Nel settore sanitario, ci sono molte forme di compartecipazione, alcune corrette, altre assurde o illogiche; abbiamo già espresso le nostre perplessità sulle partecipazioni dello Stato alle spese private sanitarie dei cittadini in un post precedente, ma sono molte anche le perplessità sul sistema di compartecipazioni degli utenti sia alle spese del SSN sia alle spese rimborsate dalle assicurazioni malattia.

La compartecipazione alle spese nel sistema sanitario pubblico

La Ragioneria dello Stato pubblica i seguenti valori dell'andamento dei ticket sanitari

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Proiettando a fine anno i valori del 2024, qui relativi solo al periodo gennaio-ottobre – quindi aggiungendo un valore medio dei mesi precedenti per novembre e dicembre –, per i ticket sui farmaci si avrebbe un totale di 444 milioni e per la differenza dei farmaci di marca rispetto ai prezzi dei farmaci generici un totale annuo di 1.068 milioni. Per le prestazioni dell'assistenza specialistica (visite ed esami) il totale annuo risulta di 1.860 milioni, quindi un totale complessivo di tutte le forme di compartecipazione di 3.372 milioni. Cioè i cittadini utenti del SSN nel 2024 hanno contribuito alla spesa sanitaria pubblica  versando più di 3 miliardi di euro.

Il sistema dei ticket del SSN doveva però essere riformato sin dal 2014, come aveva deciso la Conferenza Stato-Regioni e fu eseguito uno studio approfondito che produsse una proposta organica di riforma che piacque all’allora Ministro della Salute; poi, per varie ragioni, non se ne fece nulla. Anche il Governo Conte ipotizzò una riforma del settore che avrebbe dovuto essere contenuta in un decreto da adottarsi entro il 31 marzo 2020 collegato alla manovra di bilancio, ma poi altri noti eventi distolsero dal farlo.

Nel sistema sanitario francese, le compartecipazioni alle spese sanitarie sono chiamati ticket moderateur, perché sono stati inizialmente pensati non con scopo di far cassa, ma con quello di "moderare" i consumi, cioè di contribuire a evitare che da parte degli utenti si chiedano prestazioni eccessive e inappropriate “perché tanto sono tutte gratis”.

La compartecipazione alle spese sanitarie si giustifica, però, solo ad alcune condizioni: che sia di piccola entità, che sia proporzionale alle disponibilità economiche degli utenti, che sia relativa a tutto un ciclo assistenziale e quindi non si accumuli se le prestazioni sono molteplici.

Oggi, purtroppo, il sistema pubblico non rispetta interamente questi principi. Innanzitutto, è sgradevole che i ticket per l’acquisto di farmaci siano diversi da Regione a Regione. L’entità per le prestazioni specialistiche, invece, è pressoché uguale dappertutto in quanto è definito perlopiù con norme dello Stato.

L’entità massima per una prestazione (36,15 €) potrebbe considerarsi accettabile, ma l’assurdo è che non riguarda il complesso delle prestazioni da effettuare, ma solo un insieme separato delle stesse. Per le analisi di laboratorio, per esempio, si paga il ticket sulle ricette, ma su una ricetta possono essere elencate solo otto diverse analisi.  Quindi, se le prestazioni prescritte fossero 20, occorrerebbero tre ricette e quindi tre ticket, cioè potrebbero essere anche più di cento euro, somma tutt’altro che piccola. Lo stesso dicasi se si è costretti a ripetere le stesse prestazioni a scadenze ravvicinate, per esempio ogni settimana, per il controllo dell’andamento di una terapia. Se si dovesse pagare ogni volta per 15 settimane un ticket di 20 €, si arriverebbe alla somma di 300€, che per molti risulta proibitiva.

Per evitare che il pagamento dei ticket possa creare gravi problemi a chi si trova in situazioni di difficoltà economiche peggiori, sono però state previste a livello nazionale quattro tipologie di esenzioni legate al reddito familiare:

E01: per età inferiore a 6 anni o superiore a 65 anni con reddito familiare inferiore a 36.151,98 euro;

E02: disoccupati, e loro familiari a carico, con reddito familiare inferiore a 8.263,31 euro, incrementato a 11.362,05 euro in presenza del coniuge e di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico;

E03: titolari di assegno (ex pensione) sociale e loro familiari a carico;

E04: titolari di pensione al minimo, con più di 60 anni, e loro familiari a carico, con reddito familiare inferiore a 8.263,31 euro incrementato a 11.362,05 euro in presenza del coniuge e di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio.

Fonte: Sistema Tessera Sanitaria

Oltre alle esenzioni per reddito, nel SSN sono previste esenzioni per patologie croniche, malattie rare, invalidità, gravidanza, screening.

Le perplessità e le illogicità del sistema di compartecipazione sono diverse.
Innanzitutto, il fatto che riguardano la singola – o poche singole – prestazioni e non il complesso dell'assistenza.
La proposta che era stata presentata senza aver avuto – ahimè – alcun seguito prevedeva la trasformazione dei ticket in una franchigia annuale, o meglio degli ultimi dodici mesi: fino a una certa cifra per tutte le prestazioni utilizzate negli ultimi dodici mesi l'utente deve farsene direttamente carico, oltre quella cifra invece sarebbe stato totalmente esente. Questa franchigia annuale poteva risolvere il problema delle prestazioni dei malati cronici che oggi, se non fossero esenti, dovrebbero pagare continuamente numerosi ticket, date le continue prestazioni di cui hanno bisogno. L'esenzione totale per patologia è spesso illogica, perché si mantiene anche quando di fatto la patologia è risolta o comunque non richiede più prestazioni frequenti; in più, è totalmente slegata dal reddito, mentre un benestante con cronicità potrebbe tranquillamente pagare anche più ticket.

L'esenzione per reddito, invece, non dovrebbe avere una sola soglia per venir applicata e non si capisce neppure perché dovrebbe essere associata all'età di 65 anni. Se il sistema fosse cambiato, introducendo la franchigia, questa potrebbe essere proporzionale e progressiva in relazione al reddito famigliare pro capite. La franchigia di un indigente sarebbe minima, per esempio 5 € l'anno, mentre il ricco pagherebbe molto di più. Un sistema di compartecipazione a franchigia esiste in altri paesi, come in Svizzera, e non sarebbe oggi di difficile implementazione con tutti i dati già disponibili sui data base della sanità.

Questa è la situazione del SSN e da più parti viene chiesto di modificare il sistema non tanto nella riduzione dell'ammontare annuo dei tre miliardi, quanto nelle modalità di calcolo e di esenzione.

La compartecipazione alle spese nel sistema assicurativo privato

Un sistema di compartecipazione è presente in quasi tutte le assicurazioni sanitarie private.
Per poter mantenere contenuti i loro premi assicurativi, le assicurazioni private cercano di limitare i rimborsi per le prestazioni che possono essere facilmente sostenute dagli assicurati.
Per fare questo, definiscono delle franchigie, cioè un livello minimo di rimborsabilità al di sotto del quale l’assicurato deve farsi carico del totale delle tariffe delle prestazioni.
Il sistema potrebbe apparire logico e accettabile, ma in molti casi presenta dei punti di estrema illogicità che dimostrano come lo scopo  prevalente sia di risparmiare tout court sui rimborsi piuttosto che "moderare" cercando di previlegiare le prestazioni appropriate, come dimostra l’esempio che segue.

Per esempio

Si tratta di un esempio reale, ma si preferisce non esplicitre i nomi né dell'assicuratore né del laboratorio, perché non è questa una critica specifica a loro, bensì solo un esempio di illogicità di alcune regole. Chiameremo perciò ASSx l’assicurazione malattia e CDy il Centro Diagnostico che ha una convenzione diretta con ASSx.

ASSx prevede il pagamento di una franchigia di 30€ per le analisi diagnostiche in regime di "diretta" e di 60€ in regime di "indiretta". A un assicurato che si è rivolto a CDy per eseguire cinque analisi diagnostiche, invece della franchigia, è stato chiesto di pagare 98€, cioè più di tre volte la franchigia attesa di 30€. Quando chiese ovviamente spiegazioni gli venne detto che le analisi prescritte erano di due categorie differenti, quindi l’eventuale franchigia doveva calcolarsi per ciascun settore, anche se in realtà tutte e cinque erano analisi diagnostiche prescritte da uno specialista per controllare la sua malattia e le sue terapie.
Gli è stato poi precisato che, applicando le tariffe che CDy ha concordato con ASSx, in nessuno dei due settori si arrivava alla franchigia di 30€, in quanto nel primo settore il totale era di 25€ e nel secondo di 28€. Quindi, le prestazioni non potevano considerarsi coperte da assicurazione diretta, ma solo da indiretta.

Gli erano quindi stati fatturati 98€, cifra calcolata non sulle tariffe convenzionate tra ASSx e CDy e con cui si valutato il mancato superamento della franchigia, bensì calcolata sulle normali tariffe private di CDy per clienti privati non assicurati, che per un settore sommavano a 40 € e per l’altro a 58€, per un totale appunto di 98€! Peccato che queste cifre non potevano neppure beneficiare della copertura della indiretta in quanto inferiori ciascuna ai 60€! In conclusione, l’utente, che pensava di dover al massimo pagare 30€, si trovò, suo malgrado, costretto a pagare 98€. E pensare che CDy affermava che la sua politica aziendale era quella di un impegno nel rispetto e nella attenzione per gli utenti. 

L'assurdo caso qui raccontato purtroppo è avvenuto veramente, anche se non interessa sapere dove e quando, e lo si racconta solo per sottolineare come le regole delle compartecipazioni ai costi delle prestazioni diventino spesso – non solo nel pubblico, ma anche nel privato –  ingarbugli burocratici. Ne risulta che per gli utenti già ansiosi e preoccupati della loro patologia è triste trovarsi a dover esborsare contro le loro aspettative delle somme relativamente importanti e con regole che potremmo definire spesso non proprio logiche.

È giusto allora domandarsi se i ticket servano realmente a evitare richieste inappropriate oppure siano semplicemente un modo per far cassa nonostante la sanità pubblica sia già pagata dalle nostre imposte e la sanità privata assicurativa sia finanziata dai pagamenti, non proprio esigui, dei relativi premi. 

Allora è opportuno ritenere che i meccanismi di compartecipazione debbano essere rivisti. La sanità pubblica deve essere gratuita e finanziata dalle imposte versate da tutti i cittadini, sani e malati, e in proporzione alle loro disponibilità. Gravare l'accesso all'assistenza con oneri finanziari può creare notevoli problemi per chi non ha sufficienti disponibilità e può rendere competitive le tariffe della sanità privata che, però, spesso manifesta rigidità burocratiche illogiche che contraddicono con gli sforzi di miglior attenzione e accoglienza dell'utente. La sanità privata, invece, deve essere il più possibile trasparente e non deve rischiare di risultare governata da regole che gli utenti, di per sé già in condizioni di fragilità, possono vivere come ingiuste e incomprensibili.

In conclusione, ripensiamo ai sistemi di compartecipazione, sia nel pubblico sia nel privato!

 

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