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Sembra facile fare un’indagine sull’uso del tornio, e invece...
Carrying out an investigation on the use of the lathe seems easy, but…
Anche nelle ditte metalmeccaniche più avanzate ove svettano macchine a elevata automazione, e in cui è già presenta l’intelligenza artificiale, c’è sempre un angolo in cui è installato un vecchio tornio parallelo.
Per chi ha studiato e studia in un Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS, ora ITS) e ancor più in corsi professionali, il tornio parallelo rappresenta il primo contatto con una MACCHINA. In questi istituti, un adolescente passa da attività di laboratorio manuali a un’attività ove “dirige” una macchina, con un salto di impegno e di responsabilità non indifferente (anche per i docenti, che devono evitare infortuni scolastici).
Ma cos’è un tornio parallelo? Un’estensione del tornio “primordiale” utilizzato dall’uomo e dalla donna per lavorare l’argilla e produrre vasi e altri prodotti. Il principio è che è possibile lavorare, anzi plasmare, manualmente o con utensili, un materiale facendolo ruotare su un asse.
Nei torni paralleli, il pezzo di metallo (di norma cilindrico) viene fissato a un mandrino che fa ruotare il pezzo mentre un utensile fissato su un “carro” (su cui agisce l’operatore) lo lavora per “asportazione di truciolo”.
Il metalmeccanico esperto è in grado di lavorare il metallo secondo un disegno con l’abilità e la sensibilità manuale dell’artigiano, progredendo per gradi fino alla forma e alle misure assegnate. In un moderno tornio computerizzato, l’operatore è più un programmatore del lavoro, il resto lo fa la macchina, scegliendo gli utensili via via necessari secondo le fasi lavorative impostate e le relative dimensioni, con una produttività incomparabilmente elevata rispetto ai torni tradizionali.
In molti casi si ricorre al vecchio tornio
Tutta questa premessa per arrivare a cosa? Per dire che quel tornio di vecchia impostazione, anche proprio vecchio di età, in un angolo dell’officina, apparentemente dimenticato da tutti, spesso diviene una macchina purpose adibita a lavorazioni semplici, non necessariamente estemporanee, che le macchine più moderne faticano a realizzare o non possono realizzare.
La tipica lavorazione snobbata dai pronipoti dei torni paralleli alla quale vengono adibiti questi ultimi è la fatidica “lucidatura del pezzo”, uno dei must degli infortuni nelle lavorazioni meccaniche, meno frequente di un tempo, ma sempre dietro l’angolo.
Quando arriva il momento, per difficoltà intrinseche o per seppure minimi errori di impostazione o di lavorazioni, in cui occorre togliere un infinitesimo millimetro dalla circonferenza del pezzo già lavorato oppure occorre eliminare tracce di ruggine da un pezzo da rinnovare per manutenzione oppure... si scatenano le forze creative umane che trovano nuove applicazioni sulla funzione archetipica della lavorazione rotante primordiale.
E si lavora a mano
Cosa c’è di così strano? Che questa operazione viene svolta manualmente, l’operatore stringe con le mani, cercando di tenerli tesi, due capi di una striscia di carta vetrata (sì, quella che utilizzate per “carteggiare” la cancellata di casa vostra prima di riverniciarla) cercando di applicare pressione uniforme sulla superficie del pezzo in rotazione.
Qual è il problema? Che, anche mettendolo alla minima velocità, un tornio va a 150/200 giri al minuto (del mandrino); se poi il pezzo ha dimensioni ridotte, per esempio è uno stelo di diametro 15/20 millimetri, la possibilità che non si riesca a “tenere” bene la carta vetrata è assicurata ed è altamente probabile che, perdendo la presa, la striscia finisca per avvolgersi intorno al pezzo... e qui bisogna sperare solo che non vi siano avvolti anche la mano o qualche dito dell’operatore.
Esemplare è la sequenza del film La classe operaia va in paradiso in cui Gian Maria Volontè, volendo mostrare le sue capacità di resistere e migliorare le prestazioni a cottimo, finisce per infortunarsi colpito al dito dall’utensile della macchina. Nel film, la macchina non è un tornio e l’operazione non è quella della lucidatura, ma il danno tipico del metalmeccanico è proprio quello: perdere una o più falangi (dita preferite: indice e anulare), nei casi peggiori (torni di maggiori dimensioni) rischiare una mano, un braccio se non la vita, nei casi migliori una lussazione al braccio, anche quando vi siano pulsanti per il blocco di emergenza (i cosiddetti funghi) a portata di mano. Adesso avete capito perché molti anziani metalmeccanici hanno una o più dita più corte delle altre.
(Far finta di) cadere dal pero
Avere a che fare con un’indagine per un infortunio del genere è apparentemente semplice, come individuare le cause di un investimento di un pedone sulle strisce di attraversamento; in realtà, la situazione è spesso complicata dalla sorpresa con cui datori di lavoro, capiofficina e lavoratori (soprattutto anziani, ma che possono dare imprinting negativi agli ultimi arrivati), accolgono stralunati la notizia che tale operazione non è consentita dalle norme in qualunque “versione” venga svolta.
Sì, perché, a seconda del luogo (fabbrica) e del tempo (esperienza degli addetti), vi sono una serie di interpretazioni che giustificano la lucidatura manuale al tornio e suggeriscono modalità sicure, sempre accompagnate dall’attenzione dell’addetto, come:
- utilizzare o non utilizzare i guanti (l’attrito della carta vetrata con il pezzo in rotazione trasmette calore e dopo pochi minuti anche le dita si scaldano);
- tenere in un certo modo le mani e/o la carta vetrata eccetera.
Qual è il motivo principale per cui, invece, si contesta l’utilizzo del tornio per tale lavorazione? Perché, come abbiamo detto, il tornio opera per asportazione del truciolo, ovvero il fabbricante ha previsto una precisa modalità di funzionamento e ha dotato (o avrebbe dovuto dotare) la macchina di corrispondenti sistemi di protezione per evitare o ridurre i contatti tra elementi pericolosi e gli arti dei lavoratori.
Ogni altro uso non previsto dal fabbricante, anche se tecnicamente possibile, sposta la pericolosità della macchina come onere integrale a carico dell’utilizzatore-datore di lavoro, ma non per questo quest’ultimo è libero di “accollarsi il rischio” che farebbe subire agli operatori. Né vale la giustificazione dell’età... della macchina.
Anche per le macchine “ante CE”, ovvero immesse sul mercato italiano prima del settembre 1996, non è consentito esplicitamente dalla normativa mettere a rischio le mani altrui. Se «per effettive ragioni tecniche o di lavorazione non sia possibile conseguire un’efficace protezione o segregazione degli organi lavoratori e delle zone di operazione pericolose delle attrezzature di lavoro, si devono adottare altre misure per eliminare o ridurre il pericolo, quali idonei attrezzi, …». Qualcosa deve sempre frapporsi tra mani e zona pericolosa.
In diverse occasioni, le imprese che avevano subito infortuni come quello qui descritto e insistevano per sostenere che non vi erano macchine adatte per lucidare i pezzi efficacemente trovarono il modo di installare attrezzature su cui vi era la tela smeriglio senza che vi fosse necessità che l’addetto dovesse tenerla con le mani.
Con le macchine CE, se costruite in modo da rispettare i requisiti essenziali di sicurezza, va rispettato un principio ben più avanzato: nella progettazione e nelle misure di protezione, i fabbricanti devono tener conto anche dell’«uso scorretto prevedibile» ovvero fare in modo che l’errore e la soggettività umana, entro i limiti usuali (la pazzia o la totale irresponsabilità vanno evitate in altri modi) non possano determinare infortuni.
Ricordiamocelo tutti, anche quando acquistiamo un apparentemente banale elettrodomestico o utensile per il fai-da-te: leggere attentamente il manuale d’uso almeno per la parti relative agli usi previsti della macchina e le indicazioni di sicurezza!
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