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A cura di Gianluigi Ferrante e Fabrizio Faggiano
E&P 2020, 44 (5-6) settembre-dicembre Suppl. 2, p. 394-396
DOI: https://doi.org/10.19191/EP20.5-6.S2.143
Malattie Trasmissibili
Nuove strategie per promuovere la salute mentale dei cittadini in tempo di COVID-19
New strategies to promote citizens’ mental health in the times of COVID-19
Riassunto
“Non c'è salute senza salute mentale” è il principio ormai globalmente accettato e sviluppato nel Mental Health Action Plan 2013-2020 (WHO). In Italia, la salute mentale ha provocato nel 2017 circa 1,2 milioni di DALYs (pari a circa il 7% dei DALYs totali), collocandosi, in un’ipotetica classifica delle malattie che pesano maggiormente sulla salute dei cittadini, in 5a posizione, alle spalle di malattie cardiovascolari, tumori, malattie osteoarticolari (muscolo-scheletriche) e malattie neurologiche.
“Non c'è salute senza salute mentale” è il principio ormai globalmente accettato e sviluppato nel Mental Health Action Plan 2013-2020 (WHO).1 In Italia, la salute mentale ha provocato nel 2017 circa 1,2 milioni di DALYs (pari a circa il 7% dei DALYs totali), collocandosi, in un’ipotetica classifica delle malattie che pesano maggiormente sulla salute dei cittadini, in 5a posizione, alle spalle di malattie cardiovascolari, tumori, malattie osteoarticolari (muscolo-scheletriche) e malattie neurologiche. Se consideriamo i soli anni vissuti in malattia (Years Lived with Disability, YLD), escludendo quindi gli anni persi per mortalità prematura (Years of Life Lost, YLL), le malattie mentali passano al 2° posto della classifica (dopo le malattie osteoarticolari), con una quota del 14% sul totale dei YLD.2,3
Analizzando i dati messi a disposizione dal Global Burden of Disease (GBD) si osserva, però, che solo il 6% dei DALY causati dalle malattie mentali sono attribuibili a fattori di rischio noti, quota ben diversa rispetto al 78% per le malattie cardiovascolari o al 37% per i tumori. Ciò è in parte spiegato dal fatto che il progetto GBD non considera, tra i fattori di rischio, i determinanti distali, che appartengono all’ambito socioeconomico. Alcuni di questi fattori, come basso reddito, disoccupazione, condizione abitative inadeguate, basso livello di istruzione, hanno, infatti, un peso molto rilevante sia sull’insorgenza sia sul decorso delle patologie mentali. L’introduzione dell’analisi delle malattie attraverso il calcolo dei DALY sta mettendo in luce aree critiche su cui indirizzare interventi di sanità pubblica e di prevenzione, che finora erano rimaste sullo sfondo,4 come nel caso delle malattie mentali.
La comunità scientifica internazionale ha espresso la preoccupazione che la recente pandemia di COVID-19 e la crisi economica concomitante porterà a un ulteriore aumento delle malattie mentali5 con un conseguente impatto sulla capacità di risposta di un sistema delle cure già provato nel corso degli ultimi anni da una progressiva decurtazione delle risorse.6 L’ipotesi è che, come accaduto per altre epidemie (Ebola, H1N1 eccetera), la preoccupazione e l’incertezza dovute alla paura del contagio, le misure di isolamento e l’indebolimento del normale funzionamento sociale e lavorativo, dovuti al senso di perdita dei contatti sociali diretti e del lavoro, abbiano un impatto sulla salute mentale in particolare delle persone più vulnerabili.7 A partire da questa ipotesi sono stati avviati diversi studi sugli effetti della pandemia, sul livello di stress degli individui e sulle possibili ripercussioni a livello mentale (quali depressione e ansia) e comportamentale (per esempio, autolesionismo, suicidio, violenza domestica, consumo di sostanze, disturbi alimentari).8-11
Da più parti sono stati individuati come gruppi target particolarmente a rischio di incorrere in disturbi mentali in questo periodo di emergenza:7,12
- la popolazione generale colpita dalle misure restrittive ed esposta a forti livelli di stress;
- le persone colpite direttamente dal virus, soprattutto in una forma grave, che ha richiesto lunga ospedalizzazione e cure intensive e i loro familiari che sono stati sottoposti a quarantena;
- le persone che già presentavano una malattia mentale, le cui difficoltà possono essere state accentuate dall’impossibilità/difficoltà di accesso ai servizi di supporto dovute alle misure di distanziamento, che quindi costituiscono un gruppo su cui intervenire prioritariamente;7
- i bambini e i ragazzi che hanno affrontato un periodo di distanziamento da luoghi che fornivano supporto al loro sviluppo, quali la scuola e le attività aggregative;
- gli operatori sanitari operanti in prima linea che hanno subito un notevole aumento del livello di stress, con il conseguente rischio di burnout;
- gli anziani, a causa della combinazione delle misure di isolamento e dell’eventuale presenza di malattie pregresse (per esempio, demenza).
Negli ultimi mesi, la risposta dei servizi sanitari italiani a queste problematiche deve ancora essere oggetto di valutazione. Se da una parte si è assistito a una contrazione – se non a una sospensione – degli interventi soprattutto nelle realtà in cui il sistema è maggiormente in difficoltà, dall’altra è stato possibile osservare un fiorire di nuove modalità di contatto terapeutico perlopiù gestite a distanza grazie all’impiego massiccio delle nuove tecnologie13 e alle visite domiciliari gestite nei pressi dell’abitazione dell’assistito (cortili dei condomini, piazze eccetera). Se ciò ha fatto sì che si adottassero vecchie modalità di assistenza e nuove pratiche terapeutiche in grado di far fronte a diverse barriere che si frappongono tra le sempre crescenti esigenze di cura e l’accesso ai servizi (contenimento dei costi, raggiungimento di aree periferiche eccetera),14 è necessario valutarne il funzionamento all’interno di un sistema organizzativo complesso con studi sul campo. Oltre al cambiamento degli assetti di cura, la pandemia ha in alcuni casi innescato processi di solidarietà generalizzata, legati alla scoperta di valori personali, gruppali e sociali che in alcuni casi ha mobilitato una maggiore sinergia con le comunità locali, rinforzando uno sguardo meno “medicalizzato” e più sociale.15
Se la salute mentale rischia di costituire un problema ancora più diffuso, è importante che questa abbia un ruolo prioritario nel futuro Piano nazionale della prevenzione (PNP) e nelle sue articolazioni regionali, che guideranno le politiche di prevenzione e, quindi, di promozione del benessere e di contenimento delle malattie. Le scienze della salute mentale (psicologia, sociologia, neuroscienze, psichiatria, medicina clinica, scienze sociali e comportamentali) e l’epidemiologia sono chiamate ad affrontare il problema studiando gli effetti causati dall’emergenza COVID-19 sulla salute mentale per quanto riguarda almeno i seguenti aspetti:
- quantificare l’impatto dell’emergenza sanitaria e della concomitante crisi economica sulla salute mentale della popolazione sia a breve sia a lungo termine. A questo proposito, è stato importante sviluppare sin dalle fasi iniziali dell’epidemia dei protocolli di ricerca per misurare gli effetti dell’emergenza e cogliere nuove domande di salute. Allo stato attuale risulta necessario coordinare la ricerca per promuovere studi di alta qualità e per concentrare gli sforzi su filoni di ricerca specifici, evitando il più possibile duplicazioni. Risulta inoltre fondamentale utilizzare i dati amministrativi, sanitari e sociali delle banche dati di cui il sistema già dispone, come invocato dall’articolo 7 del Decreto rilancio;16
- valutare, oltre agli effetti diretti dell’emergenza sanitaria, quali fattori di rischio e di protezione concomitanti possono esacerbarne o mitigarne gli effetti. La pandemia ha colpito la popolazione in modo disuguale; da qui, la necessità di individuare i gruppi maggiormente a rischio per elaborare sistemi di protezione adeguati;
Le esperienze di risposta all’emergenza sanitaria pongono all’attenzione quella che costituisce una priorità immediata della ricerca nella salute mentale: valutare gli interventi messi in campo per contenere e trattare i disturbi mentali al fine di identificare e riproporre quelli che funzionano e riprogettare quelli che presentano criticità. La valutazione degli interventi costituisce un prerequisito per disegnare una strategia complessiva per affrontare il problema in modo intersettoriale e interdisciplinare. Anche in vista del prossimo PNP, è necessario studiare strategie che non siano di sola pertinenza del settore sanitario, ma che interessino la società nel suo complesso, in modo da fornire una risposta articolata e in grado di affrontare i molteplici aspetti che concorrono a promuovere il benessere psicologico della popolazione.
La pandemia ha messo a nudo le disuguaglianze e il loro effetto sulla salute mentale: si tratta ora di ricucire il sanitario con il sociale, come sottolineato dalla Lancet Commission for Global Mental Health,17 dove i determinanti sociali diventino l’oggetto di una nuova alleanza che rilanci la dimensione collettiva dei gruppi informali e organizzati presenti nelle comunità dei pazienti, dei familiari e dei professionisti dei settori educativi, culturali, sociali e della sanità pubblica. Per questo motivo, risulta importante identificare i fattori di resilienza a livello di comunità e a livello individuale18 che permettano di impostare interventi di promozione della salute mentale con azioni sociosanitarie e intersettoriali. In conclusione, risulta importante sottolineare come oggi, a causa della crisi economica, sia più che mai necessario individuare strategie basate sulle evidenze e definite in base ad analisi economiche di sostenibilità. Diventa indispensabile poter contare sulla disponibilità di repertori e di procedure standardizzate per la valutazione dei bisogni e del rapporto costi-benefici degli interventi di prevenzione efficaci.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Data di sottomissione: 14.07.2020
Data di accettazione: 11.08.2020
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