Il conflitto culturale tra determinismo e probabilismo si è oggi enfatizzato ragionando di salute anche per colpa della pandemia di COVID-19. Istintivamente, spesso noi ragioniamo sulla nostra salute come se ci fosse una relazione meccanicistica tra causa ed effetto: se beviamo del veleno moriamo, se prendiamo le medicine guariamo... ma non è così!

Quando pensiamo che un effetto sia la necessaria conseguenza di una causa è perché pensiamo che non ci siano possibili alternative nei risultati, ovvero che queste siano molto rare, e se accadono ci sorprendiamo quando, addirittura, non arriviamo persino a esclamare «miracolo!».

Nei corsi di Statistica alla facoltà di Medicina si insegna il teorema di Bayes, relativo ai processi diagnostici in cui, data la conoscenza delle malattie (cause) e dei rispettivi sintomi e segni (effetti), ci si chiede come risalire dai sintomi e dai segni di uno specifico paziente (effetti) alla malattia (causa) che li ha determinati (Si veda come esempio: https://www.bayes.it/html/informazione.html).

Nel far diagnosi giocano due probabilità: quella della malattia dati i sintomi e quella di una diffusione della malattia nella popolazione. La probabilità che un contagio da COVID-19 faccia venire la febbre è molto elevata, ma la probabilità che una febbre possa portare a diagnosticare un contagio da COVID non sarebbe molto elevata se i contagi da COVID nella popolazione non fossero molto frequenti.

Ancora, parafrasando: se ci siamo contagiati, è molto probabile che sia successo perché abbiamo avuto un contatto con una persona contagiosa, ma ogni contatto ravvicinato con una persona sconosciuta non ha certo a priori una probabilità elevata di farci contagiare e due anni fa, infatti, lo ritenevamo quasi impossibile; ma oggi, data la presenza di asintomatici positivi al COVID, lo riteniamo assolutamente possibile. I nostri comportamenti dipendono da molti fattori, tra questi anche la nostra stima dei valori delle due probabilità. Se poi la causa sono i vaccini e l'effetto le conseguenze indesiderate, allora molti sovrastimano la probabilità che un disturbo abbia come causa la vaccinazione, ma molto di più sovrastimano immensamente la diffusione delle conseguenze indesiderate nella popolazione.

Queste considerazioni devono portare a riflettere sulla necessità di diffondere un'informazione dettagliata e completa relativa alla contagiosità del virus, alla diffusione dei contagi, alla frequenza  degli effetti avversi nelle vaccinazioni. Che un trauma automobilistico (effetto) possa esser dovuto alla velocità (causa) nessuno lo nega, ma poi spesso andiamo veloci perché riteniamo che di fatto gli effetti negativi siano rari. E se smettiamo di andar per le strade con l'acceleratore schiacciato è perché qualcosa ci ha fatto cambiare idea sulla frequenza degli incidenti causati dalla velocità e non tanto dalla probabilità che un incidente sia causato dalla velocità.

Se leggiamo che una certa sindrome grave è stata prodotta da un vaccino, questo può portarci a ritenere pericoloso vaccinarci, perché non valutiamo contemporaneamente l'estrema bassa probabilità che si manifesti questa sindrome nei vaccinati. Se una specifica forma di  trombosi venosa cerebrale ha come causa frequente il vaccino ( vedi Perry RJ, Tamborska A, Singh B. Cerebral venous thrombosis after vaccination against COVID-19 in the UK: a multicentre cohort study. Lancet. 2021. Aug. 6 - https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)01608-1/fulltext#seccestitle70,) a noi quiesto spaventa molto, perché non siamo capaci di leggere correttamente questa probabilità elevata della causa dato il sintomo accanto alla probabilità bassissima che si manifesti nella popolazione vaccinata, cioè della probabilità del sintomo data la causa.

La probabilità di essere stati vaccinati se si ha avuta una reazione avversa è quindi molto elevata, ma la probabilità di avere una reazione avversa essendo stati vaccinati è bassissima e di sicuro molto minore della probabilità di contagiarsi non essendo vaccinati. Rimane presente, ma ugualmente bassa, la probabilità di contagiarsi pur essendo già stati vaccinari, come è rappresentato schematicamente in figura.

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Un'altra deformazione comune nel valutare una probabilità è quella che porta a sottostimare una probabilità elevata se non assimilabile alla certezza. Quanti indecisi a vaccinarsi si esprimono dicendo: «Anche i vaccinati possono contagiarsi o finire in terapia intensiva!». Se non c'è certezza che non accada, allora pensiamo che rimanga molto probabile che accada.

Usiamo un'altra metafora: se uno ha vinto alla lotteria è perché ha comperato un suo biglietto, ma, se pensiamo a quanti pochi saranno i possibili vincitori, allora preferiamo addirittura risparmiare i soldi del biglietto della lotteria. Ciò significa che noi tendiamo psicologicamente a enfatizzare l'a priori, cioè la probabilità di avere dei sintomi data la malattia, rispetto all'a posteriori, cioè la frequenza della malattia o di un altro evento assimilabile.

Nei processi decisionali si aggiungono altri elementi: quello dei costi e quello dei benefici che, però, non vengono valutati in modo oggettivo, bensì sono filtrati dalla nostra soggettività. Se, per esempio, in una lotteria vengono emessi 1.000 biglietti da 1.000 euro e ci fosse un solo vincitore della somma di un milione di euro, l'acquisto di un biglietto che ha un costo di 1.000 avrebbe un beneficio atteso simile, pari a un milione diviso 1.000. Solitamente il premio è addirittura inferiore al totale dei costi dei biglietti, quindi se si agisse secondo razionalità nessuno dovrebbe acquistarli. Ma se comperiamo un biglietto, non ragioniamo facendo un rapporto costi/benefici solo economico, perché tra i benefici mettiamo anche l'ebbrezza del rischio, del sogno, dell'illusione, e sono questi che ci fanno comperare il biglietto.

Così, se ci fosse un rischio di morire per il vaccino di uno su un milione e invece ci fosse il rischio di morire per il contagio da virus di uno su mille (per il COVID in Italia si è superato il 2 per 1.000 con più di 130.000 di decessi su 60.000.000 di abitanti). il rischio della malattia sarebbe di mille volte il rischio del vaccino!

Ma allora perché si preferisce un rischio mille volte maggiore? forse spesso per ignoranza o per cattive informazioni ricevute. Ma credo che sia un po' come per la lotteria, ma in senso inverso, dato che non è per vincere ma è per perdere. Se è per vincere, si preferisce l'illusione della possibile vittoria; se è per perdere, si preferisce evitare il rischio che si sceglie di assumere anche se è molto inferiore. Insomma, dovrei scegliere io il vaccino, assumendo quindi personalmente l'eventualità, seppur minima, del danno, mentre il possibile contagio non sarebbe una mia scelta e potrei arrivare a pensare che sarà difficile contrarlo o addirittura a ritenere di essere capace di riuscire a evitarlo.

Un altro aspetto della rilevanza della probabilità nella dinamica dell'epidemia è il meccanismo numerico che potrebbe portare verso l'estinzione dei contagi: se ogni contagiato, infatti, produce più contagi, è chiaro che l'epidemia si espande in modo esponenziale; se, invece, ogni contagiato produce meno di un contagio, i nuovi contagiati sono di meno e a loro volta producono meno contagi, quindi prima o poi, se bulla cambia, l'epidemia si estingue.

Questo è il ragionamento per cui risultano effettivamente valide le misure di contenimento della contagiosità come il lockdown, il coprifuoco, il green pass. Ciascuna di queste misure non può essere in grado di bloccare totalmente i contagi, tranne se si facesse quello che dicono si sia fatto a Wuhan segregando realmente tutti a casa senza eccezioni. Le misure da noi  adottate funzionano esclusivamente riducendo la probabilità che un contagiante contagi un'altra persona.

Molte critiche al green pass, come quelle che riguardano il fatto che non sia richiesto sui trasporti urbani, in quanto si ritiene sia improponibile esigerlo, sottintendono un concetto di effetto deterministico di riduzione dei contagi e non invece semplicemente probabilistico. Un effetto deterministico è assolutamente impensabile, perché non disponiamo, sia tecnicamente sia politicamente, di barriere così efficaci ed estendibili a tutta la popolazione. È necessario allora puntare sulla maggior riduzione possibile della probabilità di contagio, e su questa riduzione si deve continuare a puntare sin tanto che al mondo ci sarà ancora un soggetto infetto che potrebbe contagiare altri soggetti contagiabili.

È quindi importante ridurre la probabilità che il contagiato contagi creando misure di confinamento e diminuire la probabilità che i non contagiati siano contagiabili: questo è il ruolo dei vaccini.

La lotta tra noi e il virus è, in definitiva, una lotta sui valori di probabilità e l'unico vantaggio che abbiamo noi è che possiamo fare i calcoli, mentre il vantaggio del virus è che lui i calcoli non li può sbagliare!

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