Di una epidemia è molto importante capire la dinamica con cui si sviluppa, ma altrettanto è necessario capire i meccanismi della sua decrescita. I fattori determinanti dello sviluppo sono la contagiosità dell’agente infettivo, la suscettibilità della popolazione, la frequenza delle occasioni dei possibili contagi. Oltre a questi determinanti ci sono poi anche altri fattori favorenti che agiscono sull’intensità dei determinanti. Tra questi, per le epidemie influenzali, ad esempio, vi sono le condizioni climatiche; infatti anche in estate vi sono episodi di sindromi para influenzali, ma sicuramente sono estremamente più rare che in inverno.

Capire come si sviluppa una epidemia è essenziale per cercare di impedirne la crescita, ma altrettanto importante sarebbe individuare cosa la faccia cessare, per poter cercare di favorirne la fine. Dei tre fattori determinanti non sembra che si possa dire che in queste ultime settimane sia diminuita la contagiosità del virus e delle sue mutazioni, almeno così sembrano sostenere i virologi. Inoltre, per quanto riguarda le modalità di contagio oggi le condizioni sarebbero molto più favorenti degli anni passati in quanto sono del tutto sparite le precauzioni. Il Covid, invece, sinora non sembra avere risentito della stagionalità; nei cinque anni ci sono state ondate anche nei mesi caldi anche se i picchi massimi si sono verificati in inverno. 

Rimarrebbe allora da esaminare la suscettibilità della popolazione condizionata sia dalle pratiche vaccinali sia dalle pregresse infezioni, fattori che possono entrambe dare livelli di immunità. Ma i casi di reinfezioni in passato sono stati molteplici evidenziando così una relativa scarsa immunità post infezione e quindi non dovrebbe bastare questo fattore a spiegare la fine dell’epidemia. Anche per i vaccini si deve dire che ormai per la maggioranza della popolazione é passato diverso tempo dall'ultimo richiamo e si è più volte affermato che l’immunità vaccinale, efficace nell'evitare complicazioni, è risultata invece parziale rispetto al contagio.

E poi, perché pur essendo i contagi molto diminuiti, non sono del tutto spariti? E perché continuano ad un livello pressoché costante? Questi i grafici con gli ultimi dati e le ultime stime:

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Nella settimana dal 31 marzo al 6 aprile i contagi registrati e riportati sul sito del Ministero sono stati 291 e i decessi 13, l'occupazione dei posti letto da parte di ricoverati positivi è stata il 2 aprile di 633. L'Iss, con il programma RespVirNet che si avvale delle segnalazioni di "Medici Sentinella", nella settimana ha stimato 356.000 casi di sindromi para influenzali di cui lo 0,73% dovute al virus Sars-Cov-2, potendo cosi calcolare 2.587 contagi settimanali, stima probabilmente più aderente alla realtà dell'attuale circolazione del virus. Il monitoraggio dell'incidenza di una patologia infettiva mediante un campione di medici rilevatori è un modello da seguire e da affiancare alle rilevazioni generali per via di obbligo di denuncia. Queste ultime rilevazioni sottostimano infatti la realtà quando molte delle diagnosi non vengono effettuate o lo sono solo mediante test autosomministrati, e ciò accade ancore di più quando la percezione della gravità dell'epidemia diminuisce.

Tecnicamente l'epidemia, in senso medico, non può definirsi terminata perché lo sarebbe solo se per due successivi tempi pari alla durata dell'incubazione, cioè circa 15 giorni, non ci fossero più casi. invece, è finita l'epidemia in senso sociale in quanto la popolazione non ha più la percezione del rischio, ed è finita l'epidemia in senso gestionale in quanto è finita l'emergenza sanitaria ed ospedaliera, come anche l'WHO ha ultimamente riconfermato. Ma l'infezione continua e per definire questa situazione usiamo il termine endemia, cioè "un agente infettivo che è costantemente presente in una popolazione senza immissioni esterne". In una situazione con equilibrio endemico l'indice di riproduzione R0 è pari ad 1, cioè la frequenza di casi rimane presso ché costante, come sta infatti succedendo in queste ultime settimane.

Ma se i contagi sono solo interpersonali, per contatto o attraverso l'ambiente, come si ritiene sia per il virus Sars-Cov-2, un R0=1 significa che ogni contagiato in media è responsabile di aver causato il contagio di un altro soggetto. Ma la media potrebbe nascondere anche dei cluster prodotti da un solo soggetto, ma che poi non si riproducono a loro volta. Forse allora sarebbe importante riprendere alcune delle attività di contact tracing per capire bene come e perché si sono contagiati i pochi sfortunati di oggi. Si è portati a studiare l’epidemia quando c’è uno stato di emergenza, e questo è naturale. Ma riuscire a scoprire cosa determina oggi la permanenza dei casi di contagio permetterebbe meglio di capire i meccanismi della diffusione del virus.

I dati ufficiali del Ministero non ci aiutano molto in quanto, probabilmente, sono solo frutto di diagnosi effettuate in ospedale e non sono disponibili informazioni utili per analizzare le modalità del contagio. È opportuno chiedersi se i pochi contagi oggi si manifestino in cluster territoriali ovvero sorgano isolatamente senza apparenti legami tra di loro. E tra questi contagi quanti già erano stati contagiati in passato e quindi non avevano avuto una pur non completa immunizzazione? Sarebbe utile anche verificare se i nuovi contagi sono prevalentemente di soggetti che non si sono mai vaccinati o vaccinati da molto tempo, ovvero anche vaccinati ultimamente. Parliamo di suscettibilità, ma forse potrebbe verificarsi una suscettibilità selettiva nei confronti di diverse varianti del virus, e quindi anche una contagiosità selettiva e non generica. 

Ciò che determina la transizione da epidemia ad endemia non è immediatamente evidente e attualmente non sembra che si stia compiutamente analizzando questo aspetto. I lavori in letteratura su questo argomento non sono molti e chi ne conosce è invitato a segnalarli inviando un commento a questo post.

 

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