Mi sono laureato 55 anni fa in scienze politiche con una tesi sull’organizzazione sanitaria da inizio Ottocento fino all'istituzione del Ministero della Sanità. Il mio professore, Umberto Pototschnig, era coinvolto nella creazione del futuro Sistema Sanitario Nazionale, poi istituito nel '78 con la legge 833. Successivamente, con una borsa di studio finanziata dalla Regione Lombardia, sono entrato nell’Istituto di Statistica Medica e Biometria dell’Università di Milano dove, anni dopo, sono diventato professore di Economia Sanitaria. Tra le varie attività, sono stato anche presidente dell’AIE, e ho "salvato", assieme a Benedetto Terracini, la rivista E&P alla morte di Giulio Maccacaro: potrei oggi considerarmi un epidemiologo?

Dico tutto questo, dato che, quando pubblicai uno dei miei primi articoli mettendo come affiliazione "epidemiologo", ricevetti diverse critiche, alcune sarcastiche, perché mi si diceva che non potevo definirmi epidemiologo in quanto non ero laureato in medicina. È una tipica situazione italiana: per definirsi in qualche modo, non serve averne la competenza e magari anni di attività, ma invece basta – ed è spesso indispensabile – il pezzo di carta! Capisco che questo sia opportuno quando una professione svolge attività che necessitano di garanzie pubbliche: il clinico, l’avvocato, il professore di scuola eccetera. Ma per essere epidemiologo sono necessarie la competenza e l’esperienza, non il pezzo di carta.

Nel SSN non è previsto il ruolo di "epidemiologo", ma le limitate attività in argomento sono riservate ai medici con specializzazione in igiene o con l'equipollenza tra la disciplina di Igiene e la disciplina di Epidemiologia regolamentata dal Decreto Guzzanti (D.M. 7 aprile 2003, n. 166). Sicuramente, l’epidemiologo deve sapere di medicina, ma forse ancor di più di altre materie non presenti, o presenti solo marginalmente, nel curriculum universitario di medicina.

Restringere i compiti dell’epidemiologo ai soli medici, o tutt’al più a figure del settore biologico, è solo una politica di difesa corporativa. Non sarebbe allora più opportuno definire un ruolo da epidemiologo e permettere di inserirvisi anche a laureati di altre discipline?
Certo saranno riservate ai medici le attività di epidemiologia clinica, ma i non medici svolgeranno – magari anche meglio – le attività di epidemiologia di popolazione o di valutazione. L'attuale formazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia è tutta focalizzata sull'individuo e del tutto marginale sono i pochissimi accenni ai problemi della sanità pubblica. Ho tenuto in Facoltà per diversi anni l'insegnamento di Economia Sanitaria e, a ogni lezione, mi sembrava che agli studenti non interessasse nulla della materia. Una volta, il preside di Facoltà, non so se parlando seriamente o prendendomi in giro, mi disse che il mio corso doveva limitarsi a insegnare come gestire i guadagni della libera professione.

Competenze o capacità nei settori della statistica, dell’economia, della sociologia, dell’informatica, della comunicazione e altri ancora sono essenziali nei servizi di epidemiologia e spesso non sono garantite dai medici epidemiologi. Io mi definisco con un pizzico di orgogliosa ironia “epieconomista”, e credo che mi sia stato sempre molto utile poter avere un mix di competenze diverse. All'estero, in molti Paesi, la formazione dell'epidemiologo non è limitata alla specializzazione post-laurea di medicina, ma ci sono corsi di laurea in sanità pubblica ed epidemiologia e master e dottorati in epidemiologia, spesso con la specifica se si tratti di epidemiologia sociale oppure clinica.

Quindi, vediamo come si possa superare il blocco alla professione di epidemiologo per i non medici e, semmai, ripensiamo ai percorsi formativi post-laurea per gli epidemiologi, medici e non medici. Il SSN ha bisogno di epidemiologi competenti e desiderosi di contribuire al miglioramento della sanità portando competenze indispensabili alla programmazione e alla valutazione dei servizi. Personalmente, auspico una laurea breve in salute pubblica con la specialistica in epidemiologia o in economia sanitaria o in management e penso che sarebbe ora di valutare seriamente questa possibile innovazione formativa. Si prenda magari anche spunto dalle facoltà di Ingegneria, che ha introdotto dei corsi di laurea in Ingegneria gestionale: dalla progettazione del "singolo pezzo" all'analisi e gestione del sistema produttivo; similmente: dalla cura del "singolo soggetto" all'analisi e gestione della sanità pubblica.

Naturalmente, poi, è essenziale che nel SSN venga riconosciuto il ruolo dell'epidemiologo cui assegnare compiti essenziali nell'ambito della programmazione e della valutazione dei servizi.

 

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