente, dalla statistica all’economia, dalla sociologia alla medicina. Non ero certo il solo, altri clinici provenienti da aree diverse della Medicina erano presenti nella sede di ARS ed era un piacere incontrarsi e scambiarsi idee, da cui poi scaturivano spunti di ricerca e di miglioramento delle tante banche dati di ARS.
Poi, dall’oggi al domani, questi contratti di collaborazione gratuita sono stati aboliti senza suscitare particolari reazioni. Certo, ora è in gioco ben altro, e proprio per questo ho sentito il dovere morale di dire la mia. “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”: invece no, dobbiamo continuare a “dimandare” al Potere…l’alternativa è finire bolliti come la rana.
Sono molto d'accordo con le considrazione di Cesare Cislaghi e Andrea Vannucci sul ruolo delle agenzie regionali nell'attuale sistema sanitario. Svolgono una funzione fondamentale, soprattutto quando non sono organismi che rispondono solo alla Giunta ma anche, ed è il caso dell'Agenzia Regionale di Sanità Toscana, al Consiglio Regionale, rendendo accessibili dati e documenti prodotti a Comuni e cittadini. Abbiamo sempre più bisogno di organismi tecnico-scientifici pubblici che siano messi in grado di svolgere una informazione così delicata con un ruolo di maggiore terzietà. La questione inoltre non riguarda solo le agenzie regionali di sanità ma anche i centri per la gestione del rischio sanitario e sicurezza del paziente, istituiti dalla legge 24/2017. Tali centri hanno nella maggior parte dei casi trovato la loro collocazione non solo funzionale ma anche fisica all’interno delle regioni. Trasferire organismi tecnico-scientifici o di governo clinico (centri gestione rischio sanitario) all’interno di una istituzione politica-amministrativa non può che influenzarne negativamente l’attiva, per varie ragioni: la visione burocratico-politica di qualsiasi problema tende molto a influenzare e limitare la ricerca e la valutazione della performance delle strutture sanitarie, basate su presupposti culturali e competenze differenti; gli organismi tecnico scientifici hanno inoltre bisogno costante di stimoli culturali in genere meno presenti in contesti con funzioni amministrative.
Nella mia personale esperienza il Centro gestione rischio clinico, che ho diretto per quindici anni, ha trovato il suo maggior sviluppo quando è stato collocato, dopo alcuni anni trascorsi in Regione Toscana, nello stesso edificio sede dell’Agenzia Regionale di Sanità e dell’Istituto Regionale Programmazione Economica. Il contesto culturale in cui ci siamo trovati ha comportato per tutti noi una maggior indipendenza e possibilità di confronto con altri operatori sanitari mentalmente più vicini al nostro modo di operare. Per dirla in termini sociologici, credo si tratti di un problema di prossemica ovvero dell'uso che le varie culture fanno dello spazio e dell'interazione comunicativa interpersonale.
Il fatto di essere rimasti dipendenti di una azienda ospedaliera-universitaria, ci ha però continuato a creare problemi di altro genere relativi alla nostra funzione di analisi degli eventi sentinella. Rispetto ai dati che pubblicavamo e alle inchieste che svolgevamo sugli incidenti (sempre in una ottica di “just culture”), il Consiglio Regionale ritenne di approvare all’unanimità una mozione in cui si chiedeva la nostra trasformazione in authority regionale. Ovviamente la Giunta non ha mai preso in considerazione questa indicazione anche se sottoscritta da tutti i consiglieri regionali. Ho provato in altre occasioni a chiedere un ruolo di maggior terzietà, come del resto ha anche la Scuola Superiore Sant’Anna nella valutazione della performance delle aziende sanitarie, ma senza successo. Oggi sembra che anche il Centro Rischio Clinico sarà trasferito in Regione Toscana. Riccardo Tartaglia Già direttore del Centro Gestione Rischio Clinico della Regione Toscana
Il SSN disegnato dalla legge 833, i cui valori sono universalismo ed equità, va aggiornato in considerazione dei cambiamenti della società e della evoluzione della medicina che hanno caratterizzato gli ultimi 30/40 anni.
Un Sistema Sanitario gratuito per gli indigenti e compartecipato da tutti gli altri cittadini significa andare verso il modello americano che certamente non garantisce l’equità dell’accesso e produce disastrose rinunce alle cure.
Il finanziamento del SSN deve essere posto a carico della fiscalità generale impostata su aliquote progressive tarate sulla capacità contributiva rispetto al reddito. Il che risolve alla radice la questione del costo sanitario in base al reddito.
La ripartizione del FSN deve avvenire utilizzando gli indicatori epidemiologici oggi disponibili grazie all’investimento PNRR in tema di centralizzazione dei dati sanitari contenuti nel FSE: il fabbisogno di cure soddisfa tutti i criteri previsti dalla legge non solo quello della incidenza della popolazione anziana.
Credo che per affrontare le criticità del SSN sia necessario intervenire sul modello organizzativo, poiché le Aziende Sanitarie, finanziate dalle regioni di fatto rispetto al solo pareggio di bilancio, non rispettano la ripartizione prevista per i tre macrolivelli : Prevenzione 5%, Ass. Ospedaliera 44%, Ass. Territoriale 51%. Con il risultato di sottofinanziare la Prevenzionee l’Assistenza territoriale per garantire prioritariamente e prevalentemente la spesa ospedaliera: ospedali non strategici finanziati a scapito di quelli strategici ( costo garantito a prescindere dalla produzione) e assistenza territoriale insufficiente e inefficiente.
Una soluzione potrebbe essere quella di attribuire ad un’unica Azienda Regionale la gestione della rete ospedaliera, con vantaggi per gli approvvigionamenti, la gestione del personale e gli investimenti tecnologici. Una Azienda Ospedaliera Regionale favorirebbe la organizzazione di Dipartimenti Ospedalieri Regionali che potrebbero allocare le risorse (medici, infermieri, tecnici di radiologia, ecc.) in modo dinamico: risposte assistenziali in ragione dei bisogni, utilizzo di tutte le sale operatorie da parte di equipe formate utilizzando tutti i professionisti disponibili e garantendo, in tal modo, una reale formazione continua.
Questa soluzione consentirebbe un controllo centrale capace di rilevare criticità e incongruenze e conseguentemente intervenire a tutela dei diritti di tutti gli utenti regionali e non.
Le lunghe liste di attesa e il ricorso al PS anche per interventi non urgenti dimostrano che vi è la necessità di un cambiamento radicale dell’Assistenza Territoriale. Servono ambulatori di medicina generale attivi 24/24 ore, nei quali un team di medici generalisti assicuri l’assistenza a 10/15 utenti, iscritti non più al singolo medico, con la possibilità di richiedere per appuntamento una visita ad un singolo medico. L’ambulatorio deve garantire le visite specialistiche in loco o, in ragione dei volumi programmati, anche presso gli ospedali e soprattutto la prenotazione diretta degli approfondimenti diagnostici. I medici potrebbero essere remunerati come gli specialisti ad ore e per le prestazioni domiciliari. In considerazione dell’importante turn over in atto e previsto per i prossimi due anni, questo è il momento più favorevole per il cambiamento organizzativo della medicina generale, senza sconvolgere le abitudini dei medici prossimi alla pensione.
Anche per l’Assistenza territoriale una sola Azienda Territoriale Regionale alla quale fanno capo i Distretti socio-sanitari.
L’intramoenia deve essere svolta solo nelle strutture pubbliche o private di appartenenza e deve prevedere a carico del richiedente la sola tariffa professionale o di equipe, mentre all’Azienda va contabilizzato il DRG o la tariffa nazionale con il FSR. No a stanze a Pagamento. Per le strutture convenzionate valgono le stesse regole del pubblico e la gestione delle prestazioni attraverso il CUP. I medici pensionati non possono essere assunti o svolgere consulenze nelle strutture convenzionate.
Le strutture private devono rispettare i requisiti generali previsti dalla normativa nazionale e operano al di fuori del SSN e conseguentemente dell’accreditamento.
Cosa manca alle interessanti riflessioni e interrogativi del Prof. Cislaghi? A mio modesto avviso una più dettagliata analisi del ruolo del fattore definito imprenditoriale già nella sua prefazione del marzo 2024 ( cito: L'imprenditoria italiana ha individuato nel settore sanitario una crescente possibilità di sviluppo. Sono sorti diversi ospedali privati, diversi centri diagnostici e laboratoristici, si è sviluppato soprattutto il settore assicurativo integrativo che ha permesso a molti di accedere alle prestazioni erogate privatamente ).
Gli interrogativi posti in questo ultimo intervento nel capoverso “Pubblico o Privato, nella tutela e/o nella produzione?” poi, presuppongono l’abbandono dei postulati principali espressi dalla 833. La tutela della salute non è solo una funzione ma un dettato costituzionale. Già il modello Lombardo formulò la tesi della funzione come pubblica anche se svolta da privato. Ora nella nuova legge regionale, la Lombardia ha decretato l’equivalenza. (Legge Regionale 30 dicembre 2009 , n. 33 art 2 Principi b) scelta libera, consapevole e responsabile dei cittadini di accesso alle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, per il percorso assistenziale di prevenzione, di diagnosi, cura, assistenza, presa in carico e riabilitazione, in un’ottica di trasparenza e parità di diritti e doveri tra soggetti pubblici e privati che operano all’interno del SSL che, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale recante “Modifiche al Titolo I e al Titolo VII della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)”, devono garantire agende dedicate per il percorso di presa in carico del paziente cronico e con fragilità;b bis) equivalenza e integrazione all’interno del SSL dell’offerta sanitaria e sociosanitaria delle strutture pubbliche e private accreditate, garantendo la parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori di diritto pubblico e di diritto privato e promuovendo l’applicazione dei CCNL di riferimento sottoscritti dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative;). Al di là delle dispute giuridiche, qui non opportune, l’intenzione insita nella norma è affermare che la tutela della salute possa essere svolta da strutture private, indipendentemente dalle loro finalità. La definizione generica “privato” adottata non vuole, intenzionalmente o meno, affrontare la natura e lo sviluppo di cosa è il privato e la sua evoluzione negli ultimi anni. La crisi fiscale degli Stati, la diminuzione drastica del prelievo fiscale, l’ampio ricorso al debito (con crescita degli oneri finanziari ecc.) di fatto determinano un’asfissia cronica riparata a stento anno per anno. I sistemi sanitari con terzo pagante finanziato dalla fiscalità sono tra quelli più in sofferenza (salvo quelli scandinavi). Ad esempio, se si analizza la composizione della spesa sanitaria, nel tanto lodato sistema tedesco Bismark, la componente di finanziamento a carico della fiscalità è solo del 11%, in Francia del 4% con assicurazione obbligatoria rispettivamente del 75% e 81%. Sempre, partendo dal dato tedesco di una spesa pro-capite di circa 8000 euro, circa 6000 euro (500 mensili) sono forniti e aggiornati costantemente per coprire i rischi con polizze assicurative offerte da circa 200 fondi locali e nazionali (con elevati costi amministrativi). I contributi sono ripartiti a carico sia dei datori di lavoro sia dai lavoratori stessi (57%). Tra i valutatori della resilienza temporale dei due sistemi e della loro ibridazione) Il dibattito infuria e a volte riemerge. Certo è che l’Italia, con l’handicap della popolazione più anziana in crescita in Europa, non ha certo il reddito medio per permettere a una famiglia di sopportare questi livelli di contribuzione. Non a caso la spesa privata (registrata), come per la copertura assicurativa integrativa volontaria e aziendale è tripla in Lombardia rispetto alla Calabria (che detiene il record negativo reddituale regionale europeo). Già ora la parte di popolazione avente una copertura assicurativa integrativa non è quella più esposta a rischi sanitari catastrofici e in una specie di assistenza inversa riceve quote di spesa sanitaria aggiuntiva tramite la defiscalizzazione. Grazie anche a queste scelte governative passate e attuali, è avvenuto, silente, il processo di concentrazione dell’offerta assicurativa ramo malattia. I quasi attuali 20 milioni di coperture assicurative di fatto non sono più gestiti dai circa trecento fondi, ma ampiamente riassicurati da pochi Gruppi assicurativi nazionali ed internazionali. Viene generato un flusso continuo finanziario che oltre a determinare diritti di accesso differenziati, fa crescere l’accumulazione finanziaria e la sua concentrazione.
L’altro fattore esterno influente, non considerato dal Prof. Cislaghi, forse il più dirompente e destabilizzante, è la crescita degli investimenti finanziari nella sanità, a fini di profitto o di rendita finanziaria. L’ultimo rapporto Mediobanca di maggio è illuminante della situazione Italiana. Capisco coloro che immaginano e si immagino di vivere in una Free Zone sanitaria, nella quale ogni considerazione economica sia bandita e rifuggita, ma a decorrere dalla Grande Crisi del 2008 ed anche prima, ingenti capitali finanziari hanno scelto di dirottarsi nei settori sanitari e assistenziali. Alla privatizzazione sanitaria di fine secolo ( vedasi Lombardia in primis) è subentrata l’onda d’urto della finanziarizzazione, ossia l’acquisizione e il controllo da parte delle società finanziarie di settori produttivi. Nel settore sanitario, assistenziale ecc. è avvenuto in crescendo. Singolare che in Italia non sembra avere destato nessun allarme ma molti silenzi con l’assenza di studi accademici con questo oggetto di studio. In Europa, mentre su autorevoli riviste a noi note (Lancet ecc.), sono apparsi studi e ricerche per rispondere ai quesiti: il tipo di proprietà e i fini gestionali determinano diversi livelli di qualità assistenziale? i processi di concentrazione e ristrutturazione proprietaria, la commercializzazione di intere catene assistenziali ecc. quali effetti ha sui sistemi sanitari statali e regionali? Ad esempio, nella Lombardia di Zocchetti, dove in un territorio altamente abitato, come Milano e d’intorni un Gruppo internazionale ha un controllo dell’offerta delle diagnostiche (RMN), il suo potere di mercato controllerà l’accesso, alias liste di attesa in buona parte. Vengono così a crearsi sottosistemi sanitari autonomi con strategie indipendenti di occupazione territoriale, totalmente indipendenti da ogni programmazione pubblica di garanzia dell’equità di accesso e di fruizione. Sistemi con elevata disponibilità di finanziamenti, indispensabile per il balzo e l’ammodernamento tecnologico. I dati di questa attività da parte del privato, soprattutto ambulatoriale, sono ignoti sia per la parte fornita finanziata dal SSN, sia quella remunerata dai paganti in proprio o coperta da polizze individuali e collettive. Agenas stessa non ritiene rilevante la distinzione. Tantomeno il Ministero della salute. I flussi informativi obbligatori rimangono insabbiati nel fantomatico NSIS, o rappresentati sinteticamente da AGENAS. Per non parlare dell’anagrafe dei Fondi “integrativi” solo ora con qualche maggiore registrazione. Cecità pubblica voluta accompagnata da rapporti istituzionalizzati tra Agenas e AIOP che generano analisi secondo cui il peso medio DRG rappresenta la complessità della casistica non il suo costo ponderato. Analisi da cui risulterebbe che gli Ospedali privati trattano una casemix più complesso ecc. E’ vero? Mi scuso per questo intervento “economicista” con il Prof. Cislaghi a qui rinnovo stima e grande apprezzamento per i suoi interventi e studi.
Alcuni riferimenti bibliografici:
Ana Carolina Cordilha “Public Health Systems in the Age of Financialization Lessons from the Center and the Periphery” 2023
Chiapello, E., 2020. "Financialization as a Socio-Technical Process", in: Mader, P.rtens, D., Zwan, N. van der (Eds.), The Routledge International Handbook of Financialization. Abingdon and New York: Routledge. pp. 81-91.
Bayliss, K., 2016. "The Financialisation of Health in England: Lessons from the Water Sector". FESSUD Working Paper Series,131.
Batifoulier, P., da Silva, N., Domin, J.-P., 2018. Economie de la Sante. Malakoff (Hauts-deSeine):
Armand Colin.Assa,J. and Calderon, M., 2020. "Privatization and Pandemic: A Cross-Country Analysis of covrn-19 Rates and Health-Care Financing Structures", The New School for Social Research Working Papers, 08/20.
Streeck, W., 2013. "The Politics of Public Debt: Neoliberalism, Capitalist Development, and the Restructuring of the State". MPIJG (Max Planck Institute for the Study of Societies) Discussion Papers, 13/7.
Lapavitsas, C., 2011. "Theorizing Financialization". Work, Employment and Society, 25(4), pp. 611-626.
Grazie, Cesare, per le tue considerazioni e i molteplici interrogativi che suscitano ulteriori riflessioni. Mi trovavo anch'io pochi mesi fa a riflettere su questi stessi temi, durante la stesura di un capitolo del mio libro "Curare la sanità. Per una nuova politica della salute". Mi sembra che le considerazioni che seguono possano accompagnarsi utilmente alle tue. La crisi attuale è legata soprattutto al modo in cui sono stati interpretati i problemi della sanità. Essi sono stati confusi con questioni legate all'organizzazione e al funzionamento dei servizi sanitari. Non sono stati inquadrati in una prospettiva sistemica. Vengono attribuiti a un deficit di efficienza, risolvibile tramite gli strumenti dell'economia di mercato. Sulla base, invece, di una diversa interpretazione, i problemi possono essere rappresentati in altro modo: ci troviamo di fronte a un continuo incremento di bisogni sanitari percepiti, senza che sia stata escogitata una strategia politica adeguata ad affrontarli. Questa strategia non può ridursi all'efficienza e all'aggiornamento incrementale del repertorio di farmaci, interventi e dispositivi medici e chirurgici. Seguendo questa strada si rischierebbe, oltre tutto, di violare altri diritti che concorrono, a loro volta, al benessere complessivo. Una nuova strategia per affrontare la crisi deve nascere dall'analisi approfondita di tutto ciò che influenza la salute e la qualità della vita. Il problema della sanità consiste, quindi, nella rinuncia attuale della politica ad affrontare con un approccio sistemico la questione della salute nel suo complesso, facendo leva su prevenzione, priorità e appropriatezza. La sanità si trova di fronte a un bivio. Può smarrirsi nell'immenso mercato dei beni di consumo, rivaleggiando con gli altri settori economici e lasciandosi dominare dal profitto. Oppure può risorgere a nuova vita, rinnovando la sua tradizionale ispirazione umanitaria e utilizzando al meglio le risorse della scienza e della tecnologia. E' questa la strada da percorrere. Lo scopo della sanità non è, infatti, creare profitti per una élite minoritaria, ma promuovere e tutelare la salute, tenendo conto dei vincoli di compatibilità economica. Va intesa come un elemento essenziale di un sistema di sicurezza sociale. A questo fine occorre puntare, oltre che sulle competenze più tecniche del personale sanitario, sulla statura morale dei diversi professionisti, affinché perseguano, prima di tutto, i guadagni di salute di cittadini e malati. La fede spropositata nel mercato, anziché risolvere i problemi della sanità, li ha acuiti perché crea falsi bisogni e ingigantisce quelli esistenti. Nonostante questo, si continua a credere che il mercato sia il migliore strumento regolatore nella distribuzione dei beni e dei servizi. Lo si crede anche relativamente a settori che, per la loro natura, non gli appartengono, dal momento che non riguardano bisogni di tipo individuale, ma bisogni sociali, come la salute o l'istruzione. Tuttavia, è difficile ridimensionare il ruolo del mercato e rafforzare quello dello Stato, puntando sui saperi propri della sanità pubblica, che hanno adottato, nel tempo, una concezione sistemica del benessere. Il benessere fisico, psicologico e sociale emerge come esito dell'impegno di ogni settore della società, dell'economia e del lavoro, in sinergia con tutti gli altri, affinché la gente stia bene, si senta sicura e venga curata tutte le volte che diventa necessario. Nonostante i vantaggi legati a queste prospettive sistemiche, l'intervento pubblico continua a essere osteggiato, in nome della libertà individuale. La sanità pubblica ha pochi simpatizzanti, perché si interessa di ciò di cui la popolazione ha bisogno, non di ciò che desidera l'individuo. I suoi benefici, inoltre, non sono immediati, ma si proiettano nel futuro, in contrasto con la moda del tutto e subito. Essa, per di più, viene messa in cattiva luce perché si oppone a potenti interessi economici: basti pensare a quelli legati all'alcol, al tabacco, all'industria farmaceutica, a quella agro-alimentare e del gioco d'azzardo. Contro i suoi provvedimenti si insinua, ad arte, la minaccia dello Stato "etico", ogni volta che si cerca di condizionare favorevolmente i comportamenti individuali, dall'obbligo delle vaccinazioni alla tassazione delle bibite zuccherate. Ci sono anche altri ostacoli che si oppongono a una riforma radicale del sistema sanitario. E questi sono i più difficili da superare. Esiste la difficoltà di smantellare una rete fittissima di interessi consolidati in decenni di relazioni affaristiche. Quanto tutto ciò giovi effettivamente al malato, completamente ignaro di essere ormai diventato una pedina in una complicatissima rete di interessi, sembra preoccupare troppo poco la politica. Ma, così, si stanno completamente snaturando le professioni di aiuto, perché il criterio decisionale delle varie scelte non si basa più sul bene del malato, ma sull'interesse dei vari "erogatori". La crisi della sanità è eminentemente etica. C'è qualcosa di radicalmente sbagliato in tutto questo. La politica deve dar prova di riconoscerlo. Si tratta di non tradire un principio molto semplice: la sanità deve giovare prima di tutto ai cittadini e ai malati. In conseguenza dei benefici che arreca, essa è perfettamente in grado di giovare a numerosi altri attori del sistema sanitario. Non è uno scandalo, infatti, che, grazie alle utilità che procura, possano riversarsi sostanziali vantaggi anche su industrie, istituti, società, ospedali e professionisti. Non deve, invece, più accadere che, per saziare l'avidità di qualcuno, medicina e servizi non solo perdano di vista il bene del malato, ma finiscano, talvolta, per fare consapevolmente il suo male.
Grazie per aver riportato all’attenzione anche il tema della motivazione legata agli utenti.
Accanto alla sempre maggior attenzione degli italiani nella gestione della propria salute, si affianca una sempre maggior sfiducia nei confronti del SSN. Un’indagine svolta in Italia da Engage Minds HUB su un campione rappresentativo di italiani (https://engagemindshub.com/engagement-monitor/) riporta infatti che il 51% degli utenti non si fida del SSN e questo è maggiormente vero per le regioni del Sud Italia. La metà degli intervistati considera i medici del servizio pubblico poco competenti e non si fida delle diagnosi ricevute, ma il principale problema rilevato (da 9 italiani su 10) è proprio quello legato ai tempi di attesa, per una prima visita, per esami diagnostici o di controllo, o per un eventuale intervento.
Questa scarsa fiducia nel SSN è però accompagnata da una sfiducia generalizzata nella scienza e nelle istituzioni in generale. Lo scarso livello di “health literacy” della popolazione e le difficoltà nella comprensione delle informazioni relative alla salute di sicuro non aiutano.
In questo contesto è sicuramente necessario coinvolgere la popolazione più dal basso, cercando di fare capire i vantaggi del SSN e quali sono i potenziali effetti collaterali di un sistema su base privata.
Grazie Cesare per l’analisi estremamente articolata ed interessante che hai fatto!
Le domande e gli spunti di riflessione che poni sono tanti ed è difficile immaginare una soluzione al problema o avere un’idea precisa degli interventi necessari. Di seguito ti riportiamo alcuni spunti di riflessione che ci sembra utile sottolineare.
Sicuramente la situazione richiede una riflessione approfondita anche dal punto di vista demografico. Nei prossimi 10 anni si prevede una riduzione della popolazione italiana del 3%. La riduzione interesserà le classi di età più giovani, ma si osserverà un aumento del 20% della popolazione 65+ e del 23% della popolazione 85+ (Fonte ISTAT). Ancora più difficile quindi immaginare che il SSN attuale possa venire incontro alle future necessità di una popolazione ancora più bisognosa di assistenza a tutti i livelli. Pensiamo per esempio quanto questo invecchiamento potrà comportare in termini di aumento di popolazione cronica e multi-cronica. Lo sforzo da fare è quindi anche quello di proiettare le attuali necessità ad un prospettiva futura (non troppo a dire la verità, perché parliamo solo di 10 anni).
L'ideale sarebbe mantenere un sistema sanitario universalistico ed equo, in cui non ci sia bisogno di ricorrere al settore privato per ottenere cure adeguate. Come epidemiologi il nostro compito è quello di stimare i bisogni della popolazione, ma anche di valutare l’assistenza sanitaria che viene offerta. È molto importante, però che la valutazione della performance venga sempre affiancata ad un’analisi dell’equità. Il miglioramento medio delle performance ospedaliere, per esempio, non basta se non è accompagnato anche da una riduzione dell’eterogeneità di tali performance per struttura ospedaliera, per area di residenza, per titolo di studio, per livello socioeconomico o per genere del paziente. Molto più complesso è valutare quali cure non sono state garantite adeguatamente a livello di popolazione.
Per tutti questi motivi l’Associazione Italiana di Epidemiologia sta da tempo ragionando sul contributo che l’epidemiologia può offrire a supporto dell’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale, avviando un percorso di discussione e ricerca che possa contribuire a evidenziare potenzialità e limiti del Servizio Sanitario Nazionale in termini di copertura, di equità e in relazione ai bisogni attuali e futuri della popolazione.
Infine, la questione dell’accesso ai dati è di particolare rilievo attualmente ed è certamente auspicabile che si possa definire al più presto ed in maniera chiara limiti e possibilità di accesso in ambito di ricerca sanitaria ed epidemiologica. È, infatti, di recente pubblicazione la modifica al Codice privacy e ricerca epidemiologica (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/10015453#1) che alcuni colleghi e colleghe dell’Associazione stanno già seguendo.
Commentare i temi proposti da Cesare non è facile anche perché sono tanti.
Ma accetto la richiesta ed ecco le mie idee. Basate su esperienze maturate in anni di lavoro in vari settori sanitari , anche se non tutti.
Cerco di toccarne qualcuno
Facendo il master in gestione aziendale per direttori di asl ero stato colpito dalla lezione sull’autonomia differenziata in particolare relativa alla spesa sanitaria delle regioni.
La docente, famosissima ed ex ministro, aveva spiegato la vicenda con una metafora.
Quella di un papà che stanco di pagare ogni momento le spese dei figli (si dice a piè di lista) decide di istituire una paga mensile a cui i figli si devono adattare e oltre le quali non devono chiedere nessun extra (tranne casi eccezionali) in modo tale da responsabilizzarli ed insegnare loro a gestire oculatamente le risorse economiche disponibili.
Idem lo Stato decise il finanziamento per la spesa sanitaria delle regioni sulla base dei LEA minimi da garantire a tutti, con l’accordo che non ci sarebbero stati altri finanziamenti oltre alla cifra pattuita e che le regioni erano libere di adattare il loro sistema sanitario (la devolution) al budget assegnato per farlo funzionare al meglio. E basta al ripiano dei conti fuori controllo.
Così nacquero i sistemi sanitari regionali.
La storia ha insegnato che ci sono state regioni virtuose che hanno gestito oculatamente le risorse garantendo tutti i LEA e anche ulteriori prestazioni e regioni molto meno virtuose che non sono riuscite né a garantire i LEA né a stare entro il budget. Non è il caso di dire qui quali regioni sono in un gruppo e quali in un altro (chi vuole può consultare i dati di Agenas) ma il risultato è che a seconda della regione in cui si vive i cittadini godono di alcune prestazioni anche aggiuntive uniche o non riescono ad accedere neanche a quelle dovute per legge. Si è sviluppata la migrazione sanitaria per poter usufruire di prestazioni presenti solo in alcune regioni e si sono concordati i rimborsi da versare alle regioni con il SSR più avanzato.
E’ stato un bene ? Dal punto di vista economico la spesa sanitaria non è diminuita (anzi cresce continuamente) e i disagi si sono diffusi in modo diseguale nel paese (contravvenendo ai principi di equità nelle cure) ma almeno è controllata a livello centrale.
Ma dal punto di vista dei cittadini i problemi sono aumentati, non diminuiti. Di chi la responsabilità? La docente disse che la colpa nelle regioni problematiche era dei dirigenti degli assessorati regionali alla sanità incapaci perché eletti sulla base di accordi politici e non delle competenze necessarie. Ma questo vale anche per i DG delle ASL, anch’essi nominati dalla politica. Per cui la mia risposta è che la politica deve stare fuori dalle nomine in sanità che vanno date per concorso e per merito e non per tessera elettorale. E credo che i risultati si vedrebbero dopo pochi anni.
2) assicurazioni pubbliche e private
Le assicurazioni private si stanno estendendo, spesso offerte dai datori di lavoro. Facendo rientrare prestazioni non LEA (quali le spese dentistiche o per occhiali ad es) con accesso privato a prestazioni specialistiche in tempi rapidi. I medici valutano quanto è conveniente restare nel pubblico o nel privato, e più aumentano le assicurazioni private e le richieste di visite private a pagamento, più i medici lasciano il SSN per darsi alla libera professione. Per cui su questo non ci sono soluzioni se non altamente impopolari per salvare il SSN universalistico gratuito, in prospettiva destinato ad essere modificato nel migliore dei casi, ad essere sostituito nel peggiore. Chi mi conosce sa che sono tendenzialmente pessimista.
3) USL o ASL?
Più e’ vasta un’azienda e peggiori sono le comunicazioni col pubblico ma migliore e’ l’efficienza e la dotazione minima di risorse di personale per la sua gestione ottimale. Che è diventata molto complessa, per cui il ritorno a piccole USL (in cui si dovrebbero lasciare fuori i presidi ospedalieri) può essere possibile solo a patto che alcune funzioni complesse (acquisti, assunzione di personale, accordi sindacali) vengano attribuite a livello regionale centrale e non alle singole USL. Insomma una via di mezzo tra la soluzione iniziale e quella attuale.
4) Prevenzione e Assistenza
La prevenzione e l’assistenza operano in mondi che si toccano ma sono lontani uno dall’altro. La prevenzione nelle ASL o USL per mia esperienza è oggi avulsa dalle altre attività delle ASL, sta in un mondo a sé e non dialoga con la medicina di base.
L’idea che mi sono fatto è che la prevenzione andrebbe quindi ridefinita nei compiti, tolta alle ASL e strutturata in agenzie regionali per la prevenzione in cui inserire anche la prevenzione ambientale e parte dei zooprofilattici , come in Francia ad es. , lasciando alle ASL il governo dell’assistenza sanitaria ospedaliera e l’organizzazione delle cure primarie (cioè quella erogata dai MMG).
5) MMG
Renderli dipendenti o liberi (fino ad un certo punto) professionisti)?
Per me dopo averci lavorato per anni cercando con enormi difficoltà a collaborare andrebbero tutti assunti come dipendenti delle ASL, la gestione attuale è un caos e le disuguaglianze generate nei mutuati sono enormi, la loro gestione necessita di un lavoro immane spesso senza risultati, con zone scoperte dove non vuole andare nessuno, e orari di accesso strampalati e difficili per l’utenza. Per me sarebbe ora di dire basta a questa situazione che peggiora di anno in anno.
Dipendenti pubblici come altri con orari di apertura uguali e retribuzioni uguali.
6) assistenza ospedaliera
Non commento, non me la sento, non ne so abbastanza
7) Dati e Controlli
Risposta semplicissima. Osservatori epidemiologici regionali in ogni regione e servizi epidemiologici in ogni ASL anche con compiti di controllo di gestione e compito di indirizzo alle direzioni aziendali basate sui dati dell’assistenza.
8) Scuole di Specialità
Devono rimanere in Università. Ma l’accesso alla laurea deve essere senza test di ammissione per aumentare il numero di medici necessari al Paese. E la possibilità di lavorare come medico anche senza specialità come era una volta (l’assistente medico).
E Specialità invece a numero chiuso con aumento dei fondi per la retribuzione degli specializzandi in modo da poterne aumentare il numero futuro.
E Specialità pagate anche per non medici, con ingresso di molte più figure non mediche (biologi chimici psicologi statistici ) in sanità, perché funzionano benissimo quasi dappertutto e sono una risposta alla carenza di medici.
E anche se i sindacati medici mi salteranno addosso per aver tradito la congrega ricca di privilegi, la verità è che in tantissimi posti i medici non sono indispensabili e abbiamo personale non medico a sufficienza per coprire il fabbisogno, soprattutto nella prevenzione.
Grazie Cesare per il dibattito aperto
Mi limito a esprimere una mia opinione che avverto e specifico non è definitiva ma il semplice frutto di sensazioni e valutazioni che giacciono da tempo nella mente in attesa di essere confermate e smentite. Vengo al punto. Credo che il welfare aziendale e in generale tutta la materia del "finanziamento privato" abbia contribuito in negativo al ssn. Le intenzioni erano buone, al pari di quelle riguardanti lintramuraria. Ma gli effetti negativi. I dati oggettivi, i fatti, mostrano che oggi il ssn ( non quello delle cosiddette funzioni indivisibili,prevenzione e via dicendo) in senso stretto è diventato il servizio dei "poveri" o meglio di quelli che non hanno alle spalle un terzo pagante, a prescindere da come si chiama. Un terzo pagante può essere un impresa di assicurazione, un fondo sanitario ( la maggior parte dei fondi funzionano da raccoglitori di iscritti che poi assicurano tramite l'acquisto di polizze collettive), un datore di lavoro che in base al contratto garantisce prestazioni e simili arrangiamenti. Sono 20 e più milioni gli individui che hanno queste coperture. Non è un caso che i principali produttori di servizi (medici) escono dal Ssn per lavorare nel privato allargando la platea di quelli che già in precedenza operavano intramuraria. Peraltro le regole pensionistiche sono tali che pur in pensione si continua a lavorare. Concludo qui perché sul tema dovrei scrivere un saggio con i relativi dati statistici...ma è cosa lunga. In effetti, ho l'impressione che già dall'epoca della 229 ,il cui intento era quello di rafforzare il ssn,la regolamentazione del cosiddetto secondo pilastro, come si chiamava in quel tempo, fu, seppur non voluta e non auspicata,la base da cui parti il cambiamento in senso contrario...il welfare aziendale, anche esso a prescindere dalle buone intenzioni, ha fatto il resto. Pezzi di legislazione che come tessere di un mosaico hanno prodotto quello che è oggi visibile. Chiedo a chi mi legge di considerare quanto scritto un semplice pensiero provvisorio.
Grazie Cesare per gli stimoli che proponi. Mi sono occupato nella mia carriera professionale di programmazione e valutazione partecipate, contribuendo a redigere due piani sanitari regionali in Umbria e valutandone uno su contesto, organizzazione, processi ed esiti, ora sono il responsabile nazionale del PCI per il Dip Welfare Salute Sanità e Servizi Sociali.
Brevemente direi che:
1) indicazioni preziose vengono come sempre dalle evidenze disponibili: in letteratura continuano ad essere pubblicate revisioni sistematiche sull'impatto del privato in sanità che depongono per una sua sostanziale inferiorità al pubblico, non ho ancora trovato uno studio epidemiologico serio che dica il contrario.
2) Noi del PCI su questa base abbiamo costruito un framework che riassume gli esiti per il paziente e l'ecosistema socio sanitario del privato in sanità assemblando le relative aree di misurazione in un unico prospetto (fig.2) che può essere consultato su https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2024/04/26/il-privato-nella-sanita-nazionale-e-umbra-dimensioni-sviluppo-nei-processi-assistenziali-impatti-su-paziente-e-sul-sistema-socio-sanitario/;
3) il terzo elemento che terrei presente riguarda i numerosi "lacci e laccioli" finanziari, organizzativi e programmatici che sono stati imposti al nostro Ssn dallo stato neoliberista, che, come è noto, fa politiche di servizio al privato. Così si è reso conveniente per il cittadino mettersi le mani in tasca e "scegliere" un erogatore privato;
4) ancora va tenuto presente che le condizioni epidemiologiche prevalenti rendono necessari interventi di presa in carico multi disciplinari, intersettoriali e continuativi nel tempo, un impegno che richiede integrazioni impensabili perché onerose, per il privato...
Certo, "indietro non si torna" e la società odierna non ha molto in comune con gli anni in cui è nata la riforma sanitaria.
Ma per andare avanti nella costruzione di una moderno ed efficace servizio sanitario, serve tenere conto delle evidenze e programmare in modo partecipato un piano socio sanitario nazionale che affronti organicamente e scientificamente le aree problematiche da te evidenziate perché il mercato non alloca appropriatamente le risorse necessarie a dare risposte efficaci e sostenibili ai bisogni di salute, ci vuole una seria programmazione socio sanitaria per fare queste cose.
Dr Carlo Romagnoli Responsabile Dip PCI Welfare Salute Sanità e Servizi Socialisurfcasting.dakhla@gmail.com
mi scuso per refusi ma ho braccio dx ingessato...
Complimenti e grazie di cuore Cesare, si sentiva proprio il bisogno di una proposta di lavoro. Sei riuscito a rendere benissimo l'idea della complessità del tema ma anche a focalizzare, con una lucida sintesi, quasi tutti i problemi interdipendenti e la necessità di affrontarli partendo da un'analisi oggettiva dei dati, dei bisogni, delle aspettative e dei valori.Io sono sempre stata dell'idea che se si crede in qualcosa bisogna agire, dal basso, senza aspettare...ben venga una discussione dalle pagine di EP, e costituire dei gruppi di lavoro per incominciare a scriverla questa nuova riforma?
Già pochi anni dopo la istituzione del servizio sanitario nazionale, è iniziato il susseguirsi di interventi normativi con l’obiettivo di coniugare i principi ispiratori universalistici e la sostenibilità del sistema. Ricordiamo tutti ad esempio la svolta che fu introdotta con la riforma del 1992 attraverso l’introduzione della logica di tipo manageriale e l’aziendalizzazione, proprio per favorire l’equilibrio dei bilanci e allontanare la politica, per quello che poi si è rivelato possibile, dalla gestione della sanità. Ancora oggi ci troviamo di fronte ad un dilemma, in quanto le due dimensioni, nei fatti, si sono dimostrate antitetiche, almeno fino a quando non saranno garantite appropriatezza e qualità delle prestazioni. Possiamo dire quindi che le varie riforme abbiano contribuito a ridurre o contrastare le criticità emerse fin dai primi momenti di vita del nostro sistema sanitario? A giudicare da quello che è accaduto negli anni verrebbe proprio di rispondere di no… anzi forse le differenze e disparità tra e in popolazione si sono acuite. Per decenni la gestione della sanità nel nostro Paese è stata assoggettata a logiche economicistiche e a vincoli di contenimento della spesa. Forse queste logiche non possono integralmente applicarsi nel campo della salute senza pagare un costo da parte del cittadino in termini di servizi non fruiti e potenzialmente di mancata qualità della propria vita? E d’altra parte sarebbe anche venuto il tempo di una serena revisione dell’impostazione generale basata su principi che seppure totalmente condivisibili in astratto nel concreto poi conducono a carenza di risorse e limitazioni nell’accesso alle cure ? Ad esempio riguardo il ruolo del pubblico e del privato nella tutela o nella produzione della salute… alla luce dei fatti non se ne dovrebbe più fare una questione ideologica o un tabù nel momento in cui, sulla base di programmi organizzati di comprovata efficacia, sotto il controllo delle istituzioni governative centrali, vengano effettivamente garantite efficacia , e quindi parallelamente volumi, ed appropriatezza nelle attività. Si potrebbe richiamare in tal senso l’esperienza portata avanti negli Stati Uniti dal Kaiser Permanente che conduce routinariamente tutti i programmi di prevenzione raccomandati , insieme a programmi assistenziali, con l’obiettivo di ridurre i costi legati alla diffusione di patologie nella comunità dei propri assistiti.. Se il prezzo da pagare è costituito dalla rinuncia alle cure, specie tra la popolazione più vulnerabile e a rischio, forse sarebbe il caso di rimettere in discussione qualcuno dei meccanismi di finanziamento che ci portiamo dietro ormai dal secolo scorso . In ogni caso , per chiudere in proverbio, “senza soldi non si canta messa”, e quindi non serve lamentarsi sulle innumerevoli criticità dell’attuale sistema ma forse una iniezione di risorse in più potrebbe per alcuni aspetti contribuire a risolverle.
Molto interessante come sempre, soprattutto per chi ha seguito sempre da 4 anni a questa parte l’epidemia da Sars-Cov2.
Dall’esame dei dati si evince che i dati di incidenza e prevalenza, che dipendono dalla registrazione dei tamponi positivi, sono soggetti alla correttezza della segnalazione, anche dei tamponi fatti in casa, cosa che evidentemente non c’è. Le persone positive non hanno segnalato sempre in passato e non segnalano ancor più ora la loro positività o non effettuano tamponi se sintomatici. Concordo che gli unici dati certi su cui basarsi sono il tasso di ricovero e soprattutto il tasso di mortalità, che sono meno soggetti a sotto notifica. Ormai i tamponi sono effettuati in rarissimi casi e quasi solo nei reparti ospedalieri.
Per cui usare i dati dei casi positivi segnalati come denominatore e’ una pratica da abbandonare. E credo fosse questo il messaggio di questo articolo.
Il Sars-Cov2 continua a circolare ma la percentuale di vaccinati limita finora la diffusione, almeno fino a quando la copertura vaccinale e il titolo anticorpale rimarranno sufficientemente elevati. Tra qualche anno in assenza di richiami vaccinali temo che parleremo di nuovo di ondate, ma almeno mi auguro che avremo piani pandemici adeguati.
Grazie Cesare e colleghi
Sono stato tra i Dirigenti dei servizi sociali del Comune di Torino, anche sul loro sistema informativo, e reagisco a questo articolo con queste osservazioni:
1) È preoccupante la crescente tendenza a costruire i processi di valutazione del SSN basandoli soprattutto su indicatori che rilevano “volumi di interventi” o “presenza di servizi”, e molto meno mirati a monitorare “riduzioni di problemi” e/o “crescita di salute”. I secondi sono certo più difficili da costruire, ma è chiara la diversa utilità. Sul tema meriterebbe una revisione profonda anche il sistema di monitoraggio dei LEA , le cui criticità sono state ad esempio accennate da questi articoli di Claudio Maria Maffei e di Andrea Angelozzi su “Quotidiano Sanità”
https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=120309
https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=94877
2) Questa inadeguata attenzione agli esiti è presente anche nei sistemi informativi (peraltro pochissimo usati e costruiti in modo caotico) su problemi nei quali si intrecciano esigenze sanitarie e socioassistenziali, come il drammatico problema della non autosufficienza, che vede in crescita milioni di famiglie senza risposte. Al di là di “come riordinare quel sistema” esiste infatti una carenza di attenzioni a “che cosa è prioritario valutare”, ed (con un epidemiologo) ho provato a metterlo a fuoco in questo breve articolo: https://www.welforum.it/come-valutare-le-riforme-su-disabilita-e-non-autosufficienza/
3) Siamo tuttavia in una stagione che potrebbe aprire scenari interessanti, ad esempio in seguito all’attuazione delle leggi delega di cd. riforma (brutta) della disabilità e della non autosufficienza degli anziani (che prevedono anche appositi riordini dei loro sistemi informativi), allo sviluppo di tecnologie e banche dati, alle intenzioni crescenti di interoperabilità, a qualche azione in atto dell’ISTAT per rivedere qualche suo flusso informativo (ad esempio quello sui ricoverati in RSA).
Ma sono scenari che possono evolvere in direzioni diverse. Dunque questo momento richiederebbe azioni per muovere verso sistemi di monitoraggio del welfare (sanitario, sociosanitario e socioassistenziale) più efficaci e davvero “utili per governare” e per “verificare i risultati”. Però non solo nel dibattito tecnico scientifico, ma entro “la politica” e anche “i decisori tecnici dei sistemi”
Maurizio Motta
L'intramoenia sta dalla parte del privato. Discrimina tra gli stessi professionisti, alcuni dei quali non potranno mai farla. Avete mai visto un anatomopatologo dedicarsi massicciamente all'ALPI? Lui, il medico di PS e tutti i colleghi con specializzazioni pubbliche non potranno mai fare ALPI in quantità sufficiente. Tali specializzazioni, non a caso, sono quelle meno gettonate e di cui avremo più bisogno nel prossimo futuro...
"E poi i ricordi delle malattie esantematiche che «si dovevano prendere» per diventare grandi! La scarlattina "
La scarlattina? Forse erano gli orecchioni e/o la varicella, che si andavno a predere apposta. La scarlattina no di sciuro, visto che è una malattia per la quale gli anticorpi che si formano non immunizzano.
Bisognerebbe investire in prevenzione prima di tagliare le spese sanitarie!
Desidero che si rispetti la Costituzione della Repubblica Italiana in vigore dal 1° gennaio 1946 e naturalmente i principi e i valori della riforma sanitaria del 1978(legge 833/78). Chiedo che le leggi regionali sulla sanità illegittime e di dubbia costituzionalità siano impugnate presso la competente Corte Costituzionale. Penso che la sanità della Regione Emilia Romagna e forse anche della Regione del Veneto siano migliori delle Leggi Regionali della Lombardia: Formigoni(1996), ***(2015), Fontana-Moratti(2022). Molte Regioni specie del Meridione e delle Isole andrebbero dopo verifica attenta commissariate. Il SSN va urgentemente difeso e migliorato altrimenti entro breve tempo la più importante legge sociale della Repubblica fallirà.
Milano, 10/04/2024
Vittorio Carreri, medico igienista.
A fronte dell'esteso e molto condivisibile intervento di Costa, mi permetto di commentare l'affermazione secondo cui nel panorama rimarrebbe l'epidemiologia dell'ISS a presidiare un ruolo di indirizzo. Purtroppo la capacità di svolgere questo ruolo è stata fatta letteralmente a pezzi dal riordino dell'ISS del 2016, che ha frammentato qualsiasi massa critica di ricercatori dedicati all'epidemiologia, alle sorveglianze epidemiologiche e alla promozione della salute come attività trasversali. Nell'indifferenza generale di chi non era direttamente coinvolto, la capacità dell' ISS a svolgere un ruolo anche di coesione e riferimento operativo per molti argomenti, è stata azzerata. Nella discussione sul futuro dell'epidemiologia nel SSN bisogna anche disegnare quali istituzioni siano critiche e come possano sostenere le funzioni epidemiologiche nel SSN.
Apprezzabilissmo lo scritto di Cislaghi.
A mio modestissimo parere trascura una spetto che è evidente in Lombardia (e non solo) la quale (la Regione) ha autorizzatto in ogni dove l'insediamento di strutture private (ora anche i cosiddetti ponto soccorso privati). In questo modo il privato, lo specialista (o anche il farmacista) orienta il bisogno "sanitario" del consumatore ed espande l'accesso alla prestazione sanitarie purchessia.
In questa situazione "introducesse un sistema più efficiente di controlli e di valutazione dei prescrittori" servirebbe a poco se non viene efficacemente contrastata l'espansione delle strutture private.
Ho lavorato per alcuni anni a Firenze con Enzo nel settore dell'epidemiologia occupazionale e dei registri di patologia associati al lavoro. Ricordo la sua intelligenza, vivacità, il suo entusiasmo, la sua dedizione a un'epidemiologia al servizio dei lavoratori, il suo interesse per un'epidemiologia che cogliesse gli aspetti umani, antropologici, sociali. Ricordo che portava nel suo ufficio quintali di testi e documenti che gli permettevano di approfondire la conoscenza sulle condizioni di lavoro, sulla vita dei lavoratori, di quelle "coorti" di cui si studiava l'incidenza di malattia. Le sue pubblicazioni parlano in tal senso.
Non sempre, come capita, siamo stati d'accordo sulle priorità da affrontare e gli argomenti da sviluppare, ma ho sempre apprezzato il suo pensiero libero e lungimirante.
Ho avuto modo di conoscere Enzo anche al di fuori dell'ambiente di lavoro, dato che il mio compagno ha vissuto a casa di Enzo e della sua famiglia per diversi mesi; abbiamo quindi potuto apprezzare il suo modo di essere, di vivere, il suo "stile" e soprattutto la sua amicizia, generosa e leale.
Adele Seniori Costantini
Firenze, 18 Marzo 2024
Come curatori della rubrica suggeriremmo i seguenti testi che possono rispondere, almeno in parte, alle aspettative:
1) Nel sito dell'editore Castelvecchi è possibile acquistare i volumi della "Storia del Lavoro" usciti di recente. Lì si trova veramente tutta la storia del lavoro dagli esordi in tempi storici (Età greco-romana), al Medioevo, all'Età Moderna, fino a quella contemporanea. Abbiamo scritto per i due volumi dedicati ai tempi più recenti, dei saggi che descrivono la salute al lavoro.
2) Per il periodo che va da Ramazzini a Devoto ('700-'800) è consultabile il nostro testo "Malati di lavoro", reperibile su Academia.edu
3) Per un'approfondita analisi del testo di Ramazzini si può consultare il libro di Franco Carnevale "Annotazioni su De Morbis" edito da Polistampa.
4) L'articolo della rivista "Ricerche storiche" 2012, n.3 Archeologia del lavoro: la salute dei lavoratori in Italia attraverso immagini simbolo dell'800 e del 900
Si potrà salutare per l'ultima volta Nunziella domani, venerdì 13, dalle 9 alle 11,30, nella Camera Mortuaria del San Giovanni, in via di Santo Stefano Rotondo n.5.