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Malattie Trasmissibili; COVID-19
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La pandemia ha finito di far morire di più
Una bellissima canzone di un amico che non è più tra noi (Claudio Chieffo: Errore di prospettiva) inizia con queste quattro righe: «Quando noi vedremo tutto/ Quando tutto sarà chiaro/ Pensa un po' che risate/ Che paure sfatate». Mi è venuta in mente questa canzone un sabato di questo mese mentre, indossando come al solito una mascherina FFP2, giravo per la mia città per le necessità del vivere quotidiano e vedendo che nessun altro la indossava mi è sorta spontanea la domanda: ma che ne è della pandemia da SARS-CoV-2? C’è ancora o è finita? Devo continuare a indossare la FFP2 o sto suscitando nella gente la stessa faccia stupita (e forse preoccupata) che facevo io quando 10-15 anni fa (allorchè ancora frequentavo quotidianamente Milano per lavoro) vedevo così mascherato qualche rarissimo turista giapponese fermo ad ammirare il Duomo?
Ormai della pandemia se ne scrive quasi solo su questo blog, usando gli sparuti e discutibili dati (settimanali) che vengono ancora messi a disposizione di chi li vuole utilizzare. Tra i dati che possono stimolare qualche riflessione ci sono però anche i dati di mortalità totale periodicamente diffusi da ISTAT, ed è di questi dati che si occupa questo post.
La mortalità generale è stata frequentemente utilizzata in questi anni come uno degli indicatori che stimano l’effetto complessivo della pandemia (superando il solo effetto specifico del virus SARS-CoV-2), ben sapendo però che a causare gli aumenti della mortalità generale non partecipa solo la diffusione del virus ma si dovrebbero tenere in conto anche altri fenomeni che occorrono periodicamente con diversa intensità: il caldo eccezionale, i differenti malanni di stagione (influenza…), ed eventuali altri eventi più locali di minore rilevanza.
Con in testa questi caveat (e quindi con la prudenza che ne deve conseguire) mi sono chiesto se dall'analisi dei dati di mortalità generale si poteva evincere qualcosa, appunto, relativamente all'attuale presenza (o consistenza) del virus (o meglio, alla presenza o consistenza dei suoi effetti letali), e per questo ho approfittato dei dati più recenti resi disponibili da ISTAT e riferiti a tutto il periodo 2011-2024. E poiché con tali dati non è possibile calcolare dei tassi standardizzati perché sono presenti (oltre al totale) solo tre classi di età (65-74, 75-84, 85+) diventa necessario fare analisi separate per classi di età e ho messo anche una stratificazione per genere perché ritengo che la differenza di mortalità tra maschi e femmine sia rilevante.
La tabella che segue dettaglia i tassi di mortalità x 10.000 abitanti (per il totale dell’Italia) nelle diverse classi di età e di genere, con la specificazione che il tasso totale e il tasso nella popolazione con età <65 anni sono grezzi e sono riportati solo per ragioni di completezza numerica, ma il loro andamento temporale ha significato più incerto.
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Le tre figure che seguono riportano, in forma grafica, i risultati di cui alla tabella precedente rispettivamente per la popolazione di 65-74 anni, di 75-84 anni, e di 85+ anni. Le linee tratteggiate nelle figure sono state ottenute come interpolazione lineare dei tassi 2011-2019 avendo quindi escluso i cinque anni "supposti pandemici" 2020-2024 (segnati con un pallino).
Cosa dicono i risultati? In buona sostanza, per i soggetti 65-84 anni, sia maschi sia femmine, i tassi del 2024 sono perfettamente in linea con le proiezioni al 2024 degli andamenti che non considerano il quinquennio pandemico, mentre per il 2020-2023 le proiezioni risultano più basse dei valori osservati, segnale che probabilmente la pandemia anche nel 2023 ha avuto qualche effetto sulla mortalità generale. Per i soggetti molto anziani (85+ anni) invece la pandemia sembra aver terminato di influenzare la mortalità già nel 2023.
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In pratica, salvo altre spiegazioni per gli andamenti nel tempo della mortalità generale, per i soggetti di 65-84 anni gli effetti sulla mortalità dovuti al periodo pandemico sembrerebbero protrarsi, seppur con valori quantitativamente minori, fino al 2024, mentre per gli ultraottantacinquenni l’effetto pandemico sulla mortalità sembrerebbe terminare prima perché già la mortalità del 2023 è in linea con la proiezione dei valori pre-pandemici.
[Nota Bene. I risultati non cambiano in maniera numericamente importante se come periodo pandemico si considerasse solo il triennio 2020-2022: solo per gli ultra ottantacinquenni risulterebbe un piccolo effetto della pandemia anche nel 2023].
Se per ogni anno del quinquennio pandemico calcoliamo la differenza tra i valori osservati e i valori attesi a partire dalle proiezioni pre-pandemiche si ottiene la tabella che segue dove, per la precisione, sono evidenziate con colori diversi le stime per gli over 65 (che sono ottenute a partire dai tassi specifici delle tre classi di età componenti) e per gli under 65 (che partono invece da tassi grezzi per tutto il gruppo e non da tassi specifici o standardizzati come avrebbe dovuto essere): di conseguenza anche il totale, che è la somma degli effetti età-specifici e comprende anche i <65 anni, va considerato con prudenza.
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La differenza tra decessi totali osservati e decessi attesi è l’effetto complessivo (dal punto di vista della mortalità) della pandemia nel periodo 2020-2024: dalla tabella si evince che ci sarebbero circa 250.000 decessi in più, di cui poco meno di 150.000 maschi e poco più di 100.000 femmine.
La tabella successiva mette a confronto l’eccesso di decessi stimato annualmente per il periodo pandemico con il numero di morti specificamente attribuiti al virus secondo i dati comunicati dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile. Come si può osservare nel quinquennio 2020-2024 ci sarebbero stati circa 250.000 decessi totali in meno se non ci fosse stata la pandemia, e di questi circa 200.000 sarebbero stati specificamente attribuiti al Covid: rimangono circa 50.000 decessi in più, soprattutto nel 2020 e nel 2022, che sarebbero forse da attribuire sempre alla pandemia, o come decessi Covid non riconosciuti oppure come effetto, che potremmo chiamare “di contesto”, dell’aggravarsi di altre patologie o di cure mancate o di qualche altro elemento cui la pandemia può avere aperto la strada.
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La presenza di questo effetto di contesto (e cioè avendo escluso la parte dei decessi Covid non riconosciuti come tali), unita alla osservazione che per i soggetti molto anziani (85+ anni) i tassi osservati sia nel 2023 che nel 2024 sono già inferiori ai tassi attesi (in assenza di pandemia) suggerisce di avanzare l’ipotesi che almeno una parte dei decessi di contesto potrebbero essere decessi di soggetti che senza l’evento pandemico sarebbero morti successivamente ma che la pandemia ha fatto decedere anticipatamente. Con i dati oggi disponibili questa ipotesi non può essere verificata, così come non si può verificare se ci sia (o ci sia stato) qualche effetto sulla mortalità attribuibile all’aumento delle cure mancate (vedi i dati del BES di ISTAT) che sicuramente si è verificato nel periodo pandemico.
Un ringraziamento a Cesare Cislaghi sia per i dati annuali sui decessi Covid, sia per i molti spunti e suggerimenti nati dopo la stesura iniziale di questo post.