In letteratura ci sono diverse stime relative alla durata dell’infezione da virus Sars-Cov-2 e che riguardano i giorni in cui il virus è presente nell’organismo dell’infetto. Sicuramente questa durata ha una forte variabilità tra individui e sembra che si sia anche modificata tra le nuove varianti o forse grazie alla diffusione dei vaccini. Ciò che si intende qui valutare però non è la durata "clinica" dell’infezione, bensì la durata "formale" della stessa, cioè i giorni che intercorrono tra un tampone che ha diagnosticato il contagio e il tampone che ne ha certificata la ritrovata negatività. 

I dati disponibili a livello individuale permetterebbero questo calcolo dato che viene registrata per ogni contagiato sia la data del tampone positivo sia quella del tampone successivo negativo, ma questi dati non sono attualmente disponibili ai ricercatori. Si conoscono invece quotidianamente le frequenze di quanti vengono "diagnosticati" e le frequenze di quanti "sono guariti ", cioè si sono negativizzati, oppure, purtroppo, sono deceduti.

Nelle nozioni elementari di epidemiologia si trova la definizione di durata media di una malattia come pari alla relazione:

durata = prevalenza / incidenza.

Questa relazione è vera però solo in condizioni di stabilità dell’incidenza, ma non lo è se l’incidenza aumenta o diminuisce. Nei grafici seguenti si presentano a sinistra gli andamenti dell’incidenza confrontata con la prevalenza e a destra l'andamento dell’incidenza con la stima della durata ottenuta con la formula semplice sopra riportata. I tre indicatori sono calcolati riportandoli ad una metrica confrontabile tra di loro, e cioè dividendo ciascuno per la media dell’intero periodo del 2022.

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Come si vede la prevalenza segue ovviamente l’andamento dell’incidenza con un certo ritardo mentre la durata ha un andamento esattamente inverso all'incidenza: quando la l’incidenza cresce la durata diminuisce perché la prevalenza non è ancora proporzionalmente aumentata.

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Possiamo però ritenere che interpolando linearmente l’andamento della durata così calcolata, se ne può stimare un valore medio vicino alla realtà e questo risulta in leggera decrescita durante il 2022 ma sostanzialmente la prevalenza risulta di poco superiore a venti volte l'incidenza, mentre se si fa il rapporto tra la media annuale della prevalenza (993.925) e dell'incidenza (52.473) il risultato è di poco inferiore, cioè 19,3. Considerando che nel periodo annuale 2022 vi è stata una decrescita dei contagi, tutt'al più questa stima dovrebbe risultare leggermente sottostimata in quanto la prevalenza è scesa successivamente alla discesa dell'incidenza.

Alcuni dubbi su questa procedura di calcolo però emergono dal confronto tra l'andamento del dato di prevalenza pubblicato e del dato di prevalenza calcolato cumulando i nuovi casi e sottraendo guariti e deceduti; le differenze tra i due valori derivano probabilmente da una sotto registrazione dei casi che si sono negativizzati.

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Sembra allora opportuno cercare un’altra modalità di stima della durata della positività partendo dai dati aggregati delle frequenze dei casi iniziati e delle frequenze dei casi terminati (cioè guarigioni più decessi). Si ipotizza che la durata possa essere considerata pari ai giorni necessari per traslare la frequenza dei casi iniziati perché coincidano con la frequenza dei casi terminati: Queste le medie mobili delle relative frequenze da inizio pandemia:

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Esaminando tre delle ultime ondata si osserva che per quella di gennaio 2022 e per quella di luglio 2022 i giorni sono pari a due settimane mentre per quella di ottobre 2022 la durata sembra sia di una sola settimana.

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Quale può essere la ragione di questa diminuzione della durata? 
Non dovrebbe dipendere dalla la metodologia di calcolo che si può considerare forse non precisa ma probabilmente accurata. Potrebbe invece derivare da caratteristiche mutate del virus o dalla minor suscettibilità della popolazione.

Ma forse è utile è più utile chiedersi se non sia invece cambiato soprattutto il comportamento nei confronti dell'attività diagnostica. Oggi di fronte a dei sintomi respiratori con febbre si è portati a pensare che sia più facilmente influenza e quindi si aspetta ad eseguire un tampone, poi magari si procede ad un tampone fai da te e solo se è necessario un certificato medico si chiede un tampone "ufficiale" e quindi i tempi della durata diminuiscono di vari giorni.

Tutto ciò deve portare a considerare se oggi siano ancora affidabili i dati di incidenza ovvero se siano gravemente sottostimati e quindi la riduzione della durata sia un segnale in tal senso. Se questa è la situazione allora sarebbe necessario attivare altre forme di rilevazione della prevalenza di soggetti positivi come peraltro si fa in altri stati come ad esempio in Inghilterra.

In ogni caso sembra potersi ritenere che il tempo trascorso tra il tampone positivo che ha diagnosticato il contagio ed il tampone negativo che ne ha certificato la fine fosse in precedenza di circa tre settimane, poi scese a due nell'ultimo anno ed infine ultimamente a solo una. La durata della sintomatologia in media è stata, ed è, sicuramente inferiore mentre la durata della contagiosità ancora oggi è difficilmente determinabile e in ogni caso tutte e tre le durate possono avere una elevata variabilità a seconda delle condizioni del contagiato e forse anche della carica virale ricevuta, e forse, infine, non si dovrebbe oggi aver comunque troppa fretta nel considerare terminato il contagio se l'obiettivo è quello di ostacolare il più possibile la circolazione del virus nella popolazione. Uno o due giorni di isolamento in più potrebbero determinare molti contagi in meno.

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