Contesto

Una percentuale significativa della popolazione mondiale, dal 5% al 7%, soffre di malattie infiammatorie croniche immunomediate (Immune-mediated inflammatory diseases, IMID), con incidenza in aumento.1,2 Queste patologie, tra cui artrite reumatoide, artrite psoriasica, malattia di Crohn, colite ulcerosa e psoriasi, sono caratterizzate da infiammazione cronica e hanno un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti. 

L’avvento dei farmaci immunosoppressori biotecnologici, come anticorpi monoclonali, e di piccole molecole di sintesi, quali gli inibitori delle Janus chinasi (JAK), ha profondamente rivoluzionato il trattamento delle IMID negli ultimi decenni, dimostrando un ruolo rilevante nell’induzione e nel mantenimento della remissione di queste patologie.3 Tuttavia, la gestione a lungo termine delle IMID presenta ancora diverse criticità nella pratica clinica. I pazienti affetti da IMID possono andare incontro a modifiche della terapia in caso di inefficacia terapeutica, scarsa tollerabilità o insorgenza di reazioni avverse. Inoltre, possono verificarsi cambiamenti della terapia per ragioni non mediche, come nel caso del passaggio da farmaco biologico di riferimento (originator) a farmaco biosimilare o tra biosimilari della stessa molecola, in relazione alle gare d’acquisto su base regionale. Nel 2022, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha dichiarato che i biosimilari approvati possono essere considerati intercambiabili con i rispettivi originator, essendo sovrapponibili per efficacia, sicurezza e immunogenicità.4 Tuttavia, circa il 10%-20% dei pazienti ritorna a originator in seguito a switch verso il farmaco biosimilare,5,6 probabilmente  a causa di una comunicazione inadeguata tra il clinico e il paziente che può generare esitazioni e indurre un effetto nocebo... Accedi per continuare la lettura

 

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