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Malattie infettive; Sanità Pubblica

Il Nuovo Piano Pandemico è tutto da discutere
Il Ministero della Salute ha in corso l’elaborazione del nuovo piano pandemico. Molte sono state le obiezioni e le critiche e per gli epidemiologi questo è un argomento certo non trascurabile.
Proponiamo di aprire il dibatto nel merito sul nostro blog confidando che diversi lettori, in particolare i giovani, che è probabile che si ritroveranno ad affrontare le inevitabili future pandemie, vogliano inviare un contributo non solo con eventuali critiche al testo proposto dal Ministero, ma anche, e soprattutto, con analisi e proposte sul da farsi in caso di pandemia. Iniziamo il dibattito con due interventi di Stefania Salmaso e di Cesare Cislaghi.
SSN e piani pandemici
Stefania Salmaso

A proposito di scelte e organizzazione del nostro SSN, oltre ai problemi quotidiani e di ordinaria amministrazione, non può essere ignorato il problema del cosa fare in caso di pandemia o comunque di emergenza sanitaria infettiva. Per quanto tutti ci auguriamo che una prossima pandemia arrivi il più tardi possibile, sappiamo che la reazione del SSN a simili evenienze ha le radici nella organizzazione della situazione ordinaria e nella capacità di avere bene presente, in tempi interpandemici, la risposta da mettere in campo. Il problema è comunque di attualità dato che sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni è approdata la bozza del nuovo Piano Pandemico, presentata dal Ministero della Salute, che prevede anche che ogni regione e provincia autonoma rediga un proprio piano organizzativo adeguato a quanto definito a livello nazionale.
È evidente che, per molti aspetti della prevedibile risposta, la responsabilità principale rimanga a livello centrale nazionale se non addirittura a livello europeo, come ad esempio la disponibilità di dispositivi di protezione individuale (es. mascherine) o la disponibilità di nuovi farmaci e vaccini (approvati a livello europeo e acquistati con contratti centralizzati). Tuttavia ci sono molti aspetti cruciali della risposta ad una pandemia che dipendono dalle capacità locali di sorveglianza e intervento e per i quali ogni regione dovrebbe garantire un livello adeguato e uniforme di competenza e organizzazione. La pandemia ci ha definitivamente convinto che quello che succede in una regione ha conseguenze inevitabili su tutto il resto del paese, per cui vale la pena discuterne e coordinarsi. Ci sono diversi ambiti e azioni che, anche se non immediatamente ricollegabili alla pandemia, devono essere presi in considerazione e integrati nella capacità di allerta e risposta locale.
Per scopi di programmazione dei servizi sanitari già da tempo il Ministero della Salute ha avviato un progetto che produca un modello nazionale di classificazione e stratificazione della popolazione (MNS) che permetta di segmentare e stratificare la popolazione per classi di rischio/bisogno di salute a cui destinare interventi mirati e sostenibili. A livello centrale lo scopo è descrittivo per l’allocazione delle risorse e la costruzione di modelli predittivi sulla più probabile evoluzione dei bisogni di salute, ma a livello locale una simile attività permetterebbe di conoscere esattamente la popolazione di assistiti e individuare le persone a maggior rischio di complicanze e quindi di richiesta di assistenza su cui mirare gli interventi di controllo della diffusione di infezioni gravi. La recente pandemia ha colpito in particolar modo le persone con condizioni di comorbidità cronica. Sarebbe inefficiente aspettarsi che ogni regione o ASL metta a punto un proprio piano di stratificazione della popolazione, mentre un sistema che individui le basi di dati disponibili e utili e il modo di utilizzarle dovrebbe essere condiviso da tutti. Il piano pandemico locale intercetta le azioni già previste e disegnate per altri scopi, ma il loro utilizzo deve essere previsto e codificato. Soprattutto è importante che chi si occupa di prevenzione anche a livello locale abbia costantemente accesso e capacità di lettura di dati necessari per risposte tempestive e mirate.
Un altro punto cruciale è la messa a punto di sistemi di allarme, basati su segnali di situazioni inconsuete. Ancora oggi ci interroghiamo su quando SARS-CoV-2 sia iniziato a circolare in Lombardia e in Veneto e se ci siano stati degli incrementi o cluster di malattie respiratorie che avrebbero potuto innescare indagini e azioni per circoscrivere le infezioni. Nel piano nazionale questa attività è definita come “epidemic intelligence” ed è prevista a livello centrale con analisi di dati dal sistema di sorveglianza delle emergenze e urgenze (EMUR) che nasce dalle richieste di intervento al 118 e ai Pronto soccorso. Nel programma dedicato alla salute del PNRR (Missione 6, target comunitario 280) è previsto anche un finanziamento per l’informatizzazione dei 281 Dipartimenti di Emergenza e Accettazione, che, al momento dell’ultimo aggiornamento disponibile, aveva speso il 21% delle risorse previste. Non sappiamo la granularità con cui il sistema a livello centrale potrebbe generare “segnali” (per definizione molto sensibili e poco specifici) ma certamente la lettura dei dati a livello locale farebbe guadagnare tempo prezioso se all’individuazione di un “segnale” segue una verifica e un’indagine epidemiologica in grado di caratterizzare la situazione e innescare o bloccare ulteriori attività.
L’entusiasmo per l’analisi di grossi volumi di dati, l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale, le buone potenzialità dei modelli matematici hanno messo in ombra le indagini sul campo, in cui determinare tassi di attacco, modalità di esposizione e contagio e severità clinica in base alle caratteristiche dei singoli pazienti. La qualità di questi dati è fondamentale per costruire modelli matematici che riescano a descrivere e prevedere l’evoluzione della diffusione di una infezione.
Sarebbe importante verificare quali strutture e con quali risorse in ogni singola regione saranno designati ad affrontare questi punti critici iniziali per i piani pandemici e sarebbe ideale disporre tutti di strumenti comuni con cui valutare anche l’effetto delle azioni messe in campo.
Come individuare il rischio pandemico
Cesare Cislaghi

Il primo problema che riguarda una epidemia è quello di individuare, il prima possibile, il rischio che inizi per poter, o almeno cercare di, evitare o per lo meno limitare la diffusione.
Innanzitutto, sicuramente la prima attenzione deve costantemente essere data alle informazioni che vengono dall'estero, e quindi una forte attenzione a ciò che può entrare nel paese, persone e merci, per individuare e bloccare i possibili vettori dell'infezione. Sappiamo però che da sempre, e non solo da quando il mondo si è globalizzato, è sempre risultato difficile creare una barriera impenetrabile anche perché quasi sempre l'introduzione degli agenti infettivi ha preceduto le informazioni da oltre confini.
Si può pensare di attivare dei monitoraggi della presenza di agenti infettivi nell'ambiente, ad esempio analizzando le acque reflue, ma difficilmente si riuscirà ad ottenere un segnale precoce quando l'infezione è ancora sul nascere e non si ha una ipotesi precisa dell'agente responsabile. Sarà quindi quasi sempre necessario utilizzare le informazioni relative a sintomi o a diagnosi, e per far questo sarà quindi necessario avere sistemi informativi che ne raccolgono le informazioni.
Si possono ipotizzare tre tipi di possibili rischi di diffusione epidemica:
la prima situazione è relativa a patologie molto gravi, conosciute e facilmente diagnosticabili, ma attualmente non presenti nel continente, come ad esempio il vaiolo o il colera. In questo caso è necessario, e già attivo, un. obbligo di segnalazione da parte di chi ne fa diagnosi per attivare immediatamente misure di isolamento dei malati e dei loro eventuali contatti. Questa situazione, di per sé potenzialmente molto grave, non comporta però difficoltà di individuazione dei rischi.
la seconda situazione riguarda patologie conosciute, solitamente endemiche ma poco frequenti, come può essere un tifo o una epatite virale, solitamente episodiche che devono essere trattate con misure appropriate, ma che solitamente non producono situazione di vera e propria epidemia. Anche di queste è necessario individuare i soggetti malati, attivare le misure preventive monitorando però che non si creino cluster spazio-temporali. Un sistema di segnalazione tempestiva alle autorità sanitarie locali e nazionali può essere sufficiente se chi riceve le informazioni è in grado di valutare se l'infezione stia o meno diffondendosi.
la terza situazione è quella che crea maggiori problemi ed è relativa a patologie, ad esempio come il Covid, che hanno sintomatologie incerte e confondibili con altre patologie solitamente presenti sul territorio. In questi casi le denunce di malattia infettiva non funzionano perché nei casi singoli chi fa diagnosi non vede immediatamente il rischio di diffusione. Non si riuscirà quindi a determinare il rischio epidemico ai primi casi, ma solo quando incominciano ad esserci dei primi cluster soprattutto se caratterizzati da esiti gravi. Le anomalie quindi che si devono cogliere non sono tanto legate a singoli sintomi ovvero a singole patologie, ma la loro aggregazione anomala, solitamente presente solo in alcune aree. E' quindi essenziale poter disporre di un sistema che raccoglie dei dati di ricorso ai sistemi sanitari, come le diagnosi nei Pronto Soccorso, o dati correlati allo stato patologico, come le assenze dal lavoro o dalle scuole.
In questo caso occorrerà quindi un sistema automatico di analisi dei data base disponibili capace di segnalare situazioni considerate critiche. Il sistema deve disporre di una buona sensibilità, ma soprattutto un'ottima specificità perché se emergono troppi segnali il sistema diventa ingestibile e non verrà utilizzato. Per ogni segnale che viene prodotto automaticamente, comunicato a livello locale ma raccolto anche a livello centrale, si dovrà provvedere ad una analisi approfondita sul campo.
Per attivare un sistema di questo tipo sono necessari tre elementi:
- dei dati affidabili, tempestivi, completi e analizzabili sia a livello di ASL, che di Regione che di Ministero.
- un sistema automatico sensibile di analisi capace di cogliere le realtà compatibili con situazioni a rischio ma anche molto specifico per non produrre troppi falsi positivi.
- una equipe epidemiologica capace di indagare nelle situazioni segnalate, e in contatto con altre equipe per condividere il prima possibile sia i dubbi che le certezze.
Di tutti questi possibili sistemi di osservazione ed analisi non è possibile pensare che possano essere assegnati ad attività volontarie o svolte solo da equipe particolarmente illuminate. Questi sistemi devono essere definiti come obbligatori e costantemente valutati. Sarà perciò importante che i costi di questi sistemi non siano proibitivi e soprattutto inferiori ai costi che il sistema sanitario dovrebbe sostenere se si sviluppasse una epidemia.
1.
commento sui piani pandemici
Un piano pandemico vero e basato sulla mobilitazione societaria non può più essere un documento solo sanitario o logistico e quindi dovrebbe:
Una popolazione che sa leggere un grafico epidemiologico, che distingue una misura precauzionale da un’imposizione arbitraria, che sa riconoscere le fonti attendibili, è una popolazione più libera anche in emergenza.
Dovrebbe poi:
La trasparenza, in emergenza, salva più della rassicurazione falsa.
Prima di ogni altra cosa, infine, chi governa dovrebbe ricordarsi di preparare una società intera, non solo i reparti di terapia intensiva, e quindi: