Epidemiologia&Prevenzione
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Le rubriche di E&P

Occhio ai granchi!

A cura di Cesare Cislaghi e Carlo Zocchetti

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L’avvicinarsi delle scadenze relative alla applicazione nel nostro paese del federalismo fiscale ha accentuato il dibattito attorno ad alcune tematiche peculiari per il servizio sanitario nazionale. A prescindere da ciò che si pensa in proposito e dalle tesi che sono state sostenute da vari attori, ad esempio, è indubbio che l’argomento “costi standard” ha avuto il pregio di portare alla attenzione del pubblico (e non solo degli esperti) la necessità di mettere a confronto le caratteristiche peculiari dei diversi servizi sanitari regionali: quali sono i migliori (e i peggiori)? Quali i più efficienti (o inefficienti)? E quali i più efficaci (nell’esito delle cure)? Già, ma come rispondere a queste (ed a molte altre) domande?

Gli anni recenti hanno visto il dispiegarsi di molte proposte diverse: singoli ricercatori, consulenti, gruppi, università, enti, regioni, ministeri, ciascuno con i propri obiettivi ed i propri punti di vista, hanno cercato di segnare il terreno con iniziative spesso interessanti ma in genere poco condivise e disturbate soprattutto dalla “voglia di classifiche” che c’è nell’aria. Chi scrive ritiene che l’ottica della valutazione, nei servizi sanitari, è una prospettiva fondamentale e che deve essere perseguita con molta più intensità di quanto non si faccia oggi, ma che l’approccio a classifiche (league tables) prevalentemente adottato non è del tutto adeguato nel contesto sanitario (ed in particolare nella valutazione di interi sistemi sanitari regionali) e non aiuta il processo di crescita che è in corso.

È indubbia, però, la necessità del confronto, o del benchmarking come si usa dire in alcuni contesti, anche quando poi di tale confronto non si accettano gli esiti (perché è difficile non sentirsi “i primi” se ti chiami Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, …), ma tale confronto deve essere indirizzato al miglioramento complessivo dei servizi sanitari regionali con le loro peculiarità locali.

Mille facce, mille sfumature, molti approcci e molte logiche, caratterizzano i percorsi valutativi (ed è un bene che sia così), ma al di là delle differenti metodologie (e dei conseguenti diversi esiti) si ritrovano in questo viaggio alcuni elementi comuni che vale la pena di esaminare perché presentano grosse peculiarità strettamente tecniche. Il dibattito sulla valutazione deve rimanere un dibattito sostanzialmente aperto (quanto ad obiettivi, percorsi, metodi, strumenti, risultati, …) ma deve, contemporaneamente, essere saldamente ancorato ad alcuni pilastri non negoziabili. Uno di questi pilastri indiscutibili è il capitolo degli indicatori (perché la valutazione, almeno quella che abbiamo in mente, è una valutazione sostanzialmente quantitativa, o per lo meno fondata su dati misurabili), ma non tanto per la scelta di quali debbano essere utilizzati nel caso specifico (che è ovviamente oggetto di continua discussione) bensì per quanto attiene al loro calcolo (una volta che siano stati identificati gli indicatori da utilizzare).

L’argomento sembra facile, ma lo è solo in apparenza: basta un piccolo (e superficiale) tour tra i gruppi di indicatori che vanno per la maggiore (si pensi agli indicatori per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza, agli indicatori per gli adempimenti delle regioni, agli indicatori del recente patto per la salute 2010-2012, tanto per rimanere solo agli indicatori che potremmo chiamare più “istituzionali”) per capire le insidie che si nascondono nell’argomento, ed in particolare le insidie riferibili alla definizione degli indicatori ed al loro calcolo. Nel recente convegno primaverile dell’AIE a Roma (20-21 maggio 2010) sono stati fatti alcuni tentativi (ad esempio attraverso un piccolo corso che ha preceduto il convegno stesso ed attraverso alcune delle relazioni che sono state presentate durante la giornata di convegno) per mettere un po’ di ordine iniziale nella tematica, soprattutto per richiamare l’attenzione degli operatori nei confronti dei potenziali pericoli cui il calcolo degli indicatori può andare incontro. Ne è nato uno slogan figurativo che è sembrato abbastanza efficace per sottolineare le insidie della materia e che abbiamo pensato di riprendere: “Occhio ai granchi”.

Con questa nuova  rubrica, “Occhio ai granchi!” appunto, abbiamo pensato si possano raggiungere almeno tre diversi obiettivi, tutti riferiti al tema degli indicatori:

  • Catturare i granchi (cioè ridurre al minimo gli errori). Non si intende fare riferimento ad eventuali evidenti errori di calcolo (o di formulazione degli indicatori), sempre in agguato ma facilmente correggibili proprio per la loro evidenza. Il granchio è invece quell’indicatore che è costruito per dire una cosa ma invece ne dice un’altra; è quell’indicatore che contiene problemi di definizione o di calcolo subdoli, non facilmente riconoscibili, difficili da scovare, ma gravissimi per quanto riguarda gli esiti; è quell’indicatore che produce una indicazione fuorviante; e così via. Gli esempi iniziali presentati nel convegno e nel corso AIE fanno ritenere da una parte che i granchi possano essere tanti e dall’altra che possano però anche essere individuati e corretti (almeno la maggior parte): si tratta semmai di fare un po’ di lavoro per mettersi d’accordo su alcuni aspetti di definizione e di calcolo (ma in genere si tratta di dettagli). Come sempre, qualche granchio sarà più difficile da catturare o più complicato da correggere: vorrà dire che in questi casi ci vorrà un impegno maggiore.
  • Costruire indicatori facendo ricorso a strumenti (calcoli, algoritmi) corretti (fare i conti giusti e in maniera adeguata). Nel caso di molti indicatori il calcolo dell’indicatore stesso non passa attraverso una operazione banale (si pensi a tutti gli indicatori standardizzati, o pesati, o corretti per qualche tipo di variabile, e così via): quando il calcolo non è elementare è bene che la metodologia di calcolo sia nota e condivisa. In questo caso scopo della rubrica è presentare esempi specifici di calcolo che chiariscano in maniera esplicita ed evidente gli algoritmi computazionali da adottare, così che gli indicatori siano replicabili in situazioni e contesti differenti: in assenza di luoghi in dove si impara questa materia la rubrica svolge quindi anche una funzione didattica.
  • Discutere, più in generale, problemi relativi alla definizione degli indicatori: i flussi informativi necessari, l’utilità di ricorrere a metodi di correzione e aggiustamento, la possibilità di costruire indicatori complessi o combinazione di altri indicatori, e così via. E’ evidente che questo obiettivo, che pur essendo molto più generale dei due precedenti vuole comunque rimanere nell’ambito degli argomenti tecnici, si apre ad argomenti che definire tecnici potrebbe sembrare un azzardo: scopo della rubrica deve essere quello di stimolare la discussione e la riflessione, mettendo in evidenza le potenziali distorsioni cui un indicatore può dare luogo (diventa un granchio) se non si tiene conto di opportune condizioni o precauzioni.

E poiché gli indicatori rappresentano un contenitore potenzialmente infinito di situazioni da misurare e valutare, almeno in prima approssimazione si ritiene di mettere particolare enfasi sulla valutazione dei sistemi sanitari, ben sapendo che in questo modo non si esaurisce l’argomento ma si sceglie un punto di vista che in questo momento è di particolare rilievo per il nostro paese. Dipenderà poi dai suggerimenti dei lettori indirizzare la rubrica verso le tematiche che troveranno maggiore interesse.

Cesare Cislaghi
Mi chiedono se sono un epidemiologo o un economista sanitario … non so mai rispondere perché non so proprio quali siano i confini delle due discipline. Mi occupo di analisi quantitativa dei sistemi sanitari e credo che questo abbracci le due discipline. In altri settori dell’economia l’analisi della domanda è una sua parte e quindi l’epidemiologia rientrerebbe nell’economia; è anche vero che se epidemiologia è analisi dei problemi della salute della popolazione, allora l’economia sanitaria rientra in essa … chissà! In ogni caso sono stato presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia e sono Professore Universitario di Economia Sanitaria presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Milano dove ho iniziato nel 1970 a lavorare presso l’Istituto di Biometria e Statistica Medica con Giulio Alfredo Maccacaro.. Ho lavorato sette anni presso l’Agenzia Sanitaria Regionale della Toscana e adesso lavoro da tre anni presso l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali; mi sono per un po’ allontanato dall’Università perché ho cercato di svolgere un lavoro più utile ed a maggior impatto sulla realtà sanitaria italiana.. Mi mancano pochi anni alla pensione e di guai però ne vorrei combinare ancora molti: guai contro l’accademia culturalmente chiusa in se stessa, guai contro il potere sempre più noiosamente autoreferente, guai contro un mercato che non riconosce l’equità, guai contro me stesso che sono quelli che sinora ho praticato di più. Di buono forse ho fatto anche qualcosa, sul lavoro non so, forse sì; di sicuro ho insegnato a molti ad andare in barca a vela, ho attraversato il mediterraneo in lungo ed in largo ed ho cresciuto tre figli che mi pare siano contenti di avermi come papà. Quando mi chiedono l’Impact Factor dico di avere un articolo su Nature e poco altro; ho pesato le mie pubblicazioni e sono 12.6 chili, ma quelle più leggere sono le migliori. Per il resto il mio curriculum è noioso come quello di quasi tutti e non interesserebbe a nessuno ; di sicuro non pubblicherò la mia autobiografia, ma se lo facessi parlerei pochissimo del mio lavoro e tanto di tutto ciò che di magnifico e tutto ciò che di schifoso ho incontrato nella mia vita iniziata il 15 settembre 1943 sotto i bombardamenti, con il re in fuga e con mio padre piombato in un carro verso i campi di concentramento tedeschi: è forse per questo che da allora, tutto sommato, la vita mi è sembrata abbastanza facile anche se non lo è stato per nulla. Ma saper navigare a vela serve! Almeno per saper affrontare le burrasche della vita.

Carlo Zocchetti
Nato a Gallarate (VA) il 11.5.1952, laureato in ingegneria elettronica il 12.6.1978 presso il Politecnico di Milano. Ha sviluppato la sua formazione su argomenti metodologici di epidemiologia e statistica sostanzialmente partecipando, oltre alla Scuola di Specializzazione presso l’Istituto di Biometria dell’Università di Milano, a diversi corsi internazionali di aggiornamento. Da settembre 1978 ad aprile 1997 ha svolto attivita' di consulenza e ricerca su tematiche di epidemiologia occupazionale e dei tumori presso l'Istituto di Medicina del Lavoro dell'Universita' degli Studi di Milano, e da maggio 1997 è dirigente dell’Osservatorio Epidemiologico della Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia dove si è occupato di flussi informativi, di programmazione sanitaria, di valorizzazione economica e di valutazione delle attività sanitarie, dedicando molte energie anche alle attività di formazione.

 

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