Che il Servizio Sanitario Nazionale abbia oggi, e non solo da oggi, molti e gravi problemi non c'è dubbio, ma qual è la situazione reale della rinuncia a curarsi? I dati dell'Indagine Multiscopo Istat sono stati usati da molti in modo approssimativo e non del tutto esatto e su molti media si è detto ripetutamente che più del 10% della popolazione italiana starebbe rinunciando a curarsi perché il SSN non fornisce nei tempi dovuti l'assistenza necessaria e non si hanno i soldi per un'assistenza alternativa presso strutture private.

Il quadro non è del tutto esatto, perché l'indagine Istat rileva la rinuncia a singole prestazioni e non globalmente a tutte le cure, anche se segnala come vedremo una criticità vera che il Governo dovrebbe cercare di risolvere. Va evitato comunque un tono inutilmente allarmistico che rischia di dare una spinta alle assicurazioni private che puntano a incrementare la propria clientela sfruttando le criticità del SSN, ma certamente questo non potrebbe avvenire tra i meno abbienti.

Le domande dell'indagine Multiscopo erano le seguenti:

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L'Indagine ha chiesto agli indagati del campione se negli ultimi 12 mesi avessero fatto delle visite specialistiche o se avessero invece dovuto rinunciarvi per diversi motivi qui elencati. È quindi importante chiarire subito che la domanda non era «Ha rinunciato a curarsi?», bensì «Ha rinunciato a una o più visite o esami?».

Queste le risposte date nelle interviste dal 2017 al 2023 per rinuncia a visite e rinuncia a esami specialistici. Si nota l'aumento di rinunce alle visite all'inizio della pandemia di Covid nel 2020 e la diminuzione di rinunce a esami nel 2022 e 2023. Sicuramente il primo anno della pandemia ha inciso sulle rinunce anche per la situazione di lockdown.

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Riferendoci al 2023, si può constatare che la rinuncia a delle visite si accompagna solo metà delle volte alla rinuncia agli esami, mentre quasi sempre quando vi è rinuncia agli esami c'è anche rinuncia alle visite.

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È però necessario distinguere tra chi ha rinunciato a una visita senza effettuarne altre da chi invece dice di avervi rinunciato facendone però comunque delle altre. È poi utile valutare come sta il soggetto in salute, sia se ha una patologia cronica sia come auto percepisce il proprio stato di salute. Infine, non si può non considerare l'età e il genere del rispondente, la sua istruzione e le condizioni economiche della sua famiglia; su quest'ultimo fattore si è concentrata la nostra analisi.

Limitandoci ai dati più recenti disponibili del 2023 e concentrandoci alle sole rinunce alle visite, tenendo conto di queste variabili e dividendo la casistica tra soggetti nelle migliori e nelle peggiori condizioni economiche, si ottiene la seguente tabella, in cui, applicando i coefficienti campionari, le percentuali sono calcolate sui totali dei soggetti per condizioni economiche della famiglia raggruppate in migliori e peggiori.

Questa tabella può risultare complessa e di non immediata comprensione, ma è necessario scomporre l'analisi in molti dei possibili fattori che influiscono sulle rinunce. Se, in particolare, vogliamo capire se il fattore economico influisce sulla rinuncia alle visite, è sufficiente confrontare le celle centrali in azzurro (% di chi ha migliori risorse economiche) e quelle in rosso (% di chi invece ne ha di peggiori); il grafico che segue riporta questi valori.

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Queste riportate in grafico le evidenze delle differenze di rinunce a seconda delle condizioni economiche:

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Si sono anche controllate le distribuzioni per classi di età delle varie categorie e non si sono trovate particolari differenze, come si evidenzia nei seguenti grafici: la classi di età dei pazienti cronici con maggiori rinunce è la classe 45-64 anni, mentre nei soggetti senza patologie croniche le rinunce sono elevate anche nella classe 18-44 anni.

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L'indagine chiedeva anche di specificare le ragioni per cui si era rinunciato a delle visite e queste sono state le risposte:

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Chi è in condizioni economiche peggiori risponde prevalentemente che la ragione sono i costi non sostenibili, mentre le altre ragioni sono maggiormente riportate da chi è in condizioni economiche migliori.

Per controllare ciò che le analisi più semplici sembrano dire, si è infine effettuata una regressione logistica binaria (rinuncia vs non rinuncia) e il risultato qui riportato nella prima colonna può essere facilmente letto considerando i rischi relativi (gli odds ratio) rispetto alla modalità uno di riferimento di ciascuna variabile.

Nelle colonne accanto a destra sono altresì riportate le frequenze delle risposte e la stima sulla popolazione italiana complessiva. Risulta che chi ha rinunciato a delle visite pur facendone una o più altre sono 1.727.355, chi invece vi ha rinunciato ma non facendone alcun'altra sono 2.836.734.

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Per una più immediata lettura, gli odds ratio sono riportati nel seguente grafico (le modalità di riferimento sono colorate in rosso).

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L'analisi conferma che rinuncia maggiormente chi si sente in cattiva salute, chi ha un'età tra i 45 e i 64 anni, chi ha condizioni economiche insufficienti, chi ha malattie croniche, chi è di genere femminile e, infine, chi ha fatto altre visite e quindi verosimilmente è stato ritenuto  meritevole di ulteriori valutazioni.

In conclusione, si può dire che rinuncia di più chi avrebbe più bisogno della prestazione specialistica – anche se molti rinunciano solo ad alcune visite, ma ne effettuano comunque altre – e che il fattore che influenza maggiormente le rinunce è rappresentato dalle scarse condizioni economiche. Non è corretto parlare quindi tout court di rinuncia alle cure, ma sicuramente è allarmante che da vari anni si manifesti questa diffusione delle rinunce a visite ed esami specialistici da parte soprattutto della popolazione meno abbiente. Il che conferma quanto sia indispensabile la difesa del nostro Servizio Sanitario Nazionale costruito per offrire un'assistenza equa garantita da un legame solidaristico tra tutti i cittadini. La crescente diffusione e offerta di prestazioni a pagamento, erogate in regime privatistico, può magari anche risolvere le difficoltà di accesso per chi è benestante, ma non in chi ha difficoltà economiche, e il risultato è la crescita delle disequità nei processi assistenziali, contravvenendo così uno dei primi presupposti etico-politici del nostro Servizio Sanitario Nazionale.

 

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