È capitato spesso di confrontare l’indice RDt disponibile in MADE con l’indice Rt rilasciato dall’Istituto Superiore di Sanità (ed elaborato dalla fondazione Bruno Kessler di Trento) e di accorgerci che questo riproduceva valori molto simili ma diversi giorni dopo.

Le metodiche che usano i due indici sono diverse ma poi nella sostanza dei risultati non così tanto (si veda al riguardo il nostro articolo su E&P - Rt or RDt, that is the question!). Ciò che invece li differenzia sono i dati che utilizzano: l’RDt utilizza i dati che la Protezione Civile rilascia tutte le sere e che riguardano le diagnosi di positività ai test sui contagi da Covid-19 per data di notifica, l’Rt invece utilizza il dato raccolto dall’ISS relativo alla frequenza dei soli casi sintomatici e riferiti alla data di inizio sintomi.

Per diverso tempo l’ISS non ha pubblicato questi dati ed era perciò per noi impossibile analizzarli, ma adesso che vengono quotidianamente rilasciati è opportuno cercare di capire le eventuali differenze.

Dall’inizio delle statistiche della pandemia in Italia (il 24 febbraio 2020) La Protezione Civile ha registrato al 27 aprile 3.975.530 contagiati e l’Istituto Superiore di Sanità considera che i soggetti di cui dispone la data di inizio sintomi siano stati 2.151.975, cioè il 54,1%, solo poco più della metà. Le ragioni principali per cui si afferma che è opportuno utilizzare questi casi sono due: la prima è la supposta maggior precisione della data del contagio che dovrebbe essere di circa una settimana precedente all’inizio dei sintomi, e la seconda la supporta minor dipendenza del dato dalle scelte di effettuazione dei prelievi con tampone che risulterebbero quasi completi nei sintomatici ed invece molto più variabili nei soggetti asintomatici che ricorrono al test non per ottenere delle conferme o delle smentite diagnostiche ma per svariate altre motivazioni anche di carattere burocratico. Non siamo in grado qui di approfondire il tema della completezza e della qualità di tutti questi dati e ci limitiamo semplicemente ad analizzarli congiuntamente.

L’andamento giornaliero delle frequenze risultanti nei due files sono i seguenti:

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Come peraltro non si poteva non aspettarsi i due andamenti sembrano tra di loro molto simili ma subito si osserva come la linea di entrambi sia frastagliata ma quella dei casi per data diagnosi lo sia molto di più. Confrontando le due linee per il solo periodo che va da gennaio a marzo risultano molto evidenti i cicli delle due serie di frequenze (linee punteggiate).

Considerando che i cicli sono di ordine settimanale va da sé la scelta di calcolare delle medie mobili centrate a sette giorni che eliminano la ciclicità e sono qui sopra riportate con linee continue. Sommando per tutto il periodo dell’epidemia le frequenze per giorno della settimana si sono analizzate le frequenze relative rispetto alle medie giornaliere complessive e il risultato è riportato nel grafico seguente:

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Le frequenze per data di notifica della positività hanno un evidente minimo il lunedì che risente della riduzione sia delle attività di diagnosi ma soprattutto di quelle amministrative di trasmissione delle notifiche. Poi raggiungono un massimo il giovedì e venerdì in cui si accumulano anche quelle non trasmette negli WE e poi ritornato a diminuire il sabato e la domenica.

La ciclicità per data di inizio sintomi è più sorprendente in quanto non ci si aspetterebbe di osservarla ed invece mostra un minimo nel sabato ed un massimo nella domenica. E’ difficile ipotizzare se questo sia dovuto ad una maggior frequenza di contagi alla domenica con in inizio sintomi sette giorni dopo oppure se invece nel ricordo di molti pazienti sia più facile ricordare il giorno della domenica. In ogni caso è evidente che per proseguire nelle analisi sia necessario utilizzare le medie mobili settimanali per evitare questi aspetti delle ciclicità.

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I due andamenti non sembrano, come abbiamo già visto, molto differenti, ma il loro rapporto ha avuto diversi aspetti. La prima diagnosi è stata notificata il 24 febbraio 2020 ed invece i sintomi erano anche molto precedenti. Per questi motivi nei primi giorni dedlla pandemia la frequenza giornaliera per inizio sintomi è arrivata ad essere anche il doppio di quella per diagnosi; nelle settimane seguenti sono via via aumentate le diagnosi dei soggetti asintomatici ed infatti a partire da fine maggio 2020 la frequenza delle frequenze registrate per inizio sintomi sono risultate costantemente attorno al 50%. Negli ultimi giorni attuali, invece, non sono ancora registrati i soggetti che, nonostante abbiano già dei sintomi, non hanno ancora avuto una diagnosi e quindi non sono stati ancora individuati come soggetti contagiati.

Ci dobbiamo chiedere a questo punto quanti giorni mediamente passano tra inizio sintomi e notifica della positività del test. Per proseguire nell’analisi ci soffermeremo solo sul periodo tra il primo gennaio  ed il 31 marzo 2021.

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Come risulta dal grafico l’andamento della curva delle frequenze per inizio sintomi si sovrappone a quella per diagnosi se si opera una traslazione di circa sei giorni che dovrebbero corrispondere in media al periodo che trascorre in media tra la data di inizio sintomi e la data di notifica della positività.

Assumendo questa sfasatura si possono calcolare gli RDt sulle due serie di dati ed il risultato evidenzia che, al di là di piccole variazioni, le due curve si sovrappongono e quindi in concreto offrono la stessa informazione sull’andamento dell’epidemia.

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Non sembra quindi che ci sia un gran guadagno a costruire un indice sulla data di inizio sintomi dato che l’informazione che se ne ricava, sia RDt che Rt, è molto simile. Ma per avere una frequenza “completa” di casi con la stessa data di inizio sintomi non basta aspettare la media di sei giorni, cioè una settimana, ma almeno due settimane o anche più, e questo è il motivo per cui per calcolare un indice sui dati completi di inizio sintomi si deve aspettare giorni prima che la totalità, o la quasi totalità, dei casi con la stessa data di inizio sintomi siano stati diagnosticati.

Nell’esempio qui riprodotto si riportano le frequenze di casi per data di inizio sintomi pubblicati dall’ISS negli aggiornamenti il 27 aprile e il 1°maggio.

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E’ evidente che il 27 aprile non c’erano ancora i casi segnalati con inizio sintomi nei quattro giorni successivi, ma per aspettare un aggiornamento che scenda sotto al 10% si devono aspettare almeno 15 giorni dalla data di inizio sintomi, e 20 giorni per scendere sotto al 5%.

Quindi come qui di seguito illustrato il calcolo di un indice RDt sulla data di diagnosi riguarderebbe la “forza di contagio” di circa 22 giorni prima mentre se si usano i dati di inizio sintomi con un aggiornamento di almeno il 90% i giorni diventano circa 30.

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Questa differenza è la responsabile del ritardo di un indice calcolato sulla data di inizio sintomi rispetto ad un indice calcolato sulla data diagnosi.

Il tempo che “si perde” è quindi quello dell’attesa dei casi la cui latenza tra diagnosi e contagio supera i sei giorni di media. Quindi il vantaggio di avere dei dati meno condizionati dalle pratiche di effettuazione dei tamponi non sembra porti veri vantaggi se si considera la difficoltà del ricordo della data di inizio sintomi e soprattutto nel dover aspettare giorni in più prima di poter fornire un indice di riproduzione che ci permetta di stimare la dinamica epidemica.

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Questo ritardo è quello che si può verificare tra l’indice RDt pubblicato sul nostro sito MADE e l’indice Rt pubblicato invece sui report del Ministero della Sanità. Qui presentiamo i valori relativi ai primi quattro mesi del 2021 e pubblicati sui report dal numero 34 al 50 del Ministero della salute.

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Si osservi la differenza relativa all’inizio di febbraio: il Ministero vedeva una importante discesa dell’indice Rt dall’inizio gennaio e decretò il “ritorno in giallo” della più parte delle Regioni mentre noi vedevamo preoccupati la risalita ed esprimevamo le nostre perplessità in una nota a cura dell’AIE .

 

Cosa proponiamo allora? Proponiamo di considerare tutti e due gli indicatori! Dobbiamo subito usare un indice più “tempestivo” come l’RDt che ci dice quale è stata la dinamica dei contagi di due settimane prima per poi dare conferma con l’indice Rt calcolato sull’inizio sintomi che può considerarsi più “consolidato” ma che è disponibile solo settimane dopo, e per prendere delle decisioni relative alle misure di contenimenti da adottare, una settimana e anche più è veramente tanto.

Non sottovalutiamo quindi i problemi che possono nascere da un ritardo nella considerazione dell’andamento dell’epidemia. Adesso che si è “riaperta” la nazione si abbia la capacità di cogliere immediatamente eventuali segnali preoccupanti in modo da poter assumere delle decisioni che se immediate saranno meno drastiche e meno “deprimenti” per la vita sociale ed economica di tutti.

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