
Nelle ultime settimane molti lettori di E&P hanno vissuto con sgomento l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e il susseguirsi dei suoi ordini esecutivi: dalle azioni brutali sui migranti alla negazione dei diritti di genere, dal ritiro dall’OMS al blocco delle attività di ricerca e assistenza delle istituzioni sanitarie degli Stati Uniti e di USAID. Alla lunga lista di ordini si sommano le affermazioni sconsiderate, come la proposta di espellere i palestinesi dalla loro terra per creare la “riviera di Gaza”, che un mondo civile non può accettare. Rabbia, preoccupazione, sconcerto: siamo tutti spettatori e vittime di una strategia orchestrata con precisione, quella che il New York Times ha definito «flood the zone strategy»: un flusso incessante di iniziative per disorientare e destabilizzare l’opposizione nei primi giorni della nuova amministrazione.
L’inquietudine cresce dunque anche in presenza di derive conservatrici che avanzano in Italia e in Europa. Ci troviamo di fronte a un attacco ai principi che ritenevamo acquisiti: accoglienza, comprensione delle molteplici dimensioni della diversità, equità, inclusione. A scuoterci arriva il Lancet, che, con l’editoriale “American chaos: standing up for health and medicine”, lancia un appello alla comunità medica e scientifica: resistere e costruire una strategia coesa per difendere una visione della salute inclusiva, equa, solidale. E&P raccoglie questo appello e invita i suoi lettori a unirsi in uno sforzo comune.
E proprio con riferimento alle ultime settimane, questo numero di E&P (per la prima volta senza carta!) ci propone contributi molto importanti. Sandro Colombo analizza il recente studio del Lancet sulla stima della mortalità nella popolazione civile a Gaza causata dalle continue operazioni di guerra condotte da Israele. L’editoriale mette in luce le difficoltà nel quantificare il numero reale di vittime civili, dove i numeri diventano oggetto di speculazione politica. Applicando il metodo capture-recapture, già noto all’epidemiologia fin dai tempi delle ricerche su HIV e tossicodipendenze, lo studio del Lancet stima un bilancio delle vittime per cause traumatiche superiore del 41% rispetto ai dati ufficiali. Per l’epidemiologia, queste analisi sono vitali: non solo affinano le stime di mortalità in scenari estremi, ma forniscono evidenze essenziali per guidare interventi sanitari e umanitari. Oltre le cifre, resta il dramma umano di una guerra sproporzionata e ingiusta che uccide soprattutto civili: ogni numero cela una vita spezzata, e nessuna statistica può attenuarne il peso. Affermazione che vale anche per le vittime inermi del 7 ottobre.
A seguire, segnalo l’articolo di rassegna di Sandro Colombo e Benedetto Terracini, che analizza i metodi utilizzati per stimare la mortalità dei civili nei conflitti. Si tratta di un’analisi rigorosa e approfondita delle sfide, che evidenzia il rischio di manipolazione politica e le difficoltà metodologiche. Il testo combina esempi storici e tecniche epidemiologiche per mostrare l’impatto dei numeri sulle decisioni umanitarie e politiche. Colombo e Terracini illustrano come le metodologie epidemiologiche possano offrire uno strumento potente per dare voce alle vittime silenziose e per richiamare l’attenzione internazionale sulle crisi umanitarie trascurate. Un contributo essenziale per comprendere il ruolo cruciale dei dati nella narrazione dei conflitti: un’epidemiologia di frontiera, imperfetta, ma essenziale.
È di grande attualità, inoltre, la riflessione di Roberto Bertollini sulla recente decisione degli Stati Uniti di lasciare l’OMS. Si tratta di un’analisi solida e ben documentata che smonta le motivazioni alla base del ritiro deciso da Trump. L’autore sottolinea il ruolo cruciale dell’OMS nella gestione delle emergenze sanitarie e denuncia i rischi del populismo e dell’isolazionismo per la salute globale.
Segnalo ai lettori l’interessante contributo di Valeria Formosa et al., relativo a un’indagine effettuata nel Lazio all’inizio dell’anno scolastico 2022-23, che ha valutato la prevalenza di vulnerabilità della prontezza scolastica all’apprendimento nei bambini della prima classe della scuola primaria. Lo studio ha messo in luce un ritardo medio di un anno nello sviluppo scolastico post-pandemia, con una maggiore vulnerabilità nei contesti socioeconomici svantaggiati. Data la rilevanza dei risultati, abbiamo chiesto un commento a Roberta Penge et al., le quali hanno sottolineato come, in assenza di dati longitudinali o di studi comparabili pre- e post-pandemia, le conclusioni debbano essere interpretate con cautela; tuttavia, è essenziale focalizzarsi sul periodo prescolare, fondamentale per lo sviluppo futuro cognitivo, emotivo e sociale.
Il calo della natalità in Italia e le sfide emerse con la pandemia di COVID-19 hanno messo in luce quanto sia cruciale riorganizzare la rete sanitaria. Danilo Catania et al. hanno sviluppato un modello innovativo che valuta l’accessibilità ai servizi di maternità, considerando la territorialità come parte integrante dell’analisi. In questo modo è possibile identificare aree sotto-servite e ottimizzare la rete assistenziale.
Il racconto di AIE Giovani ci riporta a un bellissimo convegno sulle popolazioni invisibili, tenutosi a Roma lo scorso autunno. Abbiamo sempre bisogno di iniziative così innovative e partecipate.
Infine, tanti altri contributi articoli, interventi e rubriche, nonché le recensioni di due libri di recente pubblicazione: il primo, magnifico, su lavoro, ozio e contemplazione; il secondo, Salute per tutti di Chiara Giorgi, sulla storia della sanità pubblica in Italia dal dopoguerra a oggi, un testo fondamentale per acquisire «le conoscenze storiche indispensabili a motivare la comunità degli epidemiologi verso un impegno civile e informato per un sistema sanitario equo, che metta al centro la salute».
Buona lettura!
Francesco Forastiere
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