Abstract

In humanitarian crises, quantifying the number of victims contributes to estimating the needs for assistance, advocating for additional resources, promoting diplomatic actions, supporting transnational justice, and informing political decisions. It also provides a clearer understanding of the severity of a crisis within its historical, geographical, political, and social contexts. However, data collection in conflict settings is frequently hindered by insecurity and political barriers.

Relevant studies of war mortality have used epidemiological methods, such as prospective community surveillance, body count, retrospective household surveys, capture-recapture analysis, and key informant interviews. The present paper describes the advantages and limitations of each of these approaches. Subsequently, it summarises and tabulates estimates of mortality indicators in 19 humanitarian crises taking place in African countries, Syria, Iraq, and Yemen over the last twenty years. Most estimates were based on household surveys. Attention is brought to the difficulties in the assessment of indirect war-related mortality.

Mortality indicators are politically sensitive. As a result, politicisation of numbers in armed conflicts has not been uncommon: cases of data manipulation to serve political goals are described.

Improvements in humanitarian practice and public health interventions have contributed to the decline of reported mortality rates in recent years. However, challenges in measurement and data standardisation still need to be addressed. Public health information remains an underfunded and under-prioritised part of humanitarian assistance, despite the growing emphasis by donor governments on the importance of quantitative evidence to inform decision-making and justify aid budgets.

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Riassunto

Nelle crisi umanitarie, quantificare il numero delle vittime contribuisce a stimare i bisogni di assistenza, a sollecitare risorse aggiuntive, a promuovere azioni diplomatiche, supportare la giustizia transnazionale e informare le decisioni politiche. Fornisce anche una comprensione più chiara della gravità della crisi nel suo contesto storico, geografico, politico e sociale. Tuttavia, la raccolta di dati in contesti di conflitto è spesso ostacolata da insicurezza e barriere politiche.

Studi pertinenti sulla mortalità dovuta alla guerra hanno utilizzato metodi epidemiologici, come la sorveglianza comunitaria prospettica, il conteggio dei corpi, le indagini retrospettive sulle famiglie, l’analisi di cattura-ricattura e le interviste con informatori chiave. Questo articolo descrive i vantaggi e le limitazioni di ciascun approccio. In tabella, vengono riassunte le stime degli indicatori di mortalità in 19 crisi umanitarie che si sono verificate in Paesi africani, in Siria, in Iraq e in Yemen negli ultimi vent’anni. La maggior parte delle stime è basata su studi retrospettivi. Viene poi rivolta l’attenzione alle difficoltà nello stimare la mortalità indiretta legata alla guerra.

Gli indicatori di mortalità sono politicamente sensibili. Di conseguenza, la politicizzazione dei numeri durante i conflitti armati non è stata infrequente; si descrivono episodi di manipolazione dei dati per conseguire obiettivi politici.

I miglioramenti nella pratica umanitaria e negli interventi di salute pubblica hanno contribuito a ridurre i tassi di mortalità riportati negli ultimi anni. Tuttavia, sfide nella misurazione e nella standardizzazione dei dati devono ancora essere affrontate. Le informazioni di sanità pubblica continuano a essere una componente dell’assistenza umanitaria sottofinanziata e a cui non viene data grande priorità, nonostante l’aumento dell’enfasi da parte dei governi donatori sull’importanza delle evidenze quantitative per informare le decisioni e giustificare gli stanziamenti degli aiuti.

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