Per poter svolgere in maniera ottimale la programmazione dei servizi sanitari e la loro valutazione in termini di efficacia, sarebbe necessario poter conoscere e disporre di tutti i termini dei processi di assistenza – specificamente quali sono i bisogni della popolazione, quali le prestazioni erogate, quali gli esiti ottenuti –, ma la realtà si presenta complessa e le informazioni disponibili sono carenti.

I bisogni di ciascuna persona dipendono dalle condizioni di salute determinate sia da fattori genetici sia comportamentali e ambientali, ma le patologie che ne derivano (box 1 della figura), che producono i bisogni di assistenza (box 2), non sono subito riconoscibili, spesso neppure dalle persone stesse. C’è sovente una non coincidenza tra i bisogni reali e i bisogni percepiti, e la percezione dipende sia da elementi culturali sia dalla rilevanza della sintomatologia.

Non sempre, poi, alla percezione dei propri bisogni segue immediatamente una domanda di diagnosi al proprio medico; solo quando questa domanda viene effettuata e il processo diagnostico è stato efficacemente compiuto si può arrivare a una definizione clinica dello stato patologico (box 3) e quindi a un accertamento dei bisogni (box 4). Ma questi dipendono dall’effettiva possibilità di essere soddisfatti: un bisogno non è ritenuto tale se non vi è un’offerta congrua che può soddisfarlo.

Alla domanda di assistenza, non sempre segue una risposta adeguata e completa e tra gli esiti possibili non sempre si ottengono i più favorevoli. Il processo di salute che nasce con i determinanti degli stati patologici e termina con gli esiti dell’assistenza, ricevuta o meno, è un processo talvolta sufficientemente lineare, talaltra molto contorto, in ogni caso di difficile definizione, vuoi per mancanza di informazioni, vuoi per complessità classificatoria.

Alcune informazioni parziali possono derivare sia da indagini cliniche come gli screening sia da indagini di popolazione attraverso inchieste, come, per esempio, le indagini multiscopo sullo stato di salute dell’Istat, ma queste indagini riguardano solo settori o campioni della popolazione. Per avere un’immagine globale, non c’è altra possibilità che utilizzare i dati che i servizi sanitari registrano, archiviano e possibilmente rendono disponibili.

La fonte principale è quella dei “consumi” (box 5), cioè di tutte le prestazioni che sono state erogate: acquisti di farmaci, accertamenti diagnostici, visite specialistiche, ricorsi ai pronto soccorso, ricoveri ospedalieri eccetera. Non di tutti i consumi, però, rimane traccia; per esempio, nulla si può sapere delle prestazioni erogate “in nero” o carenti dell’indicazione del soggetto cui sono state erogate. Non tutte le tracce, poi, producono dati utilizzabili: se una visita specialistica erogata dal SSN produce dati utilizzabili, non accade altrettanto nel caso venga erogata privatamente, perché rimane solo una fattura – talvolta neppure quella.

È pur vero che difficilmente, oggi, una persona con una patologia appena seria non lascia qualche traccia della sua situazione, ma la difficoltà è passare dalle tracce alla definizione e classificazione del suo stato. In molte situazioni, però, la traccia lasciata è di per sé una definizione esauriente; è il caso di una diagnosi ospedaliera lasciata su una scheda SDO, ovvero una diagnosi alla base di una esenzione dalle compartecipazioni.

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Purtroppo, nei dati degli accertamenti diagnostici o delle visite specialistiche si ha solo l’informazione sulla loro esecuzione, ma non sui risultati, anche se spesso la ripetizione degli esami o delle visite può far supporre un quadro diagnostico. Diverso è il caso di alcune patologie, innanzitutto le oncologiche, che da tempo vengono registrate in appositi archivi utilizzando flussi specifici, come quello degli esami istologici, oltre ai normali flussi amministrativi. In questi casi, è possibile ricostruire gran parte della storia clinica e degli accessi ai servizi ottenuti.

In molte situazioni, però, è difficile stimare l’entità del bisogno anche laddove si sia definita la patologia. E ciò dipende sia dalla variabilità di come si presenta la patologia sia dai diversi approcci alla stessa da parte dei sanitari. Per alcune patologie, infatti, si possono quantificare mediamente i bisogni di assistenza, per altre, invece, risulta molto difficile, se non impossibile.

Bisogna chiedersi, quindi, perché si vogliano quantificare i bisogni sanitari della popolazione. Se è per una conoscenza epidemiologica descrittiva, questa è perlopiù ottenibile, seppur con un certo grado di approssimazione. Se, invece, lo scopo è la quantificazione dei servizi, allora questo è possibile solo per specifiche patologie ben individuate e con processi assistenziali sufficientemente definibili.

La programmazione dei servizi, invece, si può impostare maggiormente rilevando gli attuali flussi delle prestazioni erogate: se questi sono inferiori o superiori alle capacità dell’offerta, questa deve essere correttamente adeguata. Nel caso di una domanda superiore all’offerta, comunque, sarà sempre necessario chiedersi quale sia il grado di appropriatezza della domanda. Un principio che gli economisti sanitari danno per scontato è che l’offerta ha un notevole grado di capacità di indurre la domanda, anche se non appropriata.

Ancora più complesso è riuscire a valutare gli esiti (box 6) dell’assistenza, se non in termini di durata della patologia, di frequenza delle recidive o delle complicanze o di misura della letalità. La valutazione di situazioni specifiche può spesso essere effettuata, ma la valutazione globale del SSN in termini di efficacia rimane difficile, perché i fattori che entrano in gioco sono molti e non è sempre facile distinguerli.

Credo che ci si dovrebbe limitare a creare indicatori sufficientemente consistenti, seppur non specifici, utilizzando i valori dei consumi e correggendoli con parametri capaci di stimare la complessità dei bisogni e via via correggendoli in virtù dei confronti con la realtà dei ricorsi ai servizi. Per alcune patologie specifiche, invece, sarà importante, quando possibile, produrre misure dei bisogni assistenziali per indirizzare la programmazione dei servizi. Un’alternativa è svolgere indagini su un campione per stimare i bisogni per categoria di soggetti e riportare i valori al totale della popolazione, suddivisa per le stesse categorie.

Ma, al di là di tutte le difficoltà teoriche, è importante che i sistemi informativi siano orientati non solo a un utilizzo amministrativo, ma sempre più anche a un utilizzo epidemiologico, limitando con i dovuti accorgimenti gli ostacoli per l’utilizzo posti dalla normativa sulla privacy, soprattutto facendo in modo che nel sistema sanitario sia realmente garantita a sufficienza la presenza delle competenze statistiche, epidemiologiche, informatiche ed economico-sanitarie.

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