Rubriche minuti di lettura
A cura di Paola Michelozzi
E&P 2012, 36 (3-4) maggio-agosto, p. 215-216
DOI: —
Ambiente
Negazionismo: il riscaldamento globale e altri scettici
Negationism: global warming and other skeptics
Riassunto
Come ben documentato dal libro di Oreskes e Conway,1 esistono diversi modi per gettare discredito su una tesi scientifica, uno dei quali è sollevare costanti dubbi sulla credibilità delle prove (tanto è vero che il titolo è Merchants of doubt). Affiancare a prove a favore della tesi apparenti prove a suo sfavore è un modo comune per seminare dubbi e dividere l’opinione pubblica: è stato fatto storicamente per il fumo attivo e poi per quello passivo, per le piogge acide, per l’ozono, per i pesticidi e recentemente per il riscaldamento globale. Come mostrato nel libro, spesso gli scienziati coinvolti nello smontare le prove sono gli stessi, impegnati su argomenti molto disparati.
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Commenti: 2
1.
Negazionismo, Economist e Lomborg
Per anni ho letto l'Economist, rivista che per molti versi mi appare seria ma che, sui fenomeni climatici, si è sempre mostrata, stranamente, scettica.
Con un punto, però, a mio parere debole: per sostenere le sue tesi negazioniste in materia ambientale si rifaceva quasi sempre ed esclusivamente a pareri di Biorn Lomborg. Il quale, prima fu ambientalista convinto, poi divenne negazionista convinto- quello, appunto, cui ricorreva l'Economist - poi, pare ora, dubbioso convinto.
Questa fu una delle ragioni per cui smisi di leggere quella rivista. Anche se, pur proclamandosi una testata liberal, ebbe il coraggio di duchiarare Berlusconi "unfit" a governare un paese che vuole esser civile.
Cosa pensate dei comportamenti sia dell'Economist che di Lomborg?
2.
scienza e media
Il commento di Salvatori pone una questione importante. Dobbiamo evitare le spiegazioni semplicistiche, in cui tutto viene spiegato da qualche interesse, più o meno colluso. Gli interessi ci sono su questa come su tante altre questioni, ma il cui prodest penso ci nasconda la complessità della questione e ostacoli la capacità di intervenire. In ambito scientifico il caso Climate Change non è unico. Io mi occupo di mammografia e screening, altro tema oggetto di grandi controversia. Qualcosa di simile si è sviluppato sulle vaccinazioni, pensiamo alla polemica sull’autismo.
Il climate change con la modellistica che vi sta dietro è questione metodologicamente molto sofisticata e con assunzioni che richiedono scelte soggettive; nella sostanza a poter entrare con competenza nella tecnicalità del problema sono pochi nel mondo. Le posizioni del gruppo scientifico, che spesso è costituito da poche decine di persone nel mondo intero, divengono, per la rilevanza e l’emozione collegata al tema oggetto di comunicazione, soprattutto nei media anglosassoni che sono, giustamente, molto sensibili alle questioni di scienza, la versione corrente. La comparsa di un punto di vista ‘competitivo’ è vissuta nel mondo mediatico come una grande opportunità, crea la discussione e la notizia; mette in crisi la visione divenuta main stream e apre un confronto aspro e sempre con grande visibilità mediatica. La questione dei metodi, della scientificità, della complessità va nello sfondo, rimane solo l’effetto talk show: fa presa chi contrasta una posizione che è considerata consolidata. Nello screening mammografico è successo qualcosa di simile. I ricercatori che si occupano da sempre di screening e hanno competenza metodologica sono considerati in conflitto di interesse, anche se in gran parte sono operatori di sanità pubblica, e ad essi si contrappongono ricercatori che hanno il favore dei media , come il British Medical Journal, molto influente. Di qui largo spazio a posizioni che si ritengono comunque utili per rompere l’unanimismo intorno a un tema e che fanno notizia. Il confronto metodologico è troppo complesso per questi media e quello che impatta e fa notizia è il crollo del mito e di ciò che è vissuto come imposizione dell’establishment.
La conversione di ricercatori che mentre alcuni pubblicano i manifesti anti climate change dimostrano la correttezza di posizioni che hanno contrastato sulla New York Review of books, seguito più recentemente da un altro esempio , meno chiaro ma comunque importante, sempre riportata sulla stessa rivista sta forse a dimostrare che, come in generale sta avvenendo nella nostra società, si sta uscendo dalle bolle mediatiche e ritornando a guardare ai dati, ai risultati degli studi, alla complessità dei metodi. Speranze? Forse, ma preferisco crederci. Comunque la questione sul rapporto tra complessità scientifica e media (scientifici e no) è tutta da studiare...