Non voglio certo inoltrarmi in una riflessione su ciò che è "giusto" nell'ambito dei nostri comportamenti, tantomeno spiegare la differenza che può esserci tra etica e diritto o tra etica e scienza  o tra oggettività e soggettività di giudizio. Lascio a chi ne sa molto di più di me il compito di ragionare su queste importanti questioni...

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Mi permetto solo di riflettere sui comportamenti miei e altrui tenuti in questi lunghi giorni di pandemia. Ieri sera, dopo una domenica finalmente passata all'aria aperta svolgendo il mio hobby di giudice di regata di vele, tornando a casa a fine pomeriggio, erano le 20 passate, non ho resistito, sono andato a sedermi in un giardino di una pizzeria su un tavolo molto isolato dagli altri e ho ordinato una pizza ai fiori di zucca, da sempre la mia preferita.

Sarà stata forse la disorganizzazione da prima giornata di riapertura, non so, ma alle 21.30 la pizza non era ancora arrivata al tavolo; ed è lì che mi son chiesto cosa fosse per me "giusto" fare.

Per non lasciarvi in sospeso vi dirò subito che la pizza è arrivata subito dopo, l'ho mangiata in fretta (avevo molta fame dopo una giornata all'aperto) e alle 21.55 era tranquillamente a casa; ma ritorniamo ai miei pensieri di mezz'ora prima. La mia ansia non era tanto il rischio di un contagio da Covid (sono anche vaccinato da tre settimane, anche se un po' di rischio rimane) quanto quella dello scadere del coprifuoco. E non era neppure il timore di una contravvenzione dato che da quella pizzeria a casa mia ci sono poche decine di metri e la probabilità che lungo la strada ci fossero dei controlli posso ritenere con certezza che si avvicinasse molto allo zero.

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L'ansia, quindi, era solo quella di non voler infrangere una regola che sentivo "giusta" seppur l'infrazione non avrebbe di sicuro comportato una sanzione e neppure un rischio per la mia salute: sarebbe stato solo per me non "giusto" tornare a casa dopo il coprifuoco per mangiare una pizza.

Il coprifuoco, certo, non è una misura ritenuta necessaria perché - come ironizzano molti aperturisti - il governo pensa che il virus colpisca più di notte che di giorno! Il coprifuoco è una misura che tanti paesi hanno adottato per ridurre la circolazione delle persone in una fase della giornata molto importante per la vita sociale e culturale, ma di meno importante per la produttività economica. La notte è il momento dei molti assembramenti spontanei, molto gradevoli, ma forse meno essenziali rispetto a quelli che talvolta sono indispensabili nelle ore diurne.

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E allora è la convinzione nata in me che il coprifuoco fosse "giusto", nel senso che fosse la cosa giusta da fare,  che fosse il comportamento corretto da tenere nella situazione specifica, che mi ha fatto interiorizzare l'obbligo a rispettarlo? E se l'avessi considerato inutile sia per me sia per gli altri, che avrei fatto? Avrei trasgredito cercando solo di "non farmi beccare"?

Questa è la  mia impressione di quanto fanno i tanti che tengono la mascherina sotto al mento o che invitano numerosi amici a feste private o che insomma hanno come principale preoccupazione solo, appunto, quella di "non farsi beccare" come se fosse solo il gendarme capace di beccarti e non soprattutto il virus, che è un po' ovunque e molto più vicino a noi che non le pattuglie dei gendarmi.

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Allora la categoria del "ritenuto come giusto" è forse molto più importante di quella del "vissuto come obbligo" nel determinare la scelta dei comportamenti. Noi facciamo e scegliamo ciò che riteniamo "giusto", innanzitutto per noi stessi e poi magari per gli altri, e tendiamo a considerare le regole che confliggono con il nostro giudizio come regole liberticide e quindi violabili.

Ne deriva che nel dare una prescrizione ci si dovrebbe sempre preoccupare di più di quanto oggi accade di far capire perché si prescrivono determinati comportamenti in modo che possano essere vissuti come "giusti". Un maggior sforzo comunicativo svolto utilizzando anche gli strumenti più efficaci e i comunicatori più seguiti può sicuramente portare la comunità a vivere maggiormente come "giusti" gli obblighi, magari ancor prima di decretarli.

Ciò che invece deve essere assolutamente da evitare è proprio l'azione di chi invece vuole convincere che alcuni obblighi sono ingiusti o per lo meno sono inutili o inefficaci. Verrebbe voglia di stabilire che si tratta di un reato di opinione, ma certamente la libertà di pensiero e di parola è ancora più importante della lotta al virus. Ma si dovrebbe distinguere tra l'espressione di un pensiero, seppur pericoloso, dall'istigazione, talvolta subdola, ad adottare dei comportamenti contrari a quelli che la comunità ritiene che sarebbe corretto se non addirittura indispensabile avere.

E qui non mi sento in grado di approfondire questo punto che però credo sia essenziale: dov'è il limite tra libertà di opinione e libertà di svolgere azioni di convincimento che spesso assumono le caratteristiche dell'istigazione.

Da ultimo, però, è importante anche riflettere sul ruolo di chi fa scienza che non può presentare confusioni su ciò che invece è evidente, mentre deve saper spiegare le incertezze e come affrontarle magari adottando un principio di precauzione. È solo sulla base di informazioni chiare e convincenti che un obbligo può essere vissuto come la cosa giusta da fare, e questo è il ruolo anche di noi epidemiologi che dobbiamo diffondere le informazioni necessarie per capire.

È vero che anche ciò che oggi riteniamo solidamente basato sull'evidenza, domani potremmo accorgerci che non lo era davvero. Ma non per questo possiamo esimerci dall'obbligo di diffondere il più possibile ciò che sarebbe giusto considerare "giusto", vuoi perché ne abbiamo evidenza, vuoi perché se ne deve aver precauzione.

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