Sono convinto che negli Stati moderni di oggi, così complessi e omni-invasivi, non può reggere un rigido centralismo ma è indispensabile che ci siano delle forme adeguate di autonomie nelle articolazioni locali dello Stato. Ma quali forme di autonomia? Autonomie collaborative che rafforzino l’unità del paese o autonomie disgreganti che invece portano alla devoluzione?

La legge ormai ahimè vigente sull'Autonomia differenziata sta innescando molto dibattito nel paese oltre ad una richiesta di referendum per ottenerne l'abrogazione. Per evitare subito equivoci al lettore dico subito che spero che il referendum riesca ad ottenere ciò che i richiedenti auspicano, ma altrettanto non posso negare di temere che un flop per mancanza di quorum potrebbe malauguratamente rafforzare ancor di più una ancor peggiore applicazione di questa negativa normativa.

Ma prescindendo da tutto quanto sta succedendo, credo che si dovrebbe innanzitutto discutere se in uno stato moderno per alcuni settori sia maggiormente funzionale una autonomia correttamente definita ovvero la soluzione non debba essere che quella del centralismo. Insomma ... il problema è l'antinomia tra autonomia o centralismo o la revisione del disegno delle modalità dell'autonomia?

L'aggettivazione di "differenziata" già fa temere una rottura dell'uguaglianza tra cittadini di diverse Regioni e non si può dimenticare che all'origine del dibattito che è stato avviato da Umberto Bossi e poi teorizzato da Gianfranco Miglio, mio professore di Storia delle Dottrine Politiche all'Università Cattolica di Milano, non si parlava di autonomia bensì di devoluzione, e lo slogan era l'auspicio della separazione da "Roma ladrona".

Ma sembra che oggi i tempi siano cambiati e non si voglia più la devoluzione ma solo un maggior livello di autonomia rispetto a quello di cui già ora la Regioni dispongono. E il timore maggiore è che non si vogliano più distribuire equamente le risorse economiche su tutto il territorio bensì trattenerne almeno una quota dove vengono maggiormente raggranellate. Altro timore è anche che si inneschino molteplici dinamiche di competitività tra le Regioni a danno delle meno ricche e sviluppate.

Ma la soluzione oggi deve proprio essere quella di restaurare un rigido centralismo o invece sia auspicabile realizzare una autonomia che potremmo definire come autonomia cooperativa o anche autonomia unificante.

I punti inderogabili per una autonomia accettabile sono almeno tre:

  1. il mantenimento di un forte livello centrale di regia capace di intervenire dove dovessero crearsi situazione conflittuali,
  2. la reale distribuzione equa delle risorse pubbliche tra tutte le Regioni in proporzione ai loro veri e reali bisogni,
  3. l'assenza di meccanismi competitivi che creino conflitti o divieti reciproci.  Se un progetto di autonomia rispetta questi tre punti, allora se ne può discutere con maggior serenità.

Quali prerogative devono quindi essere assolutamente conservate per lo Stato centrale anche se vengono attivate delle autonomie? Innanzitutto, la definizione dei diritti dei cittadini, poi la competenza a definire i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie, ancora il rispetto della normativa per evitare le difficoltà di collaborazione tra enti locali, ed infine il compito di valutare le performance scegli enti che godono di autonomia con capacità di interventi correttivi.

Si dice che ogni tipo di autonomia porti alla disgregazione dello stato centrale, ma ad esempio la notevole autonomia assegnata de decenni all’Alto Adige ha portato questa Regione ad essere più unita o più separata dall’unita nazionale?

In un regime impostato con modalità centraliste, ogni disposizione deve partire dal centro e i fautori di questa soluzione ritengono che questo garantisca che tutte le attività risultino al meglio dell'omogeneità e quindi anche l'equità dei provvedimenti. Ma questo accade veramente nel nostro paese dove vige, o un tempo vigeva, una impostazione centralista? Peraltro, si rilegga la 833, legge di istituzione del SSN, che non da certo una impostazione centralista ma assegna forti autonomie non solo alle Regioni ma anche alle Unità Sanitarie Locali previste di poche decine di migliaia di abitanti.

Ma cosa determina la probabilità che ad una disposizione si ottemperi ovunque similmente? 
Innanzitutto, la distanza tra chi dà la disposizione e chi invece deve eseguirla, distanza in termini di passaggi gerarchici. Meno passaggi lontani ci sono e più è probabile che i risultati ripettino i contenuti e lo spirito delle disposizioni. Poi l’autorevolezza di chi dà la disposizione, e questo potrebbe favorire il centralismo ma solo se vi fosse un reale riconoscimento dell’autorità da parte di chi deve ottemperare. Ed infine, naturalmente, la coerenza della disposizione con la situazione cui è diretta. Ciò significa che possibilmente le disposizioni devono provenire da una autorità accettata e riconosciuta dai soggetti che la ricevono.

Cosa determina poi l’appropriatezza di una disposizione? Soprattutto la conoscenza specifica della realtà cui si riferisce, poi la scelta delle autorità delegate a comunicarle ai destinatari
ed il rispetto della normativa del sistema di appartenenza ed infine le qualità tecniche e giuridiche dei contenuti della disposizione.

L'autonomia, a livello periferico, in clinica è molto elevata. Non è certo un comportamento positivo applicare in modi acritici un determinato schema terapeutico; Il clinico riconosce che ogni caso è diverso dall'altro e quindi sa che deve autonomamente scegliere la terapia più adeguata. In ogni territorio ci sono molte variabili diverse dagli altri e quindi sarebbe del tutto improprio pensare che le modalità di erogazione dei servizi sanitari siano totalmente uguali.

Certo i rischi dell'autonomia sono parecchi e innanzitutto le diverse capacità locali di assumere le scelte migliori, più efficienti e più efficaci. È quindi essenziale che al centro ci sia una capace attività di valutazione con dei poteri di intervento e di limitazione, quando occorra, dell'autonomia. E questo potere di controllo deve essere un potere il più possibile democratico e quindi, anche se assegnato all'esecutivo, deve essere tutelato e controllato dal parlamento.

Ci sono tante opinioni, in tema di autonomia, ma tra le tante segnalo questo intervento: Franco Bassanini , Centralismo o autonomia? , Intervento del 30 gennaio 2024 a "Segnavie" della Fondazione Casse di Risparmio di Padova e Rovigo.

Ritengo quindi che sia opportuno sostenere il referendum abrogativo di questa legge mal disegnata di autonomia differenziata, ma occorre anche dire se auspichiamo che la soluzione futura sia quella di restaurare un rigido centralismo o di realizzare una autonomia cooperativa. Insomma, autonomia sì, differenziata no!

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