BLOG Come sta la sanità? minuti di lettura
SSN; Sanità Pubblica

Cambiare la Sanità? Come e perché?
A Bergamo si era da poco scatenata la pandemia di Covid, con tutti i malati e i decessi che ricordiamo, e per fissarlo sull'edifico dell'ospedale il grafico ed illustratore Franco Rivoli aveva regalato un murales, riportato qui sopra, che ha fatto il giro del mondo. Ma oggi questo sentimento di gratitudine verso chi ci assiste è ancora ugualmente condiviso? O invece siamo ogni giorno più insoddisfatti del nostro sistema sanitario? Non sarebbe il caso di intervenire? E come? Mettendo delle toppe qua e là o ridisegnandolo profondamente?
Molti sono i documenti, i proclami, le denunce che vengono quasi ogni giorno fatte anche dai maggiori protagonisti del panorama sanitario. Qui richiamiamo solo due di questi documenti tra quelli elaborati da colleghi ed esperti, che hanno avuto molta circolazione (allegati 1 e 2). Molti sono anche i programmi di intervento o addirittura di riforma del SSN prodotti dai partiti (allegati da 3 a 7). Però ci chiediamo: belle e perlopiù giuste parole, ma poi di fatti non se ne vedono sinora molti!
Sui principi che devono governare il SSN sembra che tutti, o quasi, siano d'accordo, o perlomeno nessuno si dice in disaccordo. Universalismo, equità, globalità, efficacia, efficienza, centralità della persona, priorità della prevenzione eccetera. Per fortuna solo Trump sinora ha messo un divieto di usare la parola "equità" nei documenti e negli articoli scientifici. Perlopiù c'è anche consenso su quali siano le criticità e quali le ragioni che la hanno prodotte: inaccettabili liste di attesa e scarsezza di risorse e di operatori, medici e infermieri, entrambi ascrivibili al definanziamento della sanità, certamente non dovuto solo all'attuale governo che lo ha trovato avviato e ha fatto poco o nulla per risolverlo.
E allora, proviamo a chiederci, e a chiedere ai partiti, cosa si deve fare per ritrovare un Sistema Sanitario che sappia rispondere ai bisogni della salute della popolazione.
Sistema pubblico?
La sanità deve essere garantita dallo Stato attraverso il contributo di tutti i cittadini, sani e malati, proporzionalmente alle loro capacità? E allora, quale ruolo deve avere la sanità privata, vuoi sul versante della produzione dei servizi, vuoi sul versante della tutela assicurativa?
La domanda diventa: per soddisfare esaurientemente i propri problemi di salute, innanzitutto quelli essenziali, possiamo confidare nel sistema pubblico o è meglio che ci tuteliamo con un'assicurazione privata o che utilizziamo i risparmi per acquistare prestazioni dal privato?
È intollerabile che oggi in Italia siano milioni i cittadini che rinunciano ad avere prestazioni sanitarie perché il servizio sanitario non gliele garantisce nei tempi e nei luoghi appropriati e loro non hanno risorse per ricorrere all'offerta privata. Ricorrere al privato dovrebbe essere una scelta, quasi solo un lusso, e non certo una necessità inevitabile. Non basta elencare i LEA, cioè le prestazioni essenziali, occorre realmente garantirle nei modi e nei tempi opportuni.
Il nostro SSN sta derivando verso un sistema prevalentemente a tutela assicurativa privata? Chiediamo ai partiti se questo a loro sta bene o se si impegnano a contrastare con norme e provvedimenti questa tendenza.
Quante risorse per la sanità?
Il maggior finanziamento della sanità non deve essere l'obiettivo, bensì lo strumento per realizzare le azioni di riforma del sistema sanitario. È indispensabile avere risorse sufficienti, ma un semplice loro aumento senza progetti precisi porterebbe a poca cosa. I cinque miliardi sottratti al gettito fiscale per le detrazioni delle spese sanitarie private è un esempio di come molti miliardi sono dati al sistema privato per coprire le inefficienze del sistema pubblico.
Le risorse per la sanità pubblica devono provenire completamente dalla contribuzione di tutti i cittadini in proporzione alle loro capacità economiche. Le persone, tranne gli addetti, non sanno da dove lo Stato prenda le risorse per finanziare la sanità e pensano quasi che le prestazioni gli vengano regalate. Si potrebbe allora pensare a un'altra forma di finanziamento che permetta di rendere trasparente il principio che tutti contribuiscono in virtù del loro reddito.
Una possibile ipotesi da studiare valutandone la fattibilità e l'opportunità potrebbe essere, per esempio, quella di destinare alla sanità tutto, o parte, del gettito Irpef (l'imposta sul reddito delle persone fisiche), che nel 2024 è ammontato a 157.240 milioni di euro e che rappresenta il 7,2% dei PIL 2.192.182 milioni di PIL. Sarebbero circa 10 miliardi in più dell'attuale fondo sanitario e il 7% del PIL potrebbe rappresentare una misura corretta per la sanità pubblica. Nel 2024, il totale delle spese per la sanità ha raggiunto i 184 miliardi, 138 miliardi per la pubblica e 40,6 per la privata out of pocket, e 5,2 per le assicurazioni private di malattia. Parte dell'attuale spesa privata potrebbe forse rientrare nel bilancio pubblico se il SSN fosse in grado di erogare con soddisfazione degli utenti tutte le prestazioni oggi cercate nel settore privato. Un problema da approfondire, ma con la certezza che deve essere cambiato da come è oggi.
Questi sono i dati OECD delle spese sanitarie 2022, pubbliche e private, risetto ai rispettivi PIL; si può vedere che sia per la Germania sia per la Francia la spesa pubblica è oltre il 10% del loro PIL, mentre per l'Italia è poco sopra il 6%.

Bene definire i LEA, ma devono essere esigibili!
In sanità non si può pensare che si possa usufruire di qualsiasi prestazione che offre il mercato!
Alcune teorie, infatti, affermano che la domanda sanitaria non ha per sua natura un livello sostenibile se non è correttamente governata. Quindi, è giusto che, applicando i criteri di efficacia, efficienza e appropriatezza, vengano definite le prestazioni che possono essere erogate. Però la definizione dei LEA non deve servire solo per escludere alcune tipologie di prestazioni, deve anche essere realmente lo strumento per cui le prestazioni contenute diventino realmente esigibili. In particolare, è necessario definire i termini dell'utilizzo appropriato in funzione dei bisogni, ma anche le modalità, i tempi e i luoghi in cui queste prestazioni devono essere erogate. Non è accettabile che una prestazione sia definita essenziale, ma possa essere ottenuta i tempi assolutamente impropri o in luoghi troppo disagevoli.
Per una sanità soddisfacente gli operatori devono essere soddisfatti
Sicuramente uno dei problemi che oggi lamentano gli utenti del SSN è la non soddisfazione nei rapporti con il personale, sia medici sia infermieri, a differenza di quanto avviene invece nei servizi privati a pagamento. L'impressione comune è che se paghi sei trattato bene, se invece l'accesso è gratuito vieni trattario meno bene se non peggio. È ovvio che questo non accade sempre e ci sono numerose situazioni nel SSN dove l'utenza è pienamente soddisfatta, ma non sempre, e la causa spesso risiede nell'insoddisfazione degli operatori del loro ruolo e del loro trattamento.
Sino a poco tempo fa, i medici – e i sanitari in genere – erano considerati ai vertici della società; oggi, invece, spesso non vengono rispettati o addirittura incolpati di responsabilità che non hanno. Parte della ragione sta nell'impostazione burocratica del sistema che snatura il rapporto umano e l'utente di sente trattato non da persona, ma solo da oggetto dell'attività sanitaria. Ma in parte questo è anche dovuto all'insoddisfazione degli operatori per il ruolo e per il trattamento e anche per la limitata retribuzione.
È allora importante fare in modo che gli operatori "credano" nel lavoro che fanno e siano ricompensati sia con la stima che ricevono, sia con l'interesse per l'attività che svolgono, sia con la remunerazione che ricevono. Non basta svolgere correttamente le proprie mansioni, occorre anche svolgerle con il gradimento degli utenti. Spesso si pensa che l'equità stia solo nel contenuto delle prestazioni, ma spesso manca nelle modalità con cui vengono erogate. Troppo spesso si sente commentare che «l'importante in sanità è conoscere qualcuno!».
Per saper fare giusto occorre aver imparato a fare nel modo giusto
I processi formativi degli operatori sanitari – università e scuole – sono ancora impostati su una sanità che si esauriva in rapporti individuali. Purtroppo, quando la legge 833 ha istituito il SSN non ci si è preoccupati di adeguare gli insegnamenti. Oggi la formazione medica è prevalentemente impostata sulla salute degli organi o degli apparati, talvolta sulla salute dell'individuo, ma praticamente mai sulla salute della società. Si pensa che la società stia bene se gli individui sono in salute e non che gli individui stanno bene se la società è in salute.
Credo che serva un corso di laurea di sanità pubblica per preparare gli operatori che non hanno il compito di curare gli individui, ma di promuovere la salute collettiva, sia gestendo e dirigendo i servizi, sia promuovendo la prevenzione, sia valutando la presenza di fattori di rischio e lavorando alla loro rimozione.
Non ha più senso un curriculum universitario di sei anni uguale per tutti e poi diversificato solo nelle successive specializzazioni; vi sono delle impostazioni della didattica che devono essere diverse sin dall'inizio perché determinanti della mentalità con cui ci si va a formare. L'idea che la salute individuale sia strettamente dipendente dalla salute collettiva è un concetto basilare che oggi, invece, non viene veicolato agli studenti di medicina. Anni fa, la laurea in odontoiatria è stata separata da medicina e sono certamente più "medici" i dentisti di molti altri operatori che si occupano di sanità pubblica.
Riformare profondamente la salute territoriale
Molte sono le idee e le proposte di riforma della salute territoriale, ma perlopiù propongono solo tamponamenti della situazione e non una riforma radicale.
Un tempo il medico di base si chiamava medico condotto, faceva di tutto. Mi ricordo quello del mio paese, che faceva non solo il clinico medico, ma anche l'ostetrico, l'ortopedico, il chirurgo, l'igenista e pure il dentista. Oggi il medico di medicina generale è ridotto fondamentalmente a svolgere compiti di burocrate smistatore verso chi è in grado di fare diagnosi e impostare terapie. Gli restano perlopiù possibilità di dare buoni consigli nei casi di patologie minori e, se è un bravo medico, anche di dare consigli di natura preventiva.
La funzione del medico di base oggi potrebbe essere per buona parte egregiamente svolta da un assistente sanitario con una formazione di tipo infermieristico in rapporto costante con un medico generalista sgravato da incombenze non di competenza.
Si dovrebbe creare ogni circa 30.000 abitanti un centro diagnostico (quindi 2.000 in Italia), chiamiamolo pure Casa della Salute, dove ci siano le fondamentali disponibilità diagnostiche e la presenza di alcuni specialisti, alcuni a tempo pieno, altri a rotazione. I medici di medicina generale dovrebbero essere inseriti in organico, garantendo un servizio di "pronta assistenza" almeno dalle ore 7 alle 21, collegandosi con gli assistenti sanitari del territorio.
Si potrebbe ipotizzare un assistente sanitario ogni mille abitanti (60.000 in Italia), un medico di medicina generale ogni due o tre assistenti sanitari (25.000 in Italia), un organico di altre cinque o sei operatori per centro diagnostico (6.000 specialisti, 3.000 infermieri, 3.000 tecnici).
L'assistente sanitario dovrebbe operare a tempo pieno in uno o più ambulatori vicino alla popolazione dove, per almeno due volte la settimana, dovrebbe essere presente assieme per qualche ora anche il medico di medicina generale.
L'assistente sanitario dovrebbe occuparsi di tutte le incombenze burocratiche, dovrebbe poter rinnovare le prescrizioni, dare consigli per le piccole patologie, occuparsi delle attività di prevenzione ed essere anche un attento informatore delle ASL sui problemi ambientali e sociosanitari emergenti nella sua area.
Questa proposta vuole essere solo un esempio di possibile ripensamento della sanità territoriale e certo è solo uno spunto di riflessione, non già una proposta compiuta.
Ridare alla prevenzione l'importanza che oggi non gli si riconosce
Di prevenzione si parla, ma se ne fa poca e soprattutto non si sa bene chi debba farla. Si parla di screening, di vaccinazioni e di altro affidato a uffici appositi perlopiù distaccati dal resto dei servizi.
Di prevenzione nella sanità territoriale se ne fa poca e nella medicina di base quasi nulla. Invece è proprio nel rapporto con il medico di base che deve svilupparsi la prevenzione e l'operatore sanitario nel territorio deve essere l'osservatore dei rischi ambientali e lavorativi e deve avere contatti con i dipartimenti di prevenzione. La sanità pubblica deve essere innanzitutto sanità preventiva, mentre oggi spesso si esaurisce in una sanità curativa che considera il paziente avulso dal contesto.
Il 5% della spesa sanitaria riservata alla prevenzione è poco, ma è pochissimo se poi le voci di spesa inserite poco hanno a che fare con la prevenzione. Se da un lato occorre sicuramente che ci sia una struttura che si occupi di prevenzione, dall'altro è importante che la prevenzione sia un obiettivo di tutti i servizi sanitari, di quelli territoriali innanzitutto.
Forse è anche necessario aggiornare i termini con cui si definiscono i servizi e le loro attività: da fine Ottocento, si è sempre usato il termine “igiene” che oggi è spesso sostituito dai termini "prevenzione" e "sanità pubblica", termini che meglio fanno capire il contenuto delle attività. Sostituire il termine "igiene" con il termine "prevenzione" può sicuramente valorizzare maggiormente l'immagine e gli obiettivi preventivi del SSN.
Il ruolo dell'epidemiologia e degli epidemiologi
La sensibilità epidemiologica deve diffondersi in tutti i sanitari che devono contribuire a creare la conoscenza dei rischi della popolazione e delle loro patologie e a valutare la qualità dell'assistenza. Ogni centro diagnostico dovrebbe avere una relazione costante con un servizio epidemiologico capace di definire le informazioni da trasmettere e di indicare le criticità su cui operare. Il sistema informativo sanitario non dovrebbe avere solo compiti gestionali, ma anche, se non soprattutto, compiti di analisi e valutazione delle realtà sanitarie locali.
La trasparenza dei dati sanitari, nel rispetto della privacy, è lo strumento essenziale per permettere la partecipazione della popolazione al governo della sanità.
Il rapporto con la politica locale
La Legge 833/1978 aveva disegnato un rapporto stretto tra dirigenza delle USL e politica locale. La Legge 502/1992, costituendo le Aziende Sanitarie, ha ridotto questo rapporto trasferendolo quasi esclusivamente alla dipendenza dai politici regionali. Di fatto, però, ormai non vi è più un rapporto di partecipazione tra comunità locale e governo della sanità, ma solo un rapporto di potere tra partiti che governano la Regione e dirigenza delle aziende. Sarebbe forse più opportuno, per esempio, che la nomina dei vertici aziendali venisse fatta da un organismo legato alla società locale con la possibilità anche di proporne la sfiducia nel caso di gestione non adeguata.
Una costituente per la riforma della sanità
Una riforma della sanità non può essere un decreto del Governo, magari indirizzato a interessi di parte più o meno elettorali o corporativi. La riforma della sanità deve essere vissuta e condivisa sia da parte dell'ambiente sanitario sia da tutta la popolazione.
Negli anni Sessanta e Settanta, la riforma con la legge 833, poi approvata a Natale del 1978, fu preceduta da un nutrito dibattito tra tutte le componenti sociali e dalla creazione di strutture provvisorie che dovevano avviare il cambiamento successivo.
La sanità non può essere modificata a ogni cambiamento di Governo, per esempio, favorendone od ostacolandone la privatizzazione. Una riforma funzionerà solo se avrà il consenso della grande maggioranza della popolazione, della grande maggioranza dei sanitari, della grande maggioranza di chi governa a livello locale e nazionale.
Una riforma funzionerà se saprà innescare l'entusiasmo di chi la dovrà attuare e l'approvazione di chi ne dovrà riceverne maggiore utilità. In questa operazione, servirà anche una dose di "utopia controllata"!
Allegati
1 - documento "Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico"
2 - documento "Principi per una riforma del SSN"
3 - le proposte del Partito Democratico
4 - le proposte di Forza Italia
5 - le proposte della Lega
6 - le proposte di Azione
7 - le proposte di Cinque Stelle
1.
Cambiare la Sanità? Come e perché?
Trovo assai interessante l'impostazione data alla proposta di cambiamento. Appare un pochino prolissa e non ben chiaro il ruolo che si propone per l'Assistente Sanitario: affidare la parte burocratica per toglierla al MMG va bene. Fare prevenzione bene: un tempo la figura era ASV Assistente Sanitaria Visitatrice, che entrava nelle case e verificava la condizione abitativa e familiare. Ma non mi pare possa dare consigli su piccole patologie: lasciamo questo agli Infermieri di Famiglia/ Comunità. Sostiture "igiene" con "prevenzione" è un concetto bellissimo.
Buon proseguimento
Mario Fiumene