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Sanità Pubblica - 03/06/2024 14:40
SSN: xe pèso el tacòn del buso
Il detto veneto "Xe pèso el tacòn del buso" che "tradotto" significa che è peggio la toppa del buco, viene usato per criticare tutte le situazioni in cui non si vuole risolvere realmente un problema ma ci si limita a metterci sopra una pezza che poi è risulta peggio che aver lasciato tutto come prima.
Mi chiedo se non sia questa la situazione attuale della crisi del Servizio Sanitario Nazionale nei confronti del quale sembra che, spinti dall'atmosfera perennemente elettorale, si propongono e si decidono provvedimenti che invece di migliorare la situazione rischiano addirittura di peggiorarla. Emblematica è l'introduzione dell'autonomia differenziata: c'è chi sostiene che sarà la chiave del miglioramento, e non solo della sanità, c'è invece che è convinto che porterà notevoli contrasti e disastri.
Credo che si dovrebbe invece cercare di ripensare a tutta l'impostazione del SSN per poi riuscire a decidere cosa debba essere salvato e cosa invece debba essere cambiato e migliorato. La paura di veder stravolgere il SSN porta molti analisti a difendere acriticamente tutto ciò che era contenuto nella 833, sulla quale peraltro sono già state messe ampiamente le mani. Si pensi sollo alla USL previste mediamente per popolazioni di 40.000 abitanti che sono diventate delle aziende, le ASL, per territori ampi anche più di un milione di abitanti.
Non voglio assolutamente qui proporre soluzioni o cambiamenti ma solo proporre dei temi di discussione ritenendo peraltro che le giuste soluzioni non possono riguardare il singolo tema ma per lo più la soluzione sistemica globale.
Uno o più sistemi regionali?
Il dibattito sulla territorialità del SSN si svolge per lo più tra soluzioni estreme: c'è chi afferma la necessità di tornare ad un centralismo di governo nazionale della sanità e chi invece auspica una totale devoluzione addirittura della sovranità.
Ci si deve allora chiedere se l'articolazione del sistema debba essere solo operativo, amministrativo, gestionale, ovvero anche politico e di governo.
Quale equilibrio deve esserci tra potere centrale e poteri locali? E quali gli elementi che devono essere considerati per poter arrivare a soluzione?
Innanzi tutto ci si deve chiedere se le "regole" che governano il sistema sanitario debbano essere le stesse per tutto il territorio nazionale o possono differenziarsi per ragioni specifiche ovvero possano invece tranquillamente cambiare a piacere dei governi locali, come ad esempio è per la pena di morte negli USA: in 25 stati è stata abolita, in 12 non viene applicata, in 14 invece viene eseguita. È vantaggiosa o è inaccettabile una situazione del genere in un paese dove la sovranità è unica oppur può aver senso solo per sovranità federate come gli USA?
Ma le uniformità delle "regole" devono riguardare solo i diritti o anche gli aspetti gestionali ed organizzativi? Tra i diritti ci sono solo i cosiddetti livelli essenziali di assistenza, cioè i contenuti assistenziali, o anche le modalità di accesso, come ad esempio l'entità dei tickets?
E possono esserci modalità o contenuti diversi per adeguarsi a situazioni differenti relative ai bisogni o alle condizioni ambientali?
E la disponibilità di risorse deve essere uguale per tutte le aree e garantita a livello centrale o può essere lasciata alle capacità di finanziamento locali?
Pubblico o Privato, nella tutela e/o nella produzione?
La tutela della salute deve essere una funzione pubblica o può essere lasciata anche a privati a libera scelta di ciascuno? le istituzioni pubbliche devono assumersi il compito di assicuratore o possono delegare il compito ad assicuratori privati stabilendo o meno l'obbligo ad assicurarsi?
E la produzione dei servizi deve essere totalmente pubblica o privata o mista? Devono rimanere possibili forme di libera concorrenza tra pubblico e privato o devono essere stabilite delle norme sulle modalità di produzione, sulla qualità, sui prezzi? E alcuni servizi possono essere riservati solo alla produzione pubblica o solo alla produzione privata?
Devono essere conservati sistemi come l'intramoenia che creano rapporti privatistici in strutture pubbliche? Alcune soluzioni di produzione riservata al privato, come ad esempio nel settore farmaceutico, potrebbero essere opportune anche in altri settori?
E le assicurazioni integrative che ruoli e che regole devono avere? Devono riguardare solo prestazioni private o devono poter coprire i costi di attività svolte nel pubblico non in regime di gratuità?
Universalismo ed equità?
Il sistema sanitario deve tendere all'universalismo ed all'equità ovvero deve previlegiare la responsabilità di ciascuno rispetto alla propria salute? Lo Stato, dice l'art. 32 della Costituzione, "garantisce cure gratuite agli in degenti", e non obbliga strettamente a mantenere un sistema che garantisca l'equità e l'universalismo.
Quindi vogliamo ancora che la sanità sia uguale per tutti, ciascuno a misura dei propri bisogni e contribuendo proporzionalmente alle proprie capacità? Se c'è questa volontà allora bisogna evitare finzioni che di fatto discriminano gli utenti. Se non si riesce a soddisfare i bisogni di tutti, e quindi i più benestanti ricorrono al privato, e gli indigenti devono aspettare esageratamente, allora non sarebbe addirittura meglio che il sistema gratuito pubblico fosse solo per gli indigenti ma con erogazioni tempestive.
Se invece si riconferma, come sarebbe auspicabile, la scelta dell'universalismo e dell'equità, allora non dovrebbe esser necessario ricorrere al settore privato per poter avere soddisfazione dei propri bisogni nei tempi e nei modi opportuni.
Bisogna però evitare l'ipocrisia di una dichiarazione di equità in un sistema che di fatto introduce inevitabili discriminazioni.
Quali modalità di finanziamento?
Il finanziamento della sanità deve avvenire attraverso le forme della fiscalità generale o si deve invece prevedere una forma specifica di contribuzione? Non potrebbe venir finanziata attraverso una assicurazione pubblica con un premio proporzionale alle capacità contributiva di ciascuna famiglia? E questa assicurazione dovrebbe essere obbligatoria? Ovvero dovrebbe essere finanziata da assicurazioni private magari poste obbligatoriamente a carico dei datori di lavoro, degli ordini professionali e degli istituiti pensionistici, come praticamente era al tempo delle Mutue.
Non potrebbe esserci un sistema misto di finanziamento con una quota modesta pagata da tutti in modo uguale o in proporzione al reddito. Oggi praticamente tutte le famiglie pagano il canone televisivo; non potrebbe ad esempio esser fatta pagare a tutti obbligatoriamente l'iscrizione al MMG riducendo però, o eliminando, la quota per gli indigenti?
In ogni caso quando dovrebbe essere il target ottimale per la spesa sanitaria? Quanto è fisiologica la quota di spesa out of pocket? Il livello di spesa lo si deve valutare in termini assoluti, in rapporto al PIL o in rapporto al totale della spesa pubblica?
Quale funzione deve avere la compartecipazione alla spesa? Deve essere un ticket? Come calcolato? Uguale per tutti o proporzionale alle capacità contributive? E chi deve essere esentato? Non è maglio pesare ad un sistema a franchigia?
USL o ASL?
Nella legge 833 l'organizzazione della sanità si articolava nelle USL come servizi amministrativi con un Comitato di gestione politico nominato dai Consigli comunali del territorio. Le USL sono state sostituite dalle ASL, aziende sanitarie, con direttore generale e direttori sanitari e amministrativi nominati dai Consigli Regionali. Questa aziendalizzazione della sanità ha funzionato? che rapporti hanno la ASL con la politica? si può ridurre l'influenza della politica sulla gestione della sanità? ovvero si potrebbe invece aumentare la partecipazione delle comunità locali nel governo dei servizi? Si potrebbero costituire dei comitati di gestione scelti dagli utenti?
Quale articolazione territoriale è maggiormente funzionale? Sia a livello politico, che gestionale che operativo. È opportuno ridare maggior importanza ai distretti sanitari ovvero devono essere aboliti? L'appartenenza degli utenti ad una struttura territoriale deve avvenire sulla base della residenza o di una loro libera scelta? Che limitazioni è opportuno stabilire per l'assistenza all'esterno della struttura di appartenenza? La c.d. mobilità deve essere garantita per tutte o solo per alcune prestazioni?
Prevenzione e Assistenza: unite o separate?
Ci sono settori della sanità che via via sembra quasi che si siano esauriti e prima tra tutti il settore della prevenzione. Da una parte c'è stato il referendum che ha separato la prevenzione ambientale e dall’altra il ridimensionamento delle risorse per la prevenzione, teoricamente pari al 5% del bilancio sanitario ma in realtà spese realmente in misura ridotta.
L’integrazione della prevenzione con le medicina di base di fatto non si è consolidata e molti pochi MMG svolgono attività proattive di prevenzione dei loro pazienti. Non parliamo poi dell’educazione sanitaria che è sparita del tutto anche nelle scuole. Bisogna quindi riconsiderare se il SSN deve farsi carico della salute dei cittadini, innanzitutto con la prevenzione e l’educazione, o debba esclusivamente dare una risposta alle domande di cura dei pazienti.
Altri settori da riconsiderare sono certamente la riabilitazione e l’assistenza ai non autosufficienti. L’integrazione tra assistenza sanitaria e assistenza sociale era una delle scommesse del SSN, scommessa per il momento persa. Che ne sarà per il futuro? Dovremo ridimensionare lo welfare per motivi economici privilegiando lo sviluppo economico o riconsiderare innanzitutto il benessere come l'obiettivo da raggiungere per tutti?
Il baricentro dell'assistenza, il MMG?
L’assistenza sanitaria nel ‘900 si basava soprattutto sull’unicità del c.d. medico di famiglia, prima chiamato medico condotto e poi medico di medicina generale. Ma lo sviluppo veloce della medicina e l’impossibilità di possederla tutta in un solo medico, hanno mandato in difficoltà il concetto stesso della medicina di base e il MMG in buona parte svolge attività burocratico autorizzative, cioè "fa le ricette". E’ allora opportuno riflettere se la medicina di base non debba essere invece svolta da un team multi specialistico. Così facendo però si perderebbe il riferimento ad una figura unica capace di conoscere e di indirizzare il paziente.
Ci si può chiedere se questa figura non possa identificarsi con un operatore sanitario, non necessariamente medico, con competenze anche sociali. Il team di base potrebbe anche gestire poi un pronto soccorso di primo livello così togliendo l’eccessivo ricordo ai PS ospedalieri. Funzionano oggi le Case di Comunità che cercano di dare una risposta a questi temi?
Rispetto pio al MMG, se la figura deve restare, si deve scegliere se lasciarlo in regime di convenzione ovvero se renderlo dipendente, e in tal caso però sarà necessario fornirgli le strutture e le strumentazioni necessarie.
L’assistenza ospedaliera
Negli ultimi 50 anni forse l’aspetto che è maggiormente cambiato nella sanità è quello dell’assistenza ospedaliera. L’ospedale non si usa più come "garage" dei malati bensì solo come "officina di riparazione".
Il numero di posti letto è stato ridimensionato; molti nosocomi sono stati chiusi privilegiando il criterio della capacità di intervento a quello della prossimità. Si è parlato di ospedali di territorio e forse si potrebbero trovare forme di integrazione con i MMG che potrebbero gestire in equipe questi luoghi, come in parte dovrebbe essere già per le case di comunità. Un’altra criticità è la gestione del paziente dimesso, troppe volte abbandonato per una incapacità di comunicazione tra ospedale e MMG.
Dati, controlli, valutazioni: chi ne ha accesso?
Per governare servono dati, e i dati devono essere analizzati ed interpretati e non solo all'interno delle direzioni ma anche, per lo meno in parte, dalla comunità. Ci sono molti controlli burocratici e poche attività di valutazione. Efficacia, Efficienza, Appropriatezza, Equità, Soddisfazione ... sono tutti elementi che devono essere valutati con attenzione.
Oggi è impossibile, per chi non è nel sistema, valutarne l'attività e le caratteristiche. Se il sistema è un sistema privato è corretto che sia solo la proprietà che deve farsi carico di valutarlo, ma se il sistema è pubblico si deve permettere anche a chi ne ha le capacità di valutarlo.
Quale ruolo deve assumere l'epidemiologia? Può diventare, come varie volte auspicato, il motore della prevenzione? E quale accesso deve essere garantito a tutti, pur proteggendo, come necessario, la privacy?
Facoltà e scuole di specialità
Il curriculum della laurea in medicina e chirurgia è adeguato? È giusto che sia uguale per tutti i medici ovvero, come è per gli ingegneri, vi siano corsi di laurea differenziati. È possibile pensare a corsi di laurea breve per ruoli che non prevedono compiti diagnostici e terapeutici, bensì solo gestionali, ovvero di supporto a équipe multidisciplinari.
L'accesso alle facoltà di medicina deve essere a numero chiuso o la selezione potrebbe avvenire durante i corsi, dirottando i meno meritevoli ad altre figure meno impegnative? Gli ultimi anni del corso di medicina potrebbero svolgersi direttamente presso ospedali di insegnamento togliendo così la sovrapposizione tra università e aziende poli cliniche?
In particolare le scuole di specialità devono fare parte dell'università o possono essere gestite liberamente da strutture ospedaliere di eccellenza?
Tanti altri interrogativi
Si sono elencati diversi interrogativi, ma sono solo una parte; ne restano molti altri come ad esempio gli aspetti remunerativi dei medici che oggi disincentivano molti a rimanere nel SSN e cercano attività presso strutture private, ovvero aprono studi libero professionali o sono attirati dall'estero. L'attività del medico ha perso oggi per buona parte il prestigio di un tempo e forse dipende dal decadimento di molte strutture sanitarie in cui ci si sente trattati senza la necessaria attenzione per i propri problemi. Non è accettabile che ci si senta maggiormente assistiti quando si è "clienti" piuttosto di quando si è solo "clienti". Devono essere migliorati gli aspetti relazionali e di accoglienza sia da parte degli operatori sia da parte di strutture più accoglienti e rispettose.
Ma ricordiamoci che ... xe pèso el tacòn del buso!
Ci sono tre modi sbagliati di affrontare la crisi dalle SSN: quello di volerlo conservare così com'è, quello di volerlo stravolgere del tutto, quello di volerlo semplicemente rattoppare. Bisogna pensare invece ad un nuovo SSN che contenga tutti i valori così ben enunciati dalla 833 ma che lo ripensi interamente considerando i grandi progressi della medicina, gli importanti cambiamenti della società e i nuovi scenari epidemiologici. Stravolgere sarebbe un delitto storico ma conservare o rattoppare sarebbero ugualmente dei gravi errori.
Insomma, i problemi di un sistema sanitario sono molti e di complessa soluzione. Ma quando un sistema complesso entra in crisi diventa deleterio intervenire cercando solo di risolvere un problema con interventi che spesso innescano una serie di altre criticità. È ormai giunto il momento di avviare una riflessione che porti ad una nuova riforma della sanità che rispetti i valori consolidati del nostro attuale sistema ma che riesca a fare superare le attuali incongruità. Non basterà un decretino del Ministro di turno, è necessario invece avviare un processo di riflessione che riesca a coinvolgere realmente tutti gli attori e gli utenti della sanità.
Come avviare questo processo? Non bastano certamente solo dei convegni tra esperti. È necessario che tutte le componenti sociali, partiti, sindacati, associazioni ecc., avviino una riflessione e si confrontino. Ma occorrerebbe anche che emergessero delle figure carismatiche capaci di fare delle sintesi, figure che devono essere però indipendenti da interessi politico elettorali, da interessi corporativi ed economici. Ogni riforma ha necessariamente dei padri, e i padri non si inventano, emergono quando la comunità ne riconosce l'autorevolezza. Forse allora oggi non è ancora il momento, speriamo di non dover però aspettare troppo e penso che l'Associazione Italiana di Epidemiologia e la Rivista Epidemiologia & Prevenzione possano essere tra coloro che debbono svolgere importanti ruoli di riflessione e di proposta.
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8.
ruolo del "privato"
Cosa manca alle interessanti riflessioni e interrogativi del Prof. Cislaghi? A mio modesto avviso una più dettagliata analisi del ruolo del fattore definito imprenditoriale già nella sua prefazione del marzo 2024 ( cito: L'imprenditoria italiana ha individuato nel settore sanitario una crescente possibilità di sviluppo. Sono sorti diversi ospedali privati, diversi centri diagnostici e laboratoristici, si è sviluppato soprattutto il settore assicurativo integrativo che ha permesso a molti di accedere alle prestazioni erogate privatamente ).
Gli interrogativi posti in questo ultimo intervento nel capoverso “Pubblico o Privato, nella tutela e/o nella produzione?” poi, presuppongono l’abbandono dei postulati principali espressi dalla 833. La tutela della salute non è solo una funzione ma un dettato costituzionale. Già il modello Lombardo formulò la tesi della funzione come pubblica anche se svolta da privato. Ora nella nuova legge regionale, la Lombardia ha decretato l’equivalenza. (Legge Regionale 30 dicembre 2009 , n. 33 art 2 Principi b) scelta libera, consapevole e responsabile dei cittadini di accesso alle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, per il percorso assistenziale di prevenzione, di diagnosi, cura, assistenza, presa in carico e riabilitazione, in un’ottica di trasparenza e parità di diritti e doveri tra soggetti pubblici e privati che operano all’interno del SSL che, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale recante “Modifiche al Titolo I e al Titolo VII della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)”, devono garantire agende dedicate per il percorso di presa in carico del paziente cronico e con fragilità;b bis) equivalenza e integrazione all’interno del SSL dell’offerta sanitaria e sociosanitaria delle strutture pubbliche e private accreditate, garantendo la parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori di diritto pubblico e di diritto privato e promuovendo l’applicazione dei CCNL di riferimento sottoscritti dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative;). Al di là delle dispute giuridiche, qui non opportune, l’intenzione insita nella norma è affermare che la tutela della salute possa essere svolta da strutture private, indipendentemente dalle loro finalità. La definizione generica “privato” adottata non vuole, intenzionalmente o meno, affrontare la natura e lo sviluppo di cosa è il privato e la sua evoluzione negli ultimi anni. La crisi fiscale degli Stati, la diminuzione drastica del prelievo fiscale, l’ampio ricorso al debito (con crescita degli oneri finanziari ecc.) di fatto determinano un’asfissia cronica riparata a stento anno per anno. I sistemi sanitari con terzo pagante finanziato dalla fiscalità sono tra quelli più in sofferenza (salvo quelli scandinavi). Ad esempio, se si analizza la composizione della spesa sanitaria, nel tanto lodato sistema tedesco Bismark, la componente di finanziamento a carico della fiscalità è solo del 11%, in Francia del 4% con assicurazione obbligatoria rispettivamente del 75% e 81%. Sempre, partendo dal dato tedesco di una spesa pro-capite di circa 8000 euro, circa 6000 euro (500 mensili) sono forniti e aggiornati costantemente per coprire i rischi con polizze assicurative offerte da circa 200 fondi locali e nazionali (con elevati costi amministrativi). I contributi sono ripartiti a carico sia dei datori di lavoro sia dai lavoratori stessi (57%). Tra i valutatori della resilienza temporale dei due sistemi e della loro ibridazione) Il dibattito infuria e a volte riemerge. Certo è che l’Italia, con l’handicap della popolazione più anziana in crescita in Europa, non ha certo il reddito medio per permettere a una famiglia di sopportare questi livelli di contribuzione. Non a caso la spesa privata (registrata), come per la copertura assicurativa integrativa volontaria e aziendale è tripla in Lombardia rispetto alla Calabria (che detiene il record negativo reddituale regionale europeo). Già ora la parte di popolazione avente una copertura assicurativa integrativa non è quella più esposta a rischi sanitari catastrofici e in una specie di assistenza inversa riceve quote di spesa sanitaria aggiuntiva tramite la defiscalizzazione. Grazie anche a queste scelte governative passate e attuali, è avvenuto, silente, il processo di concentrazione dell’offerta assicurativa ramo malattia. I quasi attuali 20 milioni di coperture assicurative di fatto non sono più gestiti dai circa trecento fondi, ma ampiamente riassicurati da pochi Gruppi assicurativi nazionali ed internazionali. Viene generato un flusso continuo finanziario che oltre a determinare diritti di accesso differenziati, fa crescere l’accumulazione finanziaria e la sua concentrazione.
L’altro fattore esterno influente, non considerato dal Prof. Cislaghi, forse il più dirompente e destabilizzante, è la crescita degli investimenti finanziari nella sanità, a fini di profitto o di rendita finanziaria. L’ultimo rapporto Mediobanca di maggio è illuminante della situazione Italiana. Capisco coloro che immaginano e si immagino di vivere in una Free Zone sanitaria, nella quale ogni considerazione economica sia bandita e rifuggita, ma a decorrere dalla Grande Crisi del 2008 ed anche prima, ingenti capitali finanziari hanno scelto di dirottarsi nei settori sanitari e assistenziali. Alla privatizzazione sanitaria di fine secolo ( vedasi Lombardia in primis) è subentrata l’onda d’urto della finanziarizzazione, ossia l’acquisizione e il controllo da parte delle società finanziarie di settori produttivi. Nel settore sanitario, assistenziale ecc. è avvenuto in crescendo. Singolare che in Italia non sembra avere destato nessun allarme ma molti silenzi con l’assenza di studi accademici con questo oggetto di studio. In Europa, mentre su autorevoli riviste a noi note (Lancet ecc.), sono apparsi studi e ricerche per rispondere ai quesiti: il tipo di proprietà e i fini gestionali determinano diversi livelli di qualità assistenziale? i processi di concentrazione e ristrutturazione proprietaria, la commercializzazione di intere catene assistenziali ecc. quali effetti ha sui sistemi sanitari statali e regionali? Ad esempio, nella Lombardia di Zocchetti, dove in un territorio altamente abitato, come Milano e d’intorni un Gruppo internazionale ha un controllo dell’offerta delle diagnostiche (RMN), il suo potere di mercato controllerà l’accesso, alias liste di attesa in buona parte. Vengono così a crearsi sottosistemi sanitari autonomi con strategie indipendenti di occupazione territoriale, totalmente indipendenti da ogni programmazione pubblica di garanzia dell’equità di accesso e di fruizione. Sistemi con elevata disponibilità di finanziamenti, indispensabile per il balzo e l’ammodernamento tecnologico. I dati di questa attività da parte del privato, soprattutto ambulatoriale, sono ignoti sia per la parte fornita finanziata dal SSN, sia quella remunerata dai paganti in proprio o coperta da polizze individuali e collettive. Agenas stessa non ritiene rilevante la distinzione. Tantomeno il Ministero della salute. I flussi informativi obbligatori rimangono insabbiati nel fantomatico NSIS, o rappresentati sinteticamente da AGENAS. Per non parlare dell’anagrafe dei Fondi “integrativi” solo ora con qualche maggiore registrazione. Cecità pubblica voluta accompagnata da rapporti istituzionalizzati tra Agenas e AIOP che generano analisi secondo cui il peso medio DRG rappresenta la complessità della casistica non il suo costo ponderato. Analisi da cui risulterebbe che gli Ospedali privati trattano una casemix più complesso ecc. E’ vero? Mi scuso per questo intervento “economicista” con il Prof. Cislaghi a qui rinnovo stima e grande apprezzamento per i suoi interventi e studi.
Alcuni riferimenti bibliografici:
Ana Carolina Cordilha “Public Health Systems in the Age of Financialization Lessons from the Center and the Periphery” 2023
Chiapello, E., 2020. "Financialization as a Socio-Technical Process", in: Mader, P.rtens, D., Zwan, N. van der (Eds.), The Routledge International Handbook of Financialization. Abingdon and New York: Routledge. pp. 81-91.
Bayliss, K., 2016. "The Financialisation of Health in England: Lessons from the Water Sector". FESSUD Working Paper Series,131.
Batifoulier, P., da Silva, N., Domin, J.-P., 2018. Economie de la Sante. Malakoff (Hauts-deSeine):
Armand Colin.Assa,J. and Calderon, M., 2020. "Privatization and Pandemic: A Cross-Country Analysis of covrn-19 Rates and Health-Care Financing Structures", The New School for Social Research Working Papers, 08/20.
Streeck, W., 2013. "The Politics of Public Debt: Neoliberalism, Capitalist Development, and the Restructuring of the State". MPIJG (Max Planck Institute for the Study of Societies) Discussion Papers, 13/7.
Lapavitsas, C., 2011. "Theorizing Financialization". Work, Employment and Society, 25(4), pp. 611-626.
7.
Per una nuova politica della salute
Grazie, Cesare, per le tue considerazioni e i molteplici interrogativi che suscitano ulteriori riflessioni. Mi trovavo anch'io pochi mesi fa a riflettere su questi stessi temi, durante la stesura di un capitolo del mio libro "Curare la sanità. Per una nuova politica della salute". Mi sembra che le considerazioni che seguono possano accompagnarsi utilmente alle tue. La crisi attuale è legata soprattutto al modo in cui sono stati interpretati i problemi della sanità. Essi sono stati confusi con questioni legate all'organizzazione e al funzionamento dei servizi sanitari. Non sono stati inquadrati in una prospettiva sistemica. Vengono attribuiti a un deficit di efficienza, risolvibile tramite gli strumenti dell'economia di mercato. Sulla base, invece, di una diversa interpretazione, i problemi possono essere rappresentati in altro modo: ci troviamo di fronte a un continuo incremento di bisogni sanitari percepiti, senza che sia stata escogitata una strategia politica adeguata ad affrontarli. Questa strategia non può ridursi all'efficienza e all'aggiornamento incrementale del repertorio di farmaci, interventi e dispositivi medici e chirurgici. Seguendo questa strada si rischierebbe, oltre tutto, di violare altri diritti che concorrono, a loro volta, al benessere complessivo. Una nuova strategia per affrontare la crisi deve nascere dall'analisi approfondita di tutto ciò che influenza la salute e la qualità della vita. Il problema della sanità consiste, quindi, nella rinuncia attuale della politica ad affrontare con un approccio sistemico la questione della salute nel suo complesso, facendo leva su prevenzione, priorità e appropriatezza. La sanità si trova di fronte a un bivio. Può smarrirsi nell'immenso mercato dei beni di consumo, rivaleggiando con gli altri settori economici e lasciandosi dominare dal profitto. Oppure può risorgere a nuova vita, rinnovando la sua tradizionale ispirazione umanitaria e utilizzando al meglio le risorse della scienza e della tecnologia. E' questa la strada da percorrere. Lo scopo della sanità non è, infatti, creare profitti per una élite minoritaria, ma promuovere e tutelare la salute, tenendo conto dei vincoli di compatibilità economica. Va intesa come un elemento essenziale di un sistema di sicurezza sociale. A questo fine occorre puntare, oltre che sulle competenze più tecniche del personale sanitario, sulla statura morale dei diversi professionisti, affinché perseguano, prima di tutto, i guadagni di salute di cittadini e malati. La fede spropositata nel mercato, anziché risolvere i problemi della sanità, li ha acuiti perché crea falsi bisogni e ingigantisce quelli esistenti. Nonostante questo, si continua a credere che il mercato sia il migliore strumento regolatore nella distribuzione dei beni e dei servizi. Lo si crede anche relativamente a settori che, per la loro natura, non gli appartengono, dal momento che non riguardano bisogni di tipo individuale, ma bisogni sociali, come la salute o l'istruzione. Tuttavia, è difficile ridimensionare il ruolo del mercato e rafforzare quello dello Stato, puntando sui saperi propri della sanità pubblica, che hanno adottato, nel tempo, una concezione sistemica del benessere. Il benessere fisico, psicologico e sociale emerge come esito dell'impegno di ogni settore della società, dell'economia e del lavoro, in sinergia con tutti gli altri, affinché la gente stia bene, si senta sicura e venga curata tutte le volte che diventa necessario. Nonostante i vantaggi legati a queste prospettive sistemiche, l'intervento pubblico continua a essere osteggiato, in nome della libertà individuale. La sanità pubblica ha pochi simpatizzanti, perché si interessa di ciò di cui la popolazione ha bisogno, non di ciò che desidera l'individuo. I suoi benefici, inoltre, non sono immediati, ma si proiettano nel futuro, in contrasto con la moda del tutto e subito. Essa, per di più, viene messa in cattiva luce perché si oppone a potenti interessi economici: basti pensare a quelli legati all'alcol, al tabacco, all'industria farmaceutica, a quella agro-alimentare e del gioco d'azzardo. Contro i suoi provvedimenti si insinua, ad arte, la minaccia dello Stato "etico", ogni volta che si cerca di condizionare favorevolmente i comportamenti individuali, dall'obbligo delle vaccinazioni alla tassazione delle bibite zuccherate. Ci sono anche altri ostacoli che si oppongono a una riforma radicale del sistema sanitario. E questi sono i più difficili da superare. Esiste la difficoltà di smantellare una rete fittissima di interessi consolidati in decenni di relazioni affaristiche. Quanto tutto ciò giovi effettivamente al malato, completamente ignaro di essere ormai diventato una pedina in una complicatissima rete di interessi, sembra preoccupare troppo poco la politica. Ma, così, si stanno completamente snaturando le professioni di aiuto, perché il criterio decisionale delle varie scelte non si basa più sul bene del malato, ma sull'interesse dei vari "erogatori". La crisi della sanità è eminentemente etica. C'è qualcosa di radicalmente sbagliato in tutto questo. La politica deve dar prova di riconoscerlo. Si tratta di non tradire un principio molto semplice: la sanità deve giovare prima di tutto ai cittadini e ai malati. In conseguenza dei benefici che arreca, essa è perfettamente in grado di giovare a numerosi altri attori del sistema sanitario. Non è uno scandalo, infatti, che, grazie alle utilità che procura, possano riversarsi sostanziali vantaggi anche su industrie, istituti, società, ospedali e professionisti. Non deve, invece, più accadere che, per saziare l'avidità di qualcuno, medicina e servizi non solo perdano di vista il bene del malato, ma finiscano, talvolta, per fare consapevolmente il suo male.
6.
Spunti di riflessione e contributo dell'AIE
Grazie Cesare per l’analisi estremamente articolata ed interessante che hai fatto!
Le domande e gli spunti di riflessione che poni sono tanti ed è difficile immaginare una soluzione al problema o avere un’idea precisa degli interventi necessari. Di seguito ti riportiamo alcuni spunti di riflessione che ci sembra utile sottolineare.
Sicuramente la situazione richiede una riflessione approfondita anche dal punto di vista demografico. Nei prossimi 10 anni si prevede una riduzione della popolazione italiana del 3%. La riduzione interesserà le classi di età più giovani, ma si osserverà un aumento del 20% della popolazione 65+ e del 23% della popolazione 85+ (Fonte ISTAT). Ancora più difficile quindi immaginare che il SSN attuale possa venire incontro alle future necessità di una popolazione ancora più bisognosa di assistenza a tutti i livelli. Pensiamo per esempio quanto questo invecchiamento potrà comportare in termini di aumento di popolazione cronica e multi-cronica. Lo sforzo da fare è quindi anche quello di proiettare le attuali necessità ad un prospettiva futura (non troppo a dire la verità, perché parliamo solo di 10 anni).
L'ideale sarebbe mantenere un sistema sanitario universalistico ed equo, in cui non ci sia bisogno di ricorrere al settore privato per ottenere cure adeguate. Come epidemiologi il nostro compito è quello di stimare i bisogni della popolazione, ma anche di valutare l’assistenza sanitaria che viene offerta. È molto importante, però che la valutazione della performance venga sempre affiancata ad un’analisi dell’equità. Il miglioramento medio delle performance ospedaliere, per esempio, non basta se non è accompagnato anche da una riduzione dell’eterogeneità di tali performance per struttura ospedaliera, per area di residenza, per titolo di studio, per livello socioeconomico o per genere del paziente. Molto più complesso è valutare quali cure non sono state garantite adeguatamente a livello di popolazione.
Per tutti questi motivi l’Associazione Italiana di Epidemiologia sta da tempo ragionando sul contributo che l’epidemiologia può offrire a supporto dell’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale, avviando un percorso di discussione e ricerca che possa contribuire a evidenziare potenzialità e limiti del Servizio Sanitario Nazionale in termini di copertura, di equità e in relazione ai bisogni attuali e futuri della popolazione.
Infine, la questione dell’accesso ai dati è di particolare rilievo attualmente ed è certamente auspicabile che si possa definire al più presto ed in maniera chiara limiti e possibilità di accesso in ambito di ricerca sanitaria ed epidemiologica. È, infatti, di recente pubblicazione la modifica al Codice privacy e ricerca epidemiologica (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/10015453#1) che alcuni colleghi e colleghe dell’Associazione stanno già seguendo.
5.
El buso però se vede de più
Commentare i temi proposti da Cesare non è facile anche perché sono tanti.
Ma accetto la richiesta ed ecco le mie idee. Basate su esperienze maturate in anni di lavoro in vari settori sanitari , anche se non tutti.
Cerco di toccarne qualcuno
- autonomia differenziata nelle regioni.
Facendo il master in gestione aziendale per direttori di asl ero stato colpito dalla lezione sull’autonomia differenziata in particolare relativa alla spesa sanitaria delle regioni.
La docente, famosissima ed ex ministro, aveva spiegato la vicenda con una metafora.
Quella di un papà che stanco di pagare ogni momento le spese dei figli (si dice a piè di lista) decide di istituire una paga mensile a cui i figli si devono adattare e oltre le quali non devono chiedere nessun extra (tranne casi eccezionali) in modo tale da responsabilizzarli ed insegnare loro a gestire oculatamente le risorse economiche disponibili.
Idem lo Stato decise il finanziamento per la spesa sanitaria delle regioni sulla base dei LEA minimi da garantire a tutti, con l’accordo che non ci sarebbero stati altri finanziamenti oltre alla cifra pattuita e che le regioni erano libere di adattare il loro sistema sanitario (la devolution) al budget assegnato per farlo funzionare al meglio. E basta al ripiano dei conti fuori controllo.
Così nacquero i sistemi sanitari regionali.
La storia ha insegnato che ci sono state regioni virtuose che hanno gestito oculatamente le risorse garantendo tutti i LEA e anche ulteriori prestazioni e regioni molto meno virtuose che non sono riuscite né a garantire i LEA né a stare entro il budget. Non è il caso di dire qui quali regioni sono in un gruppo e quali in un altro (chi vuole può consultare i dati di Agenas) ma il risultato è che a seconda della regione in cui si vive i cittadini godono di alcune prestazioni anche aggiuntive uniche o non riescono ad accedere neanche a quelle dovute per legge. Si è sviluppata la migrazione sanitaria per poter usufruire di prestazioni presenti solo in alcune regioni e si sono concordati i rimborsi da versare alle regioni con il SSR più avanzato.
E’ stato un bene ? Dal punto di vista economico la spesa sanitaria non è diminuita (anzi cresce continuamente) e i disagi si sono diffusi in modo diseguale nel paese (contravvenendo ai principi di equità nelle cure) ma almeno è controllata a livello centrale.
Ma dal punto di vista dei cittadini i problemi sono aumentati, non diminuiti. Di chi la responsabilità? La docente disse che la colpa nelle regioni problematiche era dei dirigenti degli assessorati regionali alla sanità incapaci perché eletti sulla base di accordi politici e non delle competenze necessarie. Ma questo vale anche per i DG delle ASL, anch’essi nominati dalla politica. Per cui la mia risposta è che la politica deve stare fuori dalle nomine in sanità che vanno date per concorso e per merito e non per tessera elettorale. E credo che i risultati si vedrebbero dopo pochi anni.
2) assicurazioni pubbliche e private
Le assicurazioni private si stanno estendendo, spesso offerte dai datori di lavoro. Facendo rientrare prestazioni non LEA (quali le spese dentistiche o per occhiali ad es) con accesso privato a prestazioni specialistiche in tempi rapidi. I medici valutano quanto è conveniente restare nel pubblico o nel privato, e più aumentano le assicurazioni private e le richieste di visite private a pagamento, più i medici lasciano il SSN per darsi alla libera professione. Per cui su questo non ci sono soluzioni se non altamente impopolari per salvare il SSN universalistico gratuito, in prospettiva destinato ad essere modificato nel migliore dei casi, ad essere sostituito nel peggiore. Chi mi conosce sa che sono tendenzialmente pessimista.
3) USL o ASL?
Più e’ vasta un’azienda e peggiori sono le comunicazioni col pubblico ma migliore e’ l’efficienza e la dotazione minima di risorse di personale per la sua gestione ottimale. Che è diventata molto complessa, per cui il ritorno a piccole USL (in cui si dovrebbero lasciare fuori i presidi ospedalieri) può essere possibile solo a patto che alcune funzioni complesse (acquisti, assunzione di personale, accordi sindacali) vengano attribuite a livello regionale centrale e non alle singole USL. Insomma una via di mezzo tra la soluzione iniziale e quella attuale.
4) Prevenzione e Assistenza
La prevenzione e l’assistenza operano in mondi che si toccano ma sono lontani uno dall’altro. La prevenzione nelle ASL o USL per mia esperienza è oggi avulsa dalle altre attività delle ASL, sta in un mondo a sé e non dialoga con la medicina di base.
L’idea che mi sono fatto è che la prevenzione andrebbe quindi ridefinita nei compiti, tolta alle ASL e strutturata in agenzie regionali per la prevenzione in cui inserire anche la prevenzione ambientale e parte dei zooprofilattici , come in Francia ad es. , lasciando alle ASL il governo dell’assistenza sanitaria ospedaliera e l’organizzazione delle cure primarie (cioè quella erogata dai MMG).
5) MMG
Renderli dipendenti o liberi (fino ad un certo punto) professionisti)?
Per me dopo averci lavorato per anni cercando con enormi difficoltà a collaborare andrebbero tutti assunti come dipendenti delle ASL, la gestione attuale è un caos e le disuguaglianze generate nei mutuati sono enormi, la loro gestione necessita di un lavoro immane spesso senza risultati, con zone scoperte dove non vuole andare nessuno, e orari di accesso strampalati e difficili per l’utenza. Per me sarebbe ora di dire basta a questa situazione che peggiora di anno in anno.
Dipendenti pubblici come altri con orari di apertura uguali e retribuzioni uguali.
6) assistenza ospedaliera
Non commento, non me la sento, non ne so abbastanza
7) Dati e Controlli
Risposta semplicissima. Osservatori epidemiologici regionali in ogni regione e servizi epidemiologici in ogni ASL anche con compiti di controllo di gestione e compito di indirizzo alle direzioni aziendali basate sui dati dell’assistenza.
8) Scuole di Specialità
Devono rimanere in Università. Ma l’accesso alla laurea deve essere senza test di ammissione per aumentare il numero di medici necessari al Paese. E la possibilità di lavorare come medico anche senza specialità come era una volta (l’assistente medico).
E Specialità invece a numero chiuso con aumento dei fondi per la retribuzione degli specializzandi in modo da poterne aumentare il numero futuro.
E Specialità pagate anche per non medici, con ingresso di molte più figure non mediche (biologi chimici psicologi statistici ) in sanità, perché funzionano benissimo quasi dappertutto e sono una risposta alla carenza di medici.
E anche se i sindacati medici mi salteranno addosso per aver tradito la congrega ricca di privilegi, la verità è che in tantissimi posti i medici non sono indispensabili e abbiamo personale non medico a sufficienza per coprire il fabbisogno, soprattutto nella prevenzione.
Grazie Cesare per il dibattito aperto
4.
L’impatto del « finanziamento privato »
Mi limito a esprimere una mia opinione che avverto e specifico non è definitiva ma il semplice frutto di sensazioni e valutazioni che giacciono da tempo nella mente in attesa di essere confermate e smentite. Vengo al punto. Credo che il welfare aziendale e in generale tutta la materia del "finanziamento privato" abbia contribuito in negativo al ssn. Le intenzioni erano buone, al pari di quelle riguardanti lintramuraria. Ma gli effetti negativi. I dati oggettivi, i fatti, mostrano che oggi il ssn ( non quello delle cosiddette funzioni indivisibili,prevenzione e via dicendo) in senso stretto è diventato il servizio dei "poveri" o meglio di quelli che non hanno alle spalle un terzo pagante, a prescindere da come si chiama. Un terzo pagante può essere un impresa di assicurazione, un fondo sanitario ( la maggior parte dei fondi funzionano da raccoglitori di iscritti che poi assicurano tramite l'acquisto di polizze collettive), un datore di lavoro che in base al contratto garantisce prestazioni e simili arrangiamenti. Sono 20 e più milioni gli individui che hanno queste coperture. Non è un caso che i principali produttori di servizi (medici) escono dal Ssn per lavorare nel privato allargando la platea di quelli che già in precedenza operavano intramuraria. Peraltro le regole pensionistiche sono tali che pur in pensione si continua a lavorare. Concludo qui perché sul tema dovrei scrivere un saggio con i relativi dati statistici...ma è cosa lunga. In effetti, ho l'impressione che già dall'epoca della 229 ,il cui intento era quello di rafforzare il ssn,la regolamentazione del cosiddetto secondo pilastro, come si chiamava in quel tempo, fu, seppur non voluta e non auspicata,la base da cui parti il cambiamento in senso contrario...il welfare aziendale, anche esso a prescindere dalle buone intenzioni, ha fatto il resto. Pezzi di legislazione che come tessere di un mosaico hanno prodotto quello che è oggi visibile. Chiedo a chi mi legge di considerare quanto scritto un semplice pensiero provvisorio.
3.
un framework per misurare gli esiti sul paziente e sull'ecosistema del privato in sanità
Grazie Cesare per gli stimoli che proponi. Mi sono occupato nella mia carriera professionale di programmazione e valutazione partecipate, contribuendo a redigere due piani sanitari regionali in Umbria e valutandone uno su contesto, organizzazione, processi ed esiti, ora sono il responsabile nazionale del PCI per il Dip Welfare Salute Sanità e Servizi Sociali.
Brevemente direi che:
1) indicazioni preziose vengono come sempre dalle evidenze disponibili: in letteratura continuano ad essere pubblicate revisioni sistematiche sull'impatto del privato in sanità che depongono per una sua sostanziale inferiorità al pubblico, non ho ancora trovato uno studio epidemiologico serio che dica il contrario.
2) Noi del PCI su questa base abbiamo costruito un framework che riassume gli esiti per il paziente e l'ecosistema socio sanitario del privato in sanità assemblando le relative aree di misurazione in un unico prospetto (fig.2) che può essere consultato su https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2024/04/26/il-privato-nella-sanita-nazionale-e-umbra-dimensioni-sviluppo-nei-processi-assistenziali-impatti-su-paziente-e-sul-sistema-socio-sanitario/;
3) il terzo elemento che terrei presente riguarda i numerosi "lacci e laccioli" finanziari, organizzativi e programmatici che sono stati imposti al nostro Ssn dallo stato neoliberista, che, come è noto, fa politiche di servizio al privato. Così si è reso conveniente per il cittadino mettersi le mani in tasca e "scegliere" un erogatore privato;
4) ancora va tenuto presente che le condizioni epidemiologiche prevalenti rendono necessari interventi di presa in carico multi disciplinari, intersettoriali e continuativi nel tempo, un impegno che richiede integrazioni impensabili perché onerose, per il privato...
Certo, "indietro non si torna" e la società odierna non ha molto in comune con gli anni in cui è nata la riforma sanitaria.
Ma per andare avanti nella costruzione di una moderno ed efficace servizio sanitario, serve tenere conto delle evidenze e programmare in modo partecipato un piano socio sanitario nazionale che affronti organicamente e scientificamente le aree problematiche da te evidenziate perché il mercato non alloca appropriatamente le risorse necessarie a dare risposte efficaci e sostenibili ai bisogni di salute, ci vuole una seria programmazione socio sanitaria per fare queste cose.
Dr Carlo Romagnoli Responsabile Dip PCI Welfare Salute Sanità e Servizi Socialisurfcasting.dakhla@gmail.com
2.
accogliamo questa proposta
mi scuso per refusi ma ho braccio dx ingessato...
Complimenti e grazie di cuore Cesare, si sentiva proprio il bisogno di una proposta di lavoro. Sei riuscito a rendere benissimo l'idea della complessità del tema ma anche a focalizzare, con una lucida sintesi, quasi tutti i problemi interdipendenti e la necessità di affrontarli partendo da un'analisi oggettiva dei dati, dei bisogni, delle aspettative e dei valori.Io sono sempre stata dell'idea che se si crede in qualcosa bisogna agire, dal basso, senza aspettare...ben venga una discussione dalle pagine di EP, e costituire dei gruppi di lavoro per incominciare a scriverla questa nuova riforma?
1.
La storia si ripete
Già pochi anni dopo la istituzione del servizio sanitario nazionale, è iniziato il susseguirsi di interventi normativi con l’obiettivo di coniugare i principi ispiratori universalistici e la sostenibilità del sistema. Ricordiamo tutti ad esempio la svolta che fu introdotta con la riforma del 1992 attraverso l’introduzione della logica di tipo manageriale e l’aziendalizzazione, proprio per favorire l’equilibrio dei bilanci e allontanare la politica, per quello che poi si è rivelato possibile, dalla gestione della sanità. Ancora oggi ci troviamo di fronte ad un dilemma, in quanto le due dimensioni, nei fatti, si sono dimostrate antitetiche, almeno fino a quando non saranno garantite appropriatezza e qualità delle prestazioni. Possiamo dire quindi che le varie riforme abbiano contribuito a ridurre o contrastare le criticità emerse fin dai primi momenti di vita del nostro sistema sanitario? A giudicare da quello che è accaduto negli anni verrebbe proprio di rispondere di no… anzi forse le differenze e disparità tra e in popolazione si sono acuite. Per decenni la gestione della sanità nel nostro Paese è stata assoggettata a logiche economicistiche e a vincoli di contenimento della spesa. Forse queste logiche non possono integralmente applicarsi nel campo della salute senza pagare un costo da parte del cittadino in termini di servizi non fruiti e potenzialmente di mancata qualità della propria vita? E d’altra parte sarebbe anche venuto il tempo di una serena revisione dell’impostazione generale basata su principi che seppure totalmente condivisibili in astratto nel concreto poi conducono a carenza di risorse e limitazioni nell’accesso alle cure ? Ad esempio riguardo il ruolo del pubblico e del privato nella tutela o nella produzione della salute… alla luce dei fatti non se ne dovrebbe più fare una questione ideologica o un tabù nel momento in cui, sulla base di programmi organizzati di comprovata efficacia, sotto il controllo delle istituzioni governative centrali, vengano effettivamente garantite efficacia , e quindi parallelamente volumi, ed appropriatezza nelle attività. Si potrebbe richiamare in tal senso l’esperienza portata avanti negli Stati Uniti dal Kaiser Permanente che conduce routinariamente tutti i programmi di prevenzione raccomandati , insieme a programmi assistenziali, con l’obiettivo di ridurre i costi legati alla diffusione di patologie nella comunità dei propri assistiti.. Se il prezzo da pagare è costituito dalla rinuncia alle cure, specie tra la popolazione più vulnerabile e a rischio, forse sarebbe il caso di rimettere in discussione qualcuno dei meccanismi di finanziamento che ci portiamo dietro ormai dal secolo scorso . In ogni caso , per chiudere in proverbio, “senza soldi non si canta messa”, e quindi non serve lamentarsi sulle innumerevoli criticità dell’attuale sistema ma forse una iniezione di risorse in più potrebbe per alcuni aspetti contribuire a risolverle.
9.
Considerazioni
Il SSN disegnato dalla legge 833, i cui valori sono universalismo ed equità, va aggiornato in considerazione dei cambiamenti della società e della evoluzione della medicina che hanno caratterizzato gli ultimi 30/40 anni.
Un Sistema Sanitario gratuito per gli indigenti e compartecipato da tutti gli altri cittadini significa andare verso il modello americano che certamente non garantisce l’equità dell’accesso e produce disastrose rinunce alle cure.
Il finanziamento del SSN deve essere posto a carico della fiscalità generale impostata su aliquote progressive tarate sulla capacità contributiva rispetto al reddito. Il che risolve alla radice la questione del costo sanitario in base al reddito.
La ripartizione del FSN deve avvenire utilizzando gli indicatori epidemiologici oggi disponibili grazie all’investimento PNRR in tema di centralizzazione dei dati sanitari contenuti nel FSE: il fabbisogno di cure soddisfa tutti i criteri previsti dalla legge non solo quello della incidenza della popolazione anziana.
Credo che per affrontare le criticità del SSN sia necessario intervenire sul modello organizzativo, poiché le Aziende Sanitarie, finanziate dalle regioni di fatto rispetto al solo pareggio di bilancio, non rispettano la ripartizione prevista per i tre macrolivelli : Prevenzione 5%, Ass. Ospedaliera 44%, Ass. Territoriale 51%. Con il risultato di sottofinanziare la Prevenzionee l’Assistenza territoriale per garantire prioritariamente e prevalentemente la spesa ospedaliera: ospedali non strategici finanziati a scapito di quelli strategici ( costo garantito a prescindere dalla produzione) e assistenza territoriale insufficiente e inefficiente.
Una soluzione potrebbe essere quella di attribuire ad un’unica Azienda Regionale la gestione della rete ospedaliera, con vantaggi per gli approvvigionamenti, la gestione del personale e gli investimenti tecnologici. Una Azienda Ospedaliera Regionale favorirebbe la organizzazione di Dipartimenti Ospedalieri Regionali che potrebbero allocare le risorse (medici, infermieri, tecnici di radiologia, ecc.) in modo dinamico: risposte assistenziali in ragione dei bisogni, utilizzo di tutte le sale operatorie da parte di equipe formate utilizzando tutti i professionisti disponibili e garantendo, in tal modo, una reale formazione continua.
Questa soluzione consentirebbe un controllo centrale capace di rilevare criticità e incongruenze e conseguentemente intervenire a tutela dei diritti di tutti gli utenti regionali e non.
Le lunghe liste di attesa e il ricorso al PS anche per interventi non urgenti dimostrano che vi è la necessità di un cambiamento radicale dell’Assistenza Territoriale. Servono ambulatori di medicina generale attivi 24/24 ore, nei quali un team di medici generalisti assicuri l’assistenza a 10/15 utenti, iscritti non più al singolo medico, con la possibilità di richiedere per appuntamento una visita ad un singolo medico. L’ambulatorio deve garantire le visite specialistiche in loco o, in ragione dei volumi programmati, anche presso gli ospedali e soprattutto la prenotazione diretta degli approfondimenti diagnostici. I medici potrebbero essere remunerati come gli specialisti ad ore e per le prestazioni domiciliari. In considerazione dell’importante turn over in atto e previsto per i prossimi due anni, questo è il momento più favorevole per il cambiamento organizzativo della medicina generale, senza sconvolgere le abitudini dei medici prossimi alla pensione.
Anche per l’Assistenza territoriale una sola Azienda Territoriale Regionale alla quale fanno capo i Distretti socio-sanitari.
L’intramoenia deve essere svolta solo nelle strutture pubbliche o private di appartenenza e deve prevedere a carico del richiedente la sola tariffa professionale o di equipe, mentre all’Azienda va contabilizzato il DRG o la tariffa nazionale con il FSR. No a stanze a Pagamento. Per le strutture convenzionate valgono le stesse regole del pubblico e la gestione delle prestazioni attraverso il CUP. I medici pensionati non possono essere assunti o svolgere consulenze nelle strutture convenzionate.
Le strutture private devono rispettare i requisiti generali previsti dalla normativa nazionale e operano al di fuori del SSN e conseguentemente dell’accreditamento.