L’editoriale a firma di Francesco Forastiere e Lucia Bisceglia  sulla valutazione d’impatto sanitario (VIS), apparso sul numero 4-5/2024 di E&P, affronta diversi aspetti interessanti, tra cui la rilevanza di una valutazione in “modalità prognostica”, cioè in grado di prevedere piuttosto che limitarsi a osservare hic et nunc,  previlegiando il tempo futuro rispetto al tempo presente, pur senza soluzioni di continuità. È certamente un orientamento più conforme alle esigenze della prevenzione, che dovrebbe costituire l’asse portante della sanità territoriale.

Il disallineamento sistematico tra indicatori di esposizione e di effetto disponibili negli studi epidemiologici è noto, però questa asimmetria si complica quando la VIS non è rivolta a un nuovo impianto, ma interviene su di un impianto preesistente o, più spesso, su di un sistema impiantistico che nel tempo ha subìto parziali smantellamenti, revamping o introduzione di nuove tecnologie. È una situazione piuttosto frequente che abbiamo incontrato, per esempio, nello studio SENTIERI.

In questa evenienza, a causa del lungo tempo di latenza che intercorre tra esposizioni ed effetti attesi, proprio per assecondare l’opportuna modalità prognostica della valutazione, ci si cimenta con uno scenario interpretativo che rimanda alla “luce delle stelle”, ovvero ci si chiede se gli effetti manifesti appartengano a esposizioni cessate, quindi spente, ma che continuano a irradiare la luce dei propri effetti, oppure a esposizioni ancora attive in tutto o in parte. Ma vale anche l’opposto, cioè se l’assenza di effetti dipenda dal loro stato di latenza pur in presenza di esposizioni importanti, ma ancora troppo recenti per raggiungere la propria visibilità espressiva e per modificare gli indicatori di salute.

La ricaduta in termini di prevenzione prodotta da una differente risposta a queste domande è enorme, per non dire dei riflessi sulla comunicazione pubblica, già di per sé problematica, e sulla stessa economia di un territorio.

Gli indicatori tradizionali di mortalità, ospedalizzazione e incidenza, vanno quindi attentamente studiati sotto questo profilo, più che per trovare convergenze confermative di un’ipotesi di associazione causale.

Appare fondamentale, quindi, poter maneggiare indicatori di salute a differente latenza, perché non sono sempre disponibili serie temporali di un medesimo effetto sanitario che implicano onerose ricostruzioni di coorti di popolazioni, peraltro sempre più caratterizzate da una mobilità elevata sul territorio che ne rende molto complesso il follow-up.

Tuttavia, questa possibilità presuppone una conoscenza storica preliminare dell’evoluzione tecnologica e organizzativa che un sistema produttivo ha subìto negli anni in grado di rimandare alle esposizioni attese sia in termini qualitativi sia di stime quantitative diversificate nel tempo. Tutto questo per ribadire quanto sia rilevante la collaborazione interdisciplinare tra epidemiologia, impiantistica e igiene ambientale, se si decide di sviluppare la “modalità prognostica” di una VIS.

Ciò detto, si affacciano almeno altre due importanti criticità. Innanzitutto, la difficoltà di disporre di indicatori di effetto a breve latenza la cui sensibilità cozza spesso contro una specificità insoddisfacente. Il richiamo è agli eventi avversi della riproduzione (EAR), quali abortività spontanea, natimortalità, prematurità, sex ratio, basso peso alla nascita e malformazioni congenite. Per ragioni analoghe, si possono aggiungere patologie pediatriche a breve latenza, più spesso a carico dell’apparato respiratorio e sempre catturabili dai flussi informativi ospedalieri.

Diversamente dall’utilizzo degli indicatori a differente latenza, dove è utile osservare le divergenze, in questo secondo caso l’attenzione va focalizzata sulla convergenza di più indicatori che non ha certamente pretese dimostrative, ma quantomeno orientative.

Questa indeterminatezza può, tuttavia, essere almeno in parte compensata dalla componente tossicologica della VIS che si basa, invece, su scenari di esposizione attuale, di cui possono essere noti sia i contaminanti sia le relative concentrazioni ricadenti al suolo o in altre matrici ambientali, assumendo come emblematica una fonte emittente in atmosfera. Si tratta, però, del punto d’arrivo di un percorso particolarmente complesso che prevede l’impiego di una modellistica raffinata in grado di integrare dati impiantistici con dati meteo, satellitari e reti di monitoraggio ambientale. L’obiettivo è di individuare, con la migliore approssimazione possibile, l’area di ricaduta delle emissioni suddivisa in quadranti di dimensioni ridotte in cui inserire le diverse concentrazioni stimate di contaminante da confrontare con le soglie indicate dalla letteratura.

Il punto è che, per validare istituzionalmente una simile rappresentazione fornita dal “proponente” privato, come previsto dalla normativa, diventa necessario ricostruirne tutto il processo, il che equivale a rifare la VIS e lo studio d’impatto ambientale (SIA) che si colloca a monte. Viceversa, si tratterebbe di compiere un atto di fede, molto spesso di fronte a VIS che sistematicamente, come da lunga esperienza sul campo nei servizi territoriali, documentano impatti irrilevanti, ma poco credibili. E questo per la componente tossicologica della VIS.

Le difficoltà si moltiplicano di fronte alla validazione della componente epidemiologica, cioè quando si tratta di calcolare il numero di casi attribuibili alle polveri sottili, inserendoli nei citati quadranti dell’area di ricaduta, dal momento che queste costituiscono l’indicatore sintetico più utile di un’esposizione ambientale.

Come ovvio, un’area di ricaduta non è quasi mai coincidente con i confini amministrativi di uno o più comuni, perché più spesso ne interseca parti di superfici in proporzioni diverse. Ne consegue che, se è possibile stimare la numerosità della popolazione residente in quest’area utilizzando le sezioni di censimento, non è consentito, se non a un servizio pubblico, conoscere i dati individuali dei residenti per costruirne tassi di mortalità, ospedalizzazione e incidenza, indispensabili per il calcolo dei casi attribuibili all’inquinamento di fondo e alla nuova fonte aggiunta.

Accade, quindi, che il proponente – peraltro in accordo con le linee guida ISS (Istisan n.22/35, p.89) – si avvalga delle statistiche correnti, disponibili nel migliore dei casi su base comunale. Ne risulta un’approssimazione talmente ampia che, di fatto, finisce per diluire ogni eventuale evidenza. Anche in tale circostanza, come nella precedente, l’alternativa consisterebbe nel rifare la valutazione oppure nell’accoglierne formalmente il risultato, così come per la componente tossicologica. La deriva burocratica è scontata e purtroppo costituisce l’esito più frequente.

Questa la realtà che ci interroga ancora una volta sul senso delle cose, nella fattispecie, l’attività dei servizi territoriali di prevenzione sempre più schiacciati sul ruolo di controllori “passa carte”, salvo le solite eroiche eccezioni, destinati quindi a condividere lo stesso ridimensionamento dei servizi di cura appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale. 
In conclusione, o la prevenzione pubblica si riappropria dei compiti necessari per esercitare un ruolo socialmente utile attraverso un lavoro tecnico-scientifico qualificato, nella fattispecie l’effettuazione diretta della VIS (insieme ad altre attività equipollenti), organizzando ovviamente su scala territoriale appropriata la distribuzione delle competenze, oppure sarà progressivamente sostituita dal privato più o meno accreditato. Un’attività imprenditoriale che, dal campo della cura, si sta progressivamente espandendo all’area della prevenzione, proponendosi, a guisa di “cavallo di Troia”, attraverso le offerte dell’informazione, della formazione e dei vari sportelli tematici.

Come il mitico dottor Guido Tersilli (Alberto Sordi nel film “Il medico della mutua” di Luigi Zampa, 1968) aveva capito con profetico anticipo, il vero business non è più quello della diagnosi e della cura,  ma  quello dei “sani”, ovvero la prevenzione, secondaria e ora anche primaria.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

 

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