BLOG Come sta la sanità? minuti di lettura
Vaccini

L'affaire NITAG: dibattiamone serenamente
Da un po’ di giorni sui media si sta parlando molto, forse anche troppo, delle vicende del NITAG, cioè della Commissione Ministeriale che dovrebbe supportare le politiche vaccinali.
La questione che ha creato molte critiche è stata la nomina tra i commissari di due medici conosciuti per le loro posizioni no-vax, e il successivo ripensamento del Ministro Schillaci che ha sciolto la Commissione.
Non è buona cosa che ormai, in relazione al che fare in caso di pandemia, ci sia quasi esclusivamente uno scontro politico con le posizioni dei novax e non un esame sereno delle decisioni da assumere. Ritengo che occorra darci tutti da fare per trasformare questo scontro in un dibattito seriamente scientifico, altrimenti si rischia che siano prese delle decisioni solo sulla base degli schieramenti e non della loro efficacia e della loro appropriatezza.
Le vaccinazioni non sono il solo argomento su cui ci sono, in medicina, dei pareri differenti, ma i conflitti sorgono soprattutto quando i provvedimenti toccano le libertà. La contrapposizione tra protezione sociale e libertà individuale è ciò che infiamma il conflitto.
Il liberalismo classico del XVII secolo negava che l’interesse collettivo potesse condizionare la libertà individuale, ed invece forme, talvolta esasperate, di collettivismo ottocentesco ritenevano che la società potesse imporsi senza limiti sugli individui. Senza arrivare agli estremi, ci troviamo quotidiani ci sono, per esempio:
- è giusto che oggi una persona contagiosa possa impunemente inserirsi nel contesto sociale?
- è giusto vietare lo spinello e non l’alcool?
- è giusto prevedere i TSO, cioè i trattamenti sanitari obbligatori?
- è giusto sottoporre a controlli e autorizzazioni l'esercizio di certe professioni?
- eccetera
Per decidere su tante questioni credo servano delle solide conoscenze scientifiche e poi una valutazione politica dell’equilibrio tra interessi individuali ed interessi collettivi, esplicitando i valori di riferimento. Ritengo che chi ha paura del dissenso sia solo perché è debole nel dimostrare la validità delle proprie convinzioni.
Per questo penso che il criterio per essere inserito in una commissione debba essere innanzitutto la preparazione scientifica e poi anche la disponibilità al confronto: queste due qualità sono ahimè spesso le carenze di molti no-vax, ma chiediamoci anche se le hanno tutti gli altri nominati e da nominare, per il resto le disparità di opinioni talvolta sono persino un arricchimento necessario.
Credo che per far parte di una commissione consultiva queste siano condizioni indispensabili! Parliamo di questo qui nel blog, e non dello scontro politico, e apriamo un dibattito sui criteri necessari per scegliere i membri di una commissione consultiva che deve supportare il Ministro nel prendere decisioni di sanità pubblica.
E parliamo inquadrando anche il tema generale che supera la querelle del momento, e cioè il rapporto tra politica e scienza, ricordando magari l’assurda decisione politica del ministro della sanità USA, Robert Kennedy junior, che ha praticamente bloccato tutti gli studi sull'mRNA.
Il dibattito che vogliamo qui aprire è il dibattito sul rapporto tra politica e scienza che per noi diventa dibattito sul rapporto tra decisioni politiche di sanità pubblica e conoscenze scientifiche epidemiologiche.
La mia posizione è che la priorità l'abbia sempre la politica, ma nella totale considerazione delle conoscenze scientifiche. Né a livello individuale né a livello collettivo la salute sta sempre al primo posto, né si evita sempre qualsiasi cosa che non abbia rischio zero. Per esempio, a livello individuale si fuma, ci si ubriaca, si fanno scalate pericolose, si va in moto ecc. ecc.; a livello pubblico si fanno le guerre, si usano i veicoli comunque inquinanti, si inquina con il riscaldamento, ecc. ecc.
Quindi le scelte in fondo le fa sempre e solo la politica, ma la politica deve prendere decisioni conoscendo esattamente tutto ciò che la scienza sa, e valutando se sia meglio accettare o rifiutare i rischi. Dire che i vaccini sono innocui non è vero, come non è vero per qualsiasi farmaco. Conoscere più che si può i rischi e i vantaggi permette di fare delle scelte, che poi queste siano delle scelte giuste o sbagliate dipende dalla rilevanza politica che nel momento si dà ai vantaggi ed agli svantaggi, quindi, i valori di riferimento sono determinanti nelle scelte.
Da ciò deriva che diventa importante far sì che nella cultura generale il valore della salute assuma un’alta rilevanza in modo che solo in casi estremi possa esser scelto qualcosa che la danneggia. Tra danni di salute diversi (malattia ed effetti nocivi di cure o prevenzione) la scelta deve però rispettare soprattutto l’equità, e non che per il vantaggio di molti si svantaggino i pochi.
Su questo tema credo che sia quindi utile portare il dibattito su questo blog di E&P evitando però di discutere dei massimi sistemi filosofici, ma cercando di rifarsi alle situazioni concrete di questi nostri giorni. Il dibattito è aperto e spero che in molti vogliano mandare un intervento.
Commenti: 12
11.
A proposito di conflitto di interessi
Il tema del rapporto tra scienza e politica ha talmente tante sfaccettature da essere difficile anche da discutere. Ho molto apprezzato la sistematizzazione che ne ha dato Geppo Costa che ha almeno identificato tre direttrici (o tre pesi) principali da utilizzare per le valutazioni.
Io penso che bisognerebbe anche discutere più a fondo cosa si intenda per "conflitto di interessi" che viene utilizzato secondo me spesso a sproposito, soprattutto dalla ipersemplificazione dei media.
Affermare che un ricercatore (in genere accademico) sia in conflitto di interessi perchè ha partecipato, almeno una volta nella sua vita, ad una ricerca o a un progetto sponsorizzato da un produttore di vaccini è fuorviante. La ricerca pubblica, non sponsorizzata da interessi privati, nell'ambito dei vaccini e delle vaccinazioni in Italia è quasi assente. Come dovrebbero sviluppare competenze i ricercatori dell'accademia? e chi dovrebbe condurre gli studi richiesti dalle autorità regolatorie ai produttori?
E' in conflitto di interesse chi chiede ad uno sponsor privato di finanziare una sessione di un convegno scientifico? di pagare la partecipazione ad un congresso?
Io non credo che si possa generalizzare e liquidare rapidamente qualsiasi rapporto di collaborazione scientifica come un'occasione che rappresenta un conflitto di interessi.
Inoltre non ci sono solo interessi commerciali. In un'istitutizione pubblica, che dipende da finanziamenti governativi, è in conflitto di interesse chi segue l'indirizzo politico dominante? Abbiamo l'esempio lampante degli USA in cui molte università e centri di ricerca si sono dovuti "allineare" in un evidente e clamoroso conflitto di interesse. E in Italia probabilmente chi si allinea a temi cavalcati dalla politica, per ottenerne un vantaggio personale (carriera?) credo sia in conflitto di interesse.
Insomma, tra le regole del gioco bisogna definire non solo i pesi da considerare (beneficialità, libertà, giustizia distributiva) ma anche definire cosa rappresenti un potenziale conflitto di interessi e dichiararlo in modo che tutti possano farsi un'idea della effettiva indipendenza posizione.
10.
Le regole del gioco
Le regole del gioco
L’articolo di Cislaghi parte dalle controversie sul NITAG per invitare a riflettere più in generale sul rapporto tra scienza e politica nel contesto delle decisioni che riguardano la salute degli individui e della comunità. La vicenda del NITAG insieme ad altre vicende simili nel nostro paese (astensione italiana nell’accordo pandemico globale di OMS e commissione parlamentare su pandemia) sono dei segnali allarmanti di quanto possa guastarsi il rapporto tra politica e scienza sul tema della salute. Zocchetti si è concentrato sulla vicenda NITAG, rimandando ad altre sedi più appropriate l’esame del rapporto tra scienza e politica. Io invece raccolgo questa provocazione di Cislaghi per capire cosa possa fare l’epidemiologia per evitare o mitigare le conseguenze di questa contrapposizione.
Nell'articolo Cislaghi non può fare a meno di cercare le fonti di questa contrapposizione nella tensione che esiste tra i tre valori che sono in gioco in qualsiasi decisione: l’impatto sulla salute (la cosiddetta beneficialità), la libertà di scelta e la giustizia distributiva. In ogni sistema sociale (un paese, una città, un’impresa…) gli attori di solito si fanno un’opinione e concorrono ad una decisione sulla base di quello che comprendono circa il beneficio (o il rischio) che la scelta comporta, circa il grado di libertà e autonomia che la decisione può limitare e infine circa la distribuzione più o meno equa del beneficio e della libertà.
Ogni sistema sociale si caratterizza per il grado di maturità con cui ha imparato a disciplinare i processi decisionali in modo che garantiscano un buon bilanciamento tra beneficialità, libertà e giustizia. Ci sono sistemi sociali che si sono dati regole esplicite e trasparenti per valutare la situazione dei tre valori e per dare ad ognuno il peso che si merita (ad esempio ci sono paesi che hanno imparato ad utilizzare percorsi strutturati di democrazia deliberativa, come è stato il caso della decisione di fare o meno ricerca sulle staminali nel Regno Unito); all’estremo opposto ci sono sistemi sociali che alle regole preferiscono il potere (sembra essere questo il gorgo che sta inghiottendo gli Stati Uniti); in mezzo ci sta chi non ha le idee chiare (come in Italia, dove un procuratore pugliese a suo tempo poteva ordinare all’ospedale di Brescia di somministrare la terapia Stamina in nome della libertà di scelta, mentre le istituzioni scientifiche di garanzia ne denunciavano l’assenza di beneficialità). Tra l’altro uno stesso sistema sociale può cambiare le regole del gioco, oggi può dare un peso importante alla beneficialità e domani preferire la libertà, o avere regole eterogenee al suo interno (si pensi all’importanza che ha la libertà di scelta nelle cure per il modello lombardo di organizzazione del sistema sanitario rispetto a quello di altre regioni).
La domanda di Cislaghi è con quale ruolo l’epidemiologia o in senso lato la scienza debba stare su questa scena prendendosi le sue responsabilità e prerogative nel modo con cui i sistemi sociali costruiscono le conoscenze sui tre valori e nel peso che essi attribuiscono ad ognuno di loro.
Nel primo caso (come costruire conoscenze) è evidente che da sempre la scienza è la protagonista nel campo della beneficialità, in quanto il suo mestiere è quello di studiare i nessi di causalità tra fattori di rischio e salute e di valutare l’impatto sulla salute che deriverebbe da una decisione/azione che li modifichi, il tutto con una esplicita attenzione ai limiti di incertezza che sono insiti nei metodi di osservazione; la medicina basata sulle prove è il modo con cui la scienza ha imparato a disciplinare questo suo compito precipuo. E’ poi responsabilità della scienza comunicare queste conoscenze in modo che anche gli altri attori possano comprenderne non solo la validità scientifica ma anche il valore operativo; questo ambito è di solito più lacunoso e poco regolato. Dunque la beneficialità è materia della scienza e delle sue regole interne di funzionamento, che non dovrebbero essere in discussione. Al contrario la scienza in senso stretto non avrebbe ha nulla da dire a proposito degli altri due principi, libertà e giustizia, perché sono ambiti dove non contano i dati ma i valori, gli interessi e le preferenze; in questi due ambiti lo scienziato non ha uno specifico contributo da dare, ma se vuole dire la sua deve cambiare giacca e tornare a fare il cittadino, cioè a partecipare al gioco come uno qualsiasi degli altri attori, che può voler fare prevalere le sue preferenze, interessi e valori.
Nel secondo caso (le regole del gioco) la scienza può ritornare in gioco a tutto campo, non solo per il suo compito di fare stime della beneficialità, ma anche per dire la sua sulle regole del gioco, cioè sul peso relativo che si dovrebbe attribuire ad ognuno dei tre valori. E è appunto di queste regole del gioco che si sta discutendo quando si parla del rapporto tra scienza e politica.
In questa discussione però la scienza dovrebbe imparare a dialogare di più e meglio con gli altri attori. A molti di essi la scienza appare come una casta che pretende di mettere le brache al mondo perché possiede le conoscenze sulla beneficialità; la beneficialità è solo uno dei tre principi su cui si gioca la partita e non necessariamente e sempre il più importante. Agli occhi del pubblico questa pretesa primazia della scienza gli ha inimicato molte simpatie, facendola apparire come uno dei santuari più refrattari del politicamente corretto. Inoltre può capitare che nel comunicare l’incertezza scientifica lo scienziato non rispetti la regola della neutralità ma entri in gioco a favore di una parte senza dichiarare conflitto di interesse; è quello che capita spesso nelle attività di advocacy, come ad esempio quelle su temi ambientalisti. Ad esempio in queste settimane l’Imperial College ha pubblicato un rapporto sulla stima di quanto l’eccesso di mortalità da ondata di calore dell’estate 2025 fosse attribuibile al cambiamento climatico indotto dall’uomo; a Londra si tratterebbe di un eccesso totale di circa 260 morti di cui il 65% non sarebbe accaduto se non ci fosse stato il riscaldamento globale di origine antropica. In questo caso la comunicazione ha scelto di concentrarsi sull’esito di salute del numero di morti, in modo da colpire l’opinione pubblica con un intento di advocacy a favore di politiche di contrasto e mitigazione del cambiamento climatico. In alternativa si sarebbe potuto scegliere di confrontare questo rischio con altri rischi estivi ben noti al pubblico, ad esempio il rischio di annegamento in stagione estiva, e usare un esito di salute diverso come gli anni di vita persi; questa scelta alternativa, avrebbe prodotto numeri meno preoccupanti, stante la differenza di età delle morti da caldo rispetto alle morti da annegamento.
Essere disponibili a farsi un esame di coscienza su come evitare lo stigma dell’arroganza, non vuol dire rinunciare alle regole interne. Anzi la scienza deve mettersi sulle barricate per difendere le sue regole del gioco interne, quelle della medicina basata sulle prove, regole che si è data per produrre e comunicare conoscenze valide sulla beneficialità, non come atto di difesa corporativa ma come atto di responsabilità per la tutela della salute dei singoli e della comunità. Ma, si chiede Cislaghi, la scienza dovrà poi anche fare advocacy nelle sedi dove si discutono le regole del gioco, in modo che il criterio della beneficialità abbia priorità sugli altri due? E come?
Nel caso della pandemia da Covid 19 ci fu un momento in cui bisognava scegliere chi dovesse beneficiare delle prime dosi disponibili di vaccino. Era un classico caso dove i tre principi di beneficialità, libertà ed equità erano tutti in campo, la scelta dipendeva da quale dei valori, interessi e preferenze dovesse avere la priorità: se la priorità era salvare più vite bisognava destinare le prime dosi ai super anziani e ai fragili; se si voleva sostenere la resilienza del personale sul fronte della sanità la priorità erano i sanitari; se si voleva salvare l’economia erano i lavoratori dei settori strategici per l’esportazione; se si voleva contenere i danni alla salute mentale da isolamento tramite l’apertura dei locali pubblici erano i giovani. Alla fine furono scelti i superanziani (scelta coerente con la priorità alla beneficialità) e il personale sanitario (scelta compassionevole). Molte migliaia di dosi inutili per il personale sanitario non esposto a rischio (pensiamo agli studenti di medicina) sono stati destinati ad uno scopo compassionevole per una categoria specifica di lavoratori, mentre le stesse dosi avrebbero potuto salvare molte vite di soggetti fragili. Dunque un potenziale beneficio di salute è stato sacrificato sull’altare di una scelta compassionevole verso una categoria esposta allo stress. Nel rapporto dell’Imperial College sugli effetti dell’ondata di calore del 2025 si fa cenno ad una situazione simile, dove si passano in rassegna i tanti effetti negativi dell’ondata di calore, tra cui quella della caduta della produttività, che però è messa in secondo piano rispetto all’eccesso di mortalità. Negli esempi è evidente che gli altri attori in gioco possono dare priorità ad altri indicatori di beneficialità o di libertà di scelta rispetto alla naturale preferenza dell’epidemiologia e della sanità pubblica per la riduzione della mortalità.
In tutte queste situazioni complesse io vorrei una scienza che sapesse costruire con gli altri attori regole del gioco flessibili, che permettono ai diversi attori di farsi una opinione su beneficialità, libertà e equità basata su conoscenze costruite con regole condivise, e sulla base di quelle opinioni lasciare che i meccanismi democratici di elaborazione delle decisioni facciano il loro corso; riservando però tempo e risorse per valutare ex post processi e risultati e così comprendere se si è fatta la migliore scelta possibile e come procedere nel futuro in situazioni simili. In questo sforzo di costruzione e ammodernamento delle regole del gioco, l’epidemiologia avrebbe poi una missione particolare; siccome è una disciplina abituata da sempre ad andare a caccia di differenze (geografiche, temporali, sociali…) essa è l’interlocutore più attrezzato per indagare i problemi di giustizia distributiva dei benefici potenziali e delle libertà limitate.
Dunque la scienza e l’epidemiologia non possono permettersi di chiudersi nella torre d’avorio della loro superiorità e purezza. Hanno grandi tradizioni di autoregolazione che le hanno preservate da tradimenti allo loro missione, che è di costruire conoscenze valide. Questa tradizione va preservata soprattutto con la promozione del rigore e della autorevolezza delle istituzioni (enti vigilati dal Ministero, enti di ricerca; tecnostruttura del SSN). Ma la scienza deve lavorare con la politica e gli stakeholder per dotarsi di regole del gioco esplicite trasparenti e per quanto possibile condivise su come comporre un sano bilanciamento tra beneficialità, libertà e giustizia.
9.
Come siamo arrivati a tutto questo?
Di tutta questa vicenda delle nomine e del teatrino governativo che ne è seguito il vero problema che mi assilla (probabilmente sono l'unico a preoccuparsi in questa prospettiva) è come diavolo sia avvenuta questa saldatura fra un movimento di opposizione e la destra estrema
Perché tutto ciò non era scontato. In fondo i movimenti di opposizione (indipendentemente dal tema contestato) si pongono come antagonisti al "sistema". Ed il "sistema" è solitamente rappresentato da persone con visioni, diciamo, conservatrici
Certo, possono essere stati alcuni politici di destra particolarmente accorti nell'offrire spazio al movimento novax, ricevendone in cambio sostegno elettorale. O, come alcuni sostengono, in passato furono alcuni politici di sinistra ad esasperare lo scontro
Ma la semplice prospettiva "nostrana" non spiega come si sia arrivati a medesime dinamiche in altri stati: emblematico il caso degli US dove a dirigere la sanità è arrivato un complottista novax sostenuto da una folta schiera di votanti. Oppure in Olanda ove il principale politico di estrema destra non si fa problemi ad incitare la folla di novax. Ed un po' in tutto il mondo sembra esserci una sovrapposizione fra pensiero di destra e rifiuto dei vaccini
Forse ha ragione Matthieu Amiech, sociologa francese che ha pubblicato un libro dal titolo "L'industria del complottismo", ad affermare che questo genere di manifestazioni sociali siano "lo spauracchio delle classi dirigenti" strumentali al controllo sociale ed al mantenimento del potere
È oscuro però capire su quali meccanismi esso si basi, od almeno è difficile trovarne esplicita descrizione
Tentandone una spiegazione, mi sembra di individuare nella dicotomia libertà individuale / responsabilità sociale la chiave per comprendere il successo politico e la diffusione del pensiero complottista fra le masse contemporanee
La libertà individuale è infatti riconosciuta come bene supremo da tutti, ma è sempre stata limitata dai doveri sociali verso il prossimo e la comunità, sia a destra come a sinistra: a destra è declinata spesso come dovere verso la propria stirpe/sangue/religione ed a sinistra come doveri verso la più ampia comunità civile, ma sempre risulta essere mitigata nei confronti dei doveri sociali
Tuttavia, l'alienazione progressiva della rappresentanza democratica, intrinsecamente portata dalla modernità, come già aveva previsto Weber, con il dissolversi od almeno la sfocatura dei contorni dei gruppi sociali, avvia un processo di individualismo spinto all'eccesso come unico paradigma valoriale
In buona sostanza, solo ciò che appare appropriato all'individuo è degno di essere perseguito, contro qualsiasi logica collettiva
Ed in questo rientra chi si sente minacciato dalle misure per contrastare il cambiamento climatico, chi crede che non si debbano fare sacrifici per difendere altri popoli la cui libertà e la vita stessa è minacciata, ed infine appunto coloro a cui si chiede di vaccinarsi
Qualcuno a destra, che aveva già capito queste dinamiche, ha promosso tutta una serie di narrazioni adeguate, dalla presunta supremazia woke alle distopiche fantasie di QAnon per capitalizzare sulla paura delle cose che minacciano la sfera delle nostre abitudini, spacciandole per libertà minacciate dai poteri forti
E poiché il meccanismo di "difesa" della propria sfera individuale a dispetto degli interessi collettivi, è universale, rimane molto difficile da contrastare ed a poco valgono ragionamenti complessi, dati e ricerche scientifiche da mostrare come confutazione di quelle narrazioni
Occorrerebbe un risveglio sociale, un "New Deal" che ci facesse essere parte di un progetto collettivo di benessere condiviso, ma personalmente dubito assai che ciò si possa realizzare a breve, a meno di qualche evento catastrofico
Rimane infine curiosa l'afasia attuale di alcuni che a sinistra avevano vellicato il movimento novax in nome del diritto di scelta vaccinale (cosa che ha anche qualche ragione di essere, ma appunto andrebbe discussa su basi scientifiche e non sui "social") e che adesso vedono alcuni di quei colleghi accettare poltrone, sedie e strapuntini di varie commissioni ed istituti elargiti da governi di destra che riducono i finanziamenti alla sanità ed alla ricerca, e magari anche tentano di ridurre proprio quelle libertà individuali che pretendevano di difendere
8.
Due commenti
L’invito alla discussione sollecita interventi stringati, cerchero’ almeno di non essere troppo lungo.
Punto primo, i criteri per l’inclusione in una commissione consultiva. Dice Cesare : competenza scientifica e apertura al confronto. Per semplificare diciamo che la prima e’ accertabile, ma la seconda ? Si possono scartare persone gia’ note per attitudini pubbliche intolleranti , ma salvo casi estremi il giudizio puo’ risultare sfumato e risulta semplicemente impossibile per candidati competenti non adusi a esibirsi pubblicamente : quindi questo secondo criterio e’ rispetto al primo relativamente “debole”. Ma c’e un terzo requisito che puo’ rivelarsi ben piu’ determinante sul comportamento dei membri di una commissione : la presenza di conflitti di interesse. A titolo puramente esemplificativo credo che una commissione di dieci persone in campo vaccinale costituita da sei membri provenienti da istituzioni scientifiche e privi di conflitti di interesse, tre ricercatori dell’industria vaccinale e un rappresentante commerciale della stessa industria sia di gran lunga preferibile a una commissione di dieci membri tutti provenienti da istituzioni scientifiche ma – come puo’ essere facilmente il caso- quasi tutti con rapporti diretti con l’industria vaccinale. Oltre alla rilevanza intrinseca per il modo di operare di una commissione la presenza di conflitti di interessi e’ una ragione principale addotta da chi e’ ostile ai vaccini la cui promozione, lesiva della liberta’ di scelta individuale, e’ vista come derivante da una combutta tra ricercatori solo nominalmente indipendenti e BigPharma vaccinale. Paradossalmente si ritrovano su questa posizione anche cittadini di orientamento libertario da un lato ostili ai vaccini a causa della non indipendenza degli esperti e dall’altro ostili a tutto il settore pubblico, incluse strutture pubbliche di ricerca il cui adeguato finanziamento ne garantirebbe una effettiva indipendenza.
Punto secondo. Scienza e politica nella societa’. Tema di estensione enorme. Non mi stupisce molto che dopo la presentazione di Paolo Vineis ad Atlanta le reazioni dei ricercatori americani siano state tenui : sono in questo momento , come lo saremmo noi, in stato ‘stuporoso’ per quanto gli sta cadendo addosso in modo repentino. Ed e’ proprio il carattere repentino e inatteso che scopre d’un tratto quanto nelle condizioni normali di funzionamento della ricerca e’ scontato e quindi in pratica ignorato : che la ricerca dipende dall’economia e dalla politica molto di piu’ di quanto economia e politica dipendano dalla ricerca. Perche’ se e’ vero che l’innovazione scientifica modifica continuamente e intermittentemente sconvolge le condizioni concrete di ogni settore della vita sociale e’ anche vero che chi al momento dell’arrivo dell’innovazione e’ in posizione di potere dominante e’ in grado di captarla a suo vantaggio piu’ agevolmente di chi potere ne ha meno o pochissimo : questo a meno che non esista un movimento sociale popolare in ascesa capace di interferire con la captazione. Quanto sta succedendo ai nostri colleghi americani ci fa toccare con mano un fatto fondamentale : il sistema di tutta la ricerca e’ “embedded” nel capitalismo attuale, inclusa la variante predatoria trumpiana e le varianti filantropiche , e si vedono al momento pochi segni di un robusto movimento sociale che venga a tendergli una pertica di collaborazione per uscirne almeno in parte.
7.
Forse non centrano i novax
Da quel che so la commissione NITAG è stata ritirata subito dopo che un noto giornale ha riportato che ben 6 membri avevano conflitti di interesse con le case farmaceutiche grandi come una casa. Presumo che il ministro se ne sia accorto tardi. E Credo che le nomine dei 2 con posizioni non propriamente favorevoli ai vaccini siano secondarie e non molto rilevanti anche se ha portato una collega del Veneto, nominata, a rifiutare la nomina.
Al di là di queste opinioni ho sempre creduto che il bene collettivo fosse superiore al bene individuale. E ho sempre pensato che la cosa fosse ampiamente condivisa, tant'è che in caso di malattia contagiosa un alunno non può andare in classe venendo privato così della sua libertà, per il bene degli altri compagni di classe e di scuola.
È secondo me il proncipio fondamentale su cui discutere, ed è una decisione politica se si intende equiparare libertà individuale e sicurezza pubblica. La prima tradizionalmente difesa dalla destra, la seconda dalla sinistra.
6.
Nessuna intenzione ad offendere
Non dire di posizioni no-vax, termine infamante e assurdo, come targare no-farm chi vuol valutare rischi, benefici attesi ecc. di ogni farmaco in sé, e poi rispetto ai destinatari.
Ecco una rettifica (non soddisfatta) inviata da me a La Repubblica, simile ad altre inviate dal Pediatra Serravalle, uno dei due medici diffamati.
‘L'articolo… 23-8-2025 di M. Giannini… afferma: ‘… un pediatra sicuro che i bambini non vaccinati siano più sani dei vaccinati… come se per fronteggiare un virus… servissero anche sciamani aborigeni, guaritori filippini, cartomanti gitani… superstizione che scavalca la scienza’. Il Dott. Serravalle è membro della Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi), e chiedo (art. 8 L. 47/’48 di pubblicare questa rettifica:
Per quanto riservato al membro CMSi Dott. Serravalle, van chiariti gravi equivoci. Anzitutto, proprio perché non è sicuro (con prove certe) di quanto riferite sulla salute complessiva dei bimbi non vaccinati, chiede una ricerca di disegno adeguato (oggi carente) per smentire o confermare osservazioni sul campo.
Nella CMSi siamo uomini di scienza. Tra i critici sulla narrativa vaccinale corrente vi sono, certo, anche posizioni non scientifiche, che però abbondano anche tra i fautori dei vaccini a prescindere. Ma altri scienziati critici, tra cui noi della CMSi:
• dichiariamo riferimento al metodo scientifico: riferirsi all’Evidence è la regola interna n. 1 per appartenere alla CMSi
• chiediamo da anni confronti scientifici basati su prove, impegnandoci a presentare non opinioni, ma dati, fatti, prove aggiornate
• se nei confronti ci portassero prove più valide e forti di quelle a noi note, lo ammetteremmo in modo pubblico
• rifiutiamo l’ingiuria no-vax. Accetteremmo EB vax.
Se La Repubblica non sapeva, dimostri la buona fede accettando un confronto scientifico, affiancata da chi riteneste, a condizioni eque da concordare. Se si concretizza, riconsidereremo rivalse in sede penale e civile per le gravissime diffamazioni attribuite anche al dissenso scientifico e alle posizioni critiche costruttive che, con altri, esprimiamo.
24-8-2025 Il coordinatore CMSi, Dott. A. Donzelli
Sui criteri per far parte del Nitag, i due colleghi li rispettano per competenza scientifica specifica (per Bellavite accademica, e con 177 pubblicazioni su PubMed, 15 sui vaccini), disinteresse privato/indipendenza da COI, disponibilità al confronto, e, almeno Serravalle, membro CMSi, per adesione ai 4 punti su richiamati.
Alberto Donzelli 339-71.03.452
Caro Alberto, mi dispiace se per qualcuno l'espressione No-Vax risulti offensiva. Ne riconosco l'eccessiva genericità perché viene usata sia per chi ha un'avversione ingiudtificata verso i vaccini ma anche, di sicuro impropriamente, per chi invece ha delle perplessità basate su riflessioni scientifiche.
la valutazione dei rischi e dell'efficacia dei vaccini per il Covid è una cosa seria e purtroppo spesso affrontata superficialmente sia da chi è contro sia da chi è a favore.
Mi permetto di segnalare il link di una nota del Mario Negri sull'argomento: non dico sia la verità peró non ne dubito sia la scientificità sia, per quanto ne conosco, l'onesta e l'indipendenza. Vale la pena ragionarci!
https://www.marionegri.it/magazine/sfatiamo-i-falsi-miti-sul-vaccino-covid-19-effetti-collaterali-rischi
5.
Intervento sul Blog x Nitag
Non dire di posizioni no-vax, termine infamante e assurdo, come targare no-farm chi vuol valutare rischi, benefici attesi ecc. di ogni farmaco in sé, e poi rispetto ai destinatari.
Ecco una rettifica (non soddisfatta) inviata da me a La Repubblica, simile ad altre inviate dal Pediatra Serravalle, uno dei due medici diffamati.
‘L'articolo… 23-8-2025 di M. Giannini… afferma: ‘… un pediatra sicuro che i bambini non vaccinati siano più sani dei vaccinati… come se per fronteggiare un virus… servissero anche sciamani aborigeni, guaritori filippini, cartomanti gitani… superstizione che scavalca la scienza’. Il Dott. Serravalle è membro della Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi), e chiedo (art. 8 L. 47/’48 di pubblicare questa rettifica:
Per quanto riservato al membro CMSi Dott. Serravalle, van chiariti gravi equivoci. Anzitutto, proprio perché non è sicuro (con prove certe) di quanto riferite sulla salute complessiva dei bimbi non vaccinati, chiede una ricerca di disegno adeguato (oggi carente) per smentire o confermare osservazioni sul campo.
Nella CMSi siamo uomini di scienza. Tra i critici sulla narrativa vaccinale corrente vi sono, certo, anche posizioni non scientifiche, che però abbondano anche tra i fautori dei vaccini a prescindere. Ma altri scienziati critici, tra cui noi della CMSi:
• dichiariamo riferimento al metodo scientifico: riferirsi all’Evidence è la regola interna n. 1 per appartenere alla CMSi
• chiediamo da anni confronti scientifici basati su prove, impegnandoci a presentare non opinioni, ma dati, fatti, prove aggiornate
• se nei confronti ci portassero prove più valide e forti di quelle a noi note, lo ammetteremmo in modo pubblico
• rifiutiamo l’ingiuria no-vax. Accetteremmo EB vax.
Se La Repubblica non sapeva, dimostri la buona fede accettando un confronto scientifico, affiancata da chi riteneste, a condizioni eque da concordare. Se si concretizza, riconsidereremo rivalse in sede penale e civile per le gravissime diffamazioni attribuite anche al dissenso scientifico e alle posizioni critiche costruttive che, con altri, esprimiamo.
24-8-2025 Il coordinatore CMSi, Dott. A. Donzelli
Sui criteri per far parte del Nitag, i due colleghi li rispettano per competenza scientifica specifica (per Bellavite accademica, e con 177 pubblicazioni su PubMed, 15 sui vaccini), disinteresse privato/indipendenza da COI, disponibilità al confronto, e, almeno Serravalle, membro CMSi, per adesione ai 4 punti su richiamati.
Alberto Donzelli 339-71.03.452
4.
Cittadini
Grazie per gli interessanti spunti.
Mi sembra di ricordare che nelle critiche alla commissione ci fossero anche il problema del conflitto di interesse nonché di rappresentazione di professione sanitaria. Questi mi sembrano quasi più importanti, e in pochi ne hanno parlato, alimentando così un dibattito che sembra sterile dualismo tra vax e non vax. Messaggio molto sbagliato verso i cittadini.
Ai cittadini dovrebbero essere assolutamente esplicitati, e resi noti in modo trasparente, i criteri con cui si forma una commissione.
3.
NITAG: NO A DUE ERRORI ED UNA CENSURA
Cesare Cislaghi parte dal fatterello del NITAG per poi provocare più in generale un dibattito su scienza e politica. Troppo ampio il tema generale per essere trattato in un blog: mi limito ad alcune considerazioni sulla questione NITAG.
Il decreto che ha istituito il NITAG (National Immunization Technical Advisory Group), cioè il Gruppo Tecnico Consultivo Nazionale sulle Vaccinazioni, dice che ad esso “sono affidati compiti di supporto tecnico alla definizione delle politiche vaccinali nazionali” e aggiunge che esso “opera seguendo un approccio di valutazione delle tecnologie sanitarie (Health Technology Assessment) coerente con il processo decisionale suggerito dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, indicando le evidenze scientifiche che sostengono le decisioni di politica vaccinale, valutando l’attendibilità e l’indipendenza delle fonti utilizzate e verificandone l’assenza di conflitti di interesse”. Inoltre “I componenti del NITAG, nel loro operato, garantiscono completa indipendenza e non rappresentano gli interessi di specifici gruppi di interesse”.
Chi ha avuto l’opportunità di partecipare a questi tipi di gruppi presso il Ministero della Salute non farà fatica a rendersi conto di quanto siano molto formali (cioè non si possono non scrivere) ma poco sostanziali (cioè quello che effettivamente avviene) i requisiti che vengono indicati: sicuramente nei gruppi ci sono degli esperti e si trattano argomenti tecnici (ma non solo); più incerto e discutibile è che venga seguito l’approccio descritto nel decreto; assolutamente impossibile (nella mia esperienza) che si riesca a garantire “completa indipendenza” ed a non rappresentare “gli interessi di specifici gruppi di interesse”. Questa premessa mi è necessaria perché si comprendano le considerazioni che seguono.
Nel decreto istitutivo del NITAG il Ministro ha nominato 22 persone e nell’elenco sono presenti i dottori Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle. Ritenendo di aver riconosciuto, in questi due medici, persone che avevano espresso critiche sulle politiche vaccinali adottate durante la pandemia si è immediatamente scatenata la gogna nei loro confronti da parte di molte società rappresentative un po’ di tutta la comunità medico-scientifica, di molti soggetti che si sono espressi personalmente, della usuale raccolta di firme che non manca mai in queste occasioni (con firme di peso: Silvio Garattini, Giorgio Parisi, Matteo Bassetti, per dirne alcuni), e naturalmente di tutta l’opposizione politica al governo, ma anche con tanti malumori all’interno della maggioranza. Nel frattempo, proprio la presenza di Bellavite e Serravalle ha portato una delle componenti della commissione (Francesca Russo, direttrice della prevenzione della regione Veneto e coordinatrice dell’area prevenzione della Conferenza delle regioni) a dimettersi.
Montata la polemica e consigliato (dalla sua parte politica?) di attendere nel prendere ulteriori decisioni, il ministro ha superato tutti (non so se a sinistra o a destra) e con atto di imperio ha revocato tutta la commissione appena nominata.
Con queste azioni credo che il Ministro abbia compiuto due errori.
Primo errore. Se i due medici sono degli esperti al pari degli altri che sono stati nominati e sui quali non ci sono state obiezioni (e qui bisognerebbe almeno intendersi sulle caratteristiche che definiscono uno un esperto) non vedo perché non possano essere nominati; se invece essi non sono degli esperti allora il Ministro ha sbagliato, ma poteva facilmente correggersi (certo accettando di fare brutta figura) sostituendoli con due altre persone.
Secondo errore. A seguito delle proteste il Ministro ha revocato la nomina dell’intera commissione, commettendo in questo modo, a mio avviso, un secondo errore: è diventato infatti evidente che il NITAG è solo in apparenza un organo tecnico e indipendente ma in realtà risponde innanzitutto alla politica, peggio ancora se alla politica partitica.
Fino a qui gli errori che attribuisco al comportamento del Ministro.
L’intera vicenda, però, mi porta anche ad un’altra considerazione. Quali sono stati gli argomenti utilizzati dai polemizzatori nei confronti dei due medici nominati? Forse hanno portato elementi per dire che non si tratta di soggetti esperti (ma gli altri lo erano tutti?) e che quindi la loro nomina non era giustificata? Niente affatto: si è trattato semplicemente della opposizione alle idee che i due avrebbero espresso in precedenza, idee ritenute non condivisibili al punto tale da provocare tutto quel po’ po’ di reazione e persino una dimissione. Detto in altre parole, forse un po’ più forti ma sicuramente più chiare: si è trattato di censura ideologica, di critica aprioristica alle idee, perché è del tutto evidente che le proposte ed indicazioni che Bellavite e Serravalle (che personalmente non conosco) avrebbero potuto portare nella commissione tecnica sarebbero comunque state sottoposte al vaglio degli altri 20 componenti.
[Nota bene. Non vorrei che da queste considerazioni qualcuno deducesse che io sia condiscendente con qualche tesi no-vax: chi lo pensasse sarebbe assolutamente fuori strada perché sono favorevole alle vaccinazioni (ed ho fatto tutte quelle previste per il covid) e contrario agli argomenti no-vax].
Dietro a tutto questo ambaradan, il vero tema che si pone, che a mio parere però non ha soluzione, è come deve essere composta una commissione come il NITAG, quali tipi di figure devono essere chiamate, come si fa a definire gli attributi che deve possedere chi viene chiamato a partecipare, e così via: osservo, ad esempio, che tra i 22 chiamati in questo caso dal Ministro non sembravano presenti le competenze epidemiologiche, anche se proprio su questo argomento si è svolta una robusta contrapposizione di pareri in un blog che è stretto parente di questo.
E perché, a mio parere, non ha soluzione? Perché si deve accettare la impossibilità che le commissioni nominate dai governi, dovendo aiutare i governi stessi nella definizione di politiche sanitarie, possano essere indipendenti rispetto alla politica: il massimo che ci si può aspettare è che si dia spazio ad esperti (che in ogni caso sono persone con una propria opinione o visione culturale o ideologica), che siano coperte con esperti tutte le aree che possono subire le ricadute delle politiche relative all’argomento di volta in volta in discussione, che possano essere rappresentati i diversi punti di vista che sono caratteristici di un determinato argomento (anche se le commissioni devono avere una numerosità che permetta di lavorare agevolmente), e poco altro.
12.
Società e piani paralleli
Il fatto che nei commenti si siano aperte altre questioni è effettivamente sintomo del fatto che probabilmente ci sono dei nodi a monte da sciogliere prima di affrontare il problema puntuale. Non affronto quindi quest'ultimo ma mi focalizzo su due di quei nodi: il rapporto politica-scienza e questione vaccini.
Rapporto politica-scienza: la società è la grande assente in questo binomio dove per società non intendo quella che viene interpellata per apporre una X alle tornate elettorali o quella che viene raggiunta dalla "divulgazione scientifica". Non si possono trattare in maniera passiva i cittadini e poi esigere responsabilità, in senso attivo. Bisognerebbe ripensare una partecipazione diversa, lontana da quella che esaurisce il senso di inclusività nel "diritto all'opinione" su prove scientifiche, e vicina invece a quella che riconosce la società come parte attiva nell'aiutare a disegnare e implementare le politiche più adatte ad esser messe in atto, viste quelle evidenze scientifiche.
Questione vaccini: se condanniamo l'approccio che riduce il tutto a due fazioni contrapposte, dovremmo anche fare attenzione a non alimentarlo involontariamente, perchè è facile caderci dentro, nonostante i più buoni propositi. Per farlo, a mio avviso, dovremmo defilarci da questo piano in cui- anche qui- basta apporre una X su pro/contro per entrare in una delle fazioni e porci, invece, su un piano diverso, parallelo. Va cercato un piano in cui venga favorito un dibattito che, in quanto tale, richiede argomentazioni, che richiedono conoscenza, che richiedono competenza, che richiede evidenze ecc. Un esempio, in questa direzione, è la proposta avanzata dal Forum Disuguaglianze, in cui viene radicalmente cambiato il focus: i farmaci, e quindi anche i vaccini, trattati in una maniera diversa, più lineare, dalla ricerca di base alla commercializzazione, in un'infrastruttura pubblica, in cui le priorità vengano dettate da obiettivi di sanità pubblica e non da dinamiche di massimizzazione di profitto a breve termine. Non c'è bisogno che vada nel dettaglio delle conseguenze di un tale cambiamento, che avrebbe ripercussioni diffuse su molteplici questioni, non solo su trasparenza e conflitti di interesse.
A mio avviso ci sono cose complesse, difficili da spiegare (come possono essere le evidenze scientifiche), e cose semplici, complicate da spiegare perchè complicate da concepire (come alcune dinamiche che poco hanno a che fare con le evidenze scientifiche); ecco perchè auspico che si arrivi ad un certo punto a cambiare piano, lasciando quello attuale al tifo calcistico.