Per chi di noi ha già una certa età, l'immagine del confine è molto presente, e non solo dei confini tra Stati, ma anche tra Città: quando ero bambino, andavamo in famiglia a trovare la nonna fuori città con una Topolino Giardinetta "trasporto merci", al rientro a Milano dovevamo fermaci al casello del Dazio! Tornando dalla Svizzera, i doganieri non solo controllavano se avevi delle sigarette, ma anche cioccolato e dadi da brodo ...

Abbiamo riassaggiato i confini durante la pandemia di COVID-19. Non solo erano tornati i controlli alle frontiere di Stato, ma addirittura non si poteva andare fuori Regione se non per documentati motivi.

La sanità ha creato spesso confini sperando che servissero come barriera per la diffusione delle epidemie, ma ormai – ahimè – in tempo di globalizzazione, i virus trovano strade in cui non viene richiesto il passaporto. Già nei secoli scorsi, comunque, le cronache ci raccontavano di come le barriere dei confini non riuscissero a bloccare le molte epidemie, dal vaiolo al colera, dalla peste alla lebbra e altre.

Se le malattie non rispettano i confini, o tutt'al più ne rallentano provvisoriamente la circolazione, la salute invece non ha confini, né nei territori né nelle società né nei colori dei visi. Ci sono, è pur vero, differenze genetiche, ma quasi mai queste rispettano i confini politici e, se qualche volta accade, oggi accade sempre di meno.

La malattia, la fame, il dolore e non troppe altre cose non hanno confini tra le genti e il bisogno di salute ci accomuna tutti senza distinzione, tanto che l'articolo 32 della nostra Costituzione e anche l'articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani parlano di diritto alla salute.

Come per il bisogno della fame ci possono essere modalità diverse di alimentazione, così può essere per la salute e non è detto che la sanità debba essere uguale ovunque, ma uguali dovrebbero essere i risultati previsti e ottenuti. Il nostro sistema sanitario si chiama "nazionale" anche se la 833 ne stabilisce un'articolazione regionale e locale. Possono – e talvolta devono – esserci modalità organizzative differenti, ma i risultati in termini di salute devono essere uguali. E ce lo ha ricordato il 19 maggio anche il nostro Presidente Sergio Matterella nel suo intervento al Festival delle Regioni a Venezia: «Senza la pratica della leale collaborazione diviene impossibile tutelare interessi fondamentali della collettività. Basti pensare alla materia sanitaria e a come, particolarmente in quest’ambito, il concorso di Stato e Regioni nel perseguire i medesimi obiettivi risulti essenziale, perché l’esercizio delle rispettive competenze ha un solo fine, doverosamente comune: il diritto alla salute dei cittadini».

L'autonomia organizzativa può essere necessaria, perché molto associata alla responsabilizzazione della gestione dei servizi. Un centralismo eccessivo può rendere l'azione troppo rigida e incapace di adeguarsi alle differenze ambientali e sociali, ma l'autonomia dei governi regionali non deve creare disuguaglianze di accesso ai servizi sanitari e di risultato in termini di salute. 

Ci sono soprattutto aspetti che non possono e non devono essere lasciati alle scelte locali, e sono gli aspetti dei rischi che non conoscono confini. Si possono fare molti esempi come gli inquinamenti e le epidemie: sarebbe assurdo che ciascuna Regione prendesse provvedimenti differenti, magari anche contrastanti, e ci ricordiamo i problemi durante i primi giorni del Covid! Il coordinamento nazionale è indispensabile.

E ugualmente si deve affermare la necessità di un coordinamento tra gli Stati per tutti i temi riguardanti la salute e le epidemie in particolare. Ed è per questo che l'OMS ha preparato l'Accordo Pandemico Globale così presentato dal Consiglio dell'Unione Europea: «La COVID-19 ha dimostrato che nessun governo o istituzione può affrontare da solo la minaccia di pandemie future. In un mondo in cui le malattie infettive sono in aumento e i virus attraversano le frontiere, è essenziale essere più preparati e più resilienti per combattere le future minacce sanitarie mondiali. I Paesi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stanno collaborando a un nuovo strumento globale volto a proteggere meglio le persone, le comunità e i Paesi da pandemie future».

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Centoventiquattro Paesi lo hanno votato e approvato; l'Italia, insieme ad altri dieci Paesi, tra cui Iran, Israele, Russia, Slovacchia e Polonia, si è astenuta, dopo aver chiesto, ma anche tra l'altro ottenuto, che l'OMS, attraverso questo piano, non potesse in alcun modo superare i poteri delle sovranità nazionali. I commenti a questa astensione sono stati molti e tra questi Walter Ricciardi si è dichiarato stupito, «perché il nostro Paese era stato tra i promotori del trattato pandemico tre anni fa». Di avviso opposto Marco Lisei, presidente della commissione COVID-19 e senatore di Fratelli d'Italia che, invece, plaude all'astensione. È pensabile che su problemi di questa gravità sia giusto che i Paesi possano andare in ordine sparso? Il sovranismo è un valore superiore al coordinamento su temi come la salute? Questa è purtroppo anche l'opinione del ministro della sanità USA Robert F. Kennedy Jr, che infatti esorta altri Paesi a unirsi agli Stati Uniti nel considerare l'uscita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Ma che sta succedendo nell'opinione pubblica e nei programmi della politica mondiale? La salute non è più un problema da affrontare assieme? È pensabile che ciascuno faccia da solo? Sia pensando a livello di ciascun individuo, di ciascun distretto, di ciascuna Regione, di ciascun Paese, di ciascun continente?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, in inglese World Health Organization (WHO), fu istituita con il trattato adottato a New York nel 1946, entrato in vigore nel 1948. Ha sede a Ginevra. L'OMS promuove la cooperazione internazionale nel settore della sanità, in particolare nella lotta contro malattie infettive e nella gestione delle emergenze sanitarie globali. Elabora inoltre raccomandazioni, convenzioni e altri atti internazionali nei settori di sua competenza. Perché allora contrastarla dopo che per vari decenni ha aiutato il mondo a superare molte emergenze sanitarie? Anche il Governo italiano vorrebbe distruggerla? Speriamo proprio di no, seppur vari possibili miglioramenti sarebbero forse auspicabili.

Credo che tutto nasca dal tentativo della politica di riprendere il sopravvento su altre realtà e, tra questa, anche la scienza in genere e la scienza medica in particolare. La politica gioca tra il potere e il consenso, la scienza medica tra la ricerca e la soluzione dei problemi di salute. Se il potere politico non accetta i propri limiti e si fa arrogante, non può tollerare i limiti dell'evidenza scientifica.

I due grandi peccati mortali in campo sanitario sono oggi la negazione delle evidenze e il non rispetto delle uguaglianze, e la sanità rischia di meritarsi sempre più l'inferno! Basta confini di salute tra aree, basta confini di salute tra classi sociali. Non si può tollerare da una parte la mancanza di rispetto per l'evidenza scientifica, dall'altra la progressiva privatizzazione della sanità che porterà sempre più differenze di salute tra ricchi e poveri.

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