Il 22 luglio 2022 ci ha lasciati Ettore Marubini. Erano tanti anni, più di una diecina, che non ci eravamo più incontrati e avevo di lui qualche notizia solo indiretta attraverso colleghi comuni.

I miei ricordi con Ettore risalgono a più di mezzo secolo fa, quando, nell’autunno 1966, arrivai all’Istituto di biometria e statistica medica dell’Università di Milano, diretto da Giulio Alfredo Maccacaro, che era in quel momento in fase di dinamica espansione. Ettore stava gradualmente lasciando la sua posizione professionale presso la Farmitalia e aveva cominciato a far parte a tempo parziale dell’Istituto, che occupava due appartamenti in uno stabile al numero 27 di via Strambio, non lontano dall’Istituto nazionale tumori in un’ala del quale ci trasferimmo nel 1968. Tra noi collaboratori diretti di Maccacaro e di formazione iniziale non matematica Ettore era già chiaramente il più dotato e appassionato per gli sviluppi metodologici più sofisticati, per i quali continuava ad approfondire sia le basi sia gli strumenti teorici indispensabili. Sono di quel periodo i lavori in campo auxologico con l’uso di diversi tipi di curve di crescita corporea su dati di popolazioni di adolescenti, in linea con quanto di meglio si faceva allora in ambito internazionale. Così come lo sono le collaborazioni per l’analisi di dati di patologie epatiche con il neonato gruppo di epatologia della Società italiana di gastroenterologia, gruppo i cui clinici esercitarono un’influenza non marginale nel promuovere la nascita di un’associazione di epidemiologia.

Per la microstoria accademica, un significativo episodio in cui Ettore e io siamo stati insieme coinvolti merita un cenno. Nel dicembre 1970, passammo l’esame di abilitazione alla libera docenza, che per la prima volta era denominata specificamente “Biometria e statistica medica”. L’aspetto più notevole era la composizione della commissione: oltre al segretario (rappresentante dei liberi docenti) comprendeva un igienista (Luigi Checcacci), un farmacologo (Giorgio Segre, specialista di farmacocinetica), un genetista (Luca Cavalli Sforza) e un microbiologo divenuto biometrista, Maccacaro, il quale era riuscito a far passare l’idea che l’importanza della metodologia statistica deriva dall’essere trasversale a tutte le discipline biomediche e non un sottosettore dell’area di sanità pubblica. Fu un episodio unico: nella prospettiva dell’istituzione dei dottorati vennero aboliti gli esami per le libere docenze e non mi risulta che commissioni così aperte e interdisciplinari si siano più riprodotte in altri concorsi universitari.

Già dall’inizio degli anni Settanta, Ettore aveva assunto un ruolo chiave nell’Istituto di biometria e statistica medica: con l’improvvisa scomparsa di Maccacaro nel gennaio 1977, assunse l’intera responsabilità dell’Istituto dirigendolo per vari decenni e facendone un centro di attività di ricerca e di formazione riconosciuto nazionalmente e internazionalmente. In parallelo, mantenne sempre l’impegno personale nella ricerca, concentrandosi principalmente sulle sperimentazioni cliniche controllate e sui relativi metodi di pianificazione e analisi. Se numerosi sono i contributi metodologici in questo campo pubblicati in riviste di prestigio, due lavori appaiono come i più significativi e destinati a permanere. Primo, l’analisi dei venti anni di follow-up delle pazienti con cancro mammario sottoposte a quadrantectomia confrontate con le pazienti sottoposte a chirurgia radicale (Veronesi U, Cascinelli N, Mariani L, Greco M, Saccozzi R, Luini A, Aguilar M, Marubini E. Twenty-year follow-up of a randomized study comparing breast- conserving surgery with radical mastectomy for early breast cancer. N Eng J Med 2002;347(16):1227-32): è un riferimento ineludibile nella letteratura sul trattamento del cancro della mammella. Secondo, il volume, con Maria Grazia Valsecchi Analysing survival data from clinical trials and observational studies (John Wiley, 1995): sono rarissimi, tra le pubblicazioni di editori anglosassoni maggiori, i testi di metodologia statistica di autori italiani e questo ne è uno di qualità.

Ettore era austero sul lavoro e nei rapporti di lavoro, ma era affabile e amava ridere in compagnia: una volta, mentre scherzavamo su storie di automobili, mi raccontò di essersi trovato un giorno mentre guidava la sua Fiat 124 con il pavimento della pedalieria che era d’improvviso scomparso… (riuscì a non perdere il controllo).

Ciao Ettore, anche tu sei ormai tra i ricordi dei nostri anni giovanili.

 

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