Come la politica impatta sulla sanità e come la sanità impatta sulla politica
Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo intervento e, sull’argomento, invitiamo i lettori a inviare un commento o un loro intervento relativo alla propria Regione.

I risultati delle elezioni regionali delle Marche sono chiari: ha vinto il centrodestra del precedente Presidente Francesco Acquaroli con il 52,43% contro il 44,4% del candidato del centrosinistra Matteo Ricci. Hanno votato il 50,1% degli aventi diritto contro il 59,7% delle regionali del 2020. Il primo dato – la vittoria del centrodestra – è politicamente molto rilevante, mentre il secondo – l’enorme percentuale di astensioni – ha un enorme significato se letto in una chiave di sanità pubblica.

La qualità della sanità pubblica di una Regione dipende in buona misura dalla qualità del suo governo politico a livello regionale. Ne sono evidente testimonianza tutti i dati che abbiamo a disposizione sui sistemi sanitari regionali, dai dati dei sistemi di indicatori che analizzano le loro performance complessive, come quelli ministeriali del monitoraggio dei LEA e quelli di Istituti come il CREA dell’Università Tor Vergata di Roma, ai dati dei sistemi di monitoraggio mirati su singoli aspetti, come quelli ministeriali sulla salute mentale o quelli dell’AgeNaS sul grado di realizzazione delle strutture finanziate col PNRR e previste dal DM 77. In alcuni casi, come quello delle Marche, abbiamo anche dati che documentano come nel tempo, a seconda del governo regionale, questi indicatori migliorino o peggiorino in rapporto alle altre Regioni. Da qualche anno abbiamo anche il dato ISTAT sulla rinuncia alle cure nell’ambito delle prestazioni ambulatoriali a causa delle liste di attesa e degli altri fattori che ne limitano l’accesso. Ovviamente – è bene ricordarlo – le differenze tra Nord e Sud hanno forti determinanti strutturali.

A questo dato sulla prevedibile influenza della qualità della politica sanitaria regionale sulla qualità della assistenza erogata, si affianca il dato sempre più comunemente rilevato sulla sanità come problema più sentito dagli italiani. I due fenomeni, importanza “oggettiva” delle politiche sanitarie regionali e importanza “percepita” del tema della sanità, dovrebbero comportare come conseguenza logica una buona, non dico massiccia, partecipazione al voto in occasione delle elezioni regionali. E invece prevale l’astensionismo, una disaffezione che va letta in termini politici generali (la crisi dei partiti, la perdita di presa dei partiti di sinistra sul loro elettorato tradizionale eccetera), ma rispetto alla quale rimane ancora forte la sensazione che a livello regionale giochi un ruolo significativo la convinzione che «tanto votare l’uno o l’altro cambi poco». 

Questa convinzione viene rafforzata dagli stessi programmi elettorali sulla sanità, che spesso finiscono per assomigliarsi troppo e che più che convincere a volte confondono. Questo è stato anche il caso dei programmi sulla sanità di Acquaroli e Ricci

Se hai una chiave di lettura (come nel mio caso), sono sufficientemente diversi per poterli distinguere e scegliere, ma per il comune cittadino sono illeggibili. Tanto erano complicati da leggere i programmi, tanto sono stati ipersemplificati i contenuti sulla sanità dei faccia a faccia televisivi tra i due candidati e dei comizi che si sono tenuti in tutte le possibili sedi (alcuni faccia a faccia hanno previsto novanta secondi per parlare della “loro” sanità più altri trenta per la replica). 

Così, durante la campagna elettorale sono arrivati ai cittadini messaggi confusi: la coalizione di centrodestra, attualmente al governo regionale, ha millantato successi inesistenti o irrilevanti, negando allo stesso tempo criticità enormi. A solo titolo di esempio, ha venduto il progetto delle farmacie dei servizi e dei cosiddetti punti salute (in pratica poco meno di un ambulatorio infermieristico territoriale) come un potenziamento della sanità territoriale, quando le Marche sono agli ultimi posti sia come coperture vaccinali sia come adesione agli screening dei tumori, cioè in quei programmi in cui farmacie dei servizi e punti salute dovrebbero dare una mano ai servizi territoriali. Ma anche l’attuale opposizione ha battuto più sugli insuccessi del centrodestra (rinuncia alle cure, liste di attesa e mobilità passiva in primis) che non insistito su un programma riconoscibile come “vera” alternativa, limitandosi ad annunciare che, come prima mossa in caso di vittoria, si sarebbero battuti i pugni sul tavolo a Roma per aumentare il fondo sanitario nazionale.

Noi che ci confrontiamo di continuo sulla crisi del SSN e della nostra sanità pubblica dovremmo porci una domanda: siamo in grado di aiutare politici e cittadini a un confronto sulla sanità che ne accetti la complessità e renda comprensibile agli uni e agli altri l’origine delle criticità e le possibili opzioni per migliorarla? Io interpreto questa mancata partecipazione dei cittadini marchigiani al voto anche come un segno della perdita di cultura di sanità pubblica nel nostro Paese a tutti i livelli e in tutte le sedi.

 

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