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Sanità Pubblica - 19/09/2024 09:39
Se aveste quattro miliardi da dare alla sanità, come li spendereste?
È difficile pensare di poter avere quattro miliardi da dare alla sanità, ma se foste ai vertici dello Stato potrebbe magari capitarvi; e allora, dopo essere riusciti ad averne la disponibilità, dovreste decidere come impiegarli.
E quindi voi pensate che li spendereste…
... per assumere più operatori?
In effetti c’è una scarsità di personale, medici e infermieri, e molti stanno lasciando il SSN.
... per aumentare gli stipendi?
Gli stipendi dei sanitari sono i più bassi in Europa e il privato offre di più.
... per fare più convenzioni con i privati?
Il settore privato convenzionato è in aumento e un’ulteriore crescita potrebbe risolvere alcune carenze del SSN.
... per comperare nuove apparecchiature?
Alcune strutture non hanno apparecchiature di ultima generazione e un ammodernamento sarebbe desiderabile.
... per rimodernare gli edifici ospedalieri?
Molti ospedali si trovano in edifici obsoleti e non più adatti per assistere i malati.
... per togliere i ticket?
I ticket per la specialistica sono elevati e, in diversi casi, rendono competitive le tariffe del privato.
... per finanziare la ricerca?
Da anni la ricerca in campo sanitario a carico dallo Stato è sotto finanziata.
... per fare più prevenzione?
Alla prevenzione sarebbe destinato il 5% del fondo sanitario, ma questo non basterebbe se si facessero realmente i programmi e gli interventi necessari.
... per aprire più residenze sanitarie per anziani disabili?
Le RSA sono da sempre una carenza del SSN e pochi anziani disabili possono usufruirne.
... per migliorare le facoltà universitarie di medicina?
L’insegnamento universitario ha gravi problemi di bilancio e la didattica ne soffre.
... per rendere gratuite le cure dentistiche?
Le cure odontoiatriche non sono comprese nei LEA se non in minima parte e costituiscono una delle voci principali della spesa sanitaria delle famiglie.
... per risanare l’ambiente?
Il referendum ha separato l’ambiente dalla sanità, ma molti determinanti della salute risiedono nell’ambiente e la prevenzione primaria dovrebbe occuparsene.
... per promuovere l’educazione sanitaria nelle scuole?
L’educazione sanitaria non si fa nelle scuole, ma sarebbe invece molto utile che la si introducesse.
... per sviluppare la raccolta dati e il sistema informativo?
Una disponibilità più completa, di migliore qualità e più tempestiva aiuterebbe la programmazione sanitaria e la ricerca epidemiologica.
Ovvero…
Non li dareste alla sanità, ma li usereste per altri scopi, come, per esempio, la riduzione delle tasse.
Quattro miliardi di euro sono una cifra considerevole, ma poi, considerando i problemi che oggi ha il SSN, risultano poca cosa. Dovendo ovviamente scegliere, nel definire le priorità che criteri utilizzereste?
L’età: più risorse per gli anziani che hanno più bisogno o più ai giovani per cercare di prevenire i possibili loro bisogni futuri.
Il genere: più risorse alla sanità femminile che forse era stata più carente in passato.
L’equità sociale: per evitare che i meno abbienti abbiano maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari.
L’efficienza: cioè dare più ricorse nei settori e nei servizi dove si spreca meno e si produce meglio.
L’efficacia: dare più risorse alle attività che dimostrano di ottenere maggior efficacia.
Il consenso: dare più risorse dove si può ottenere un maggior consenso della popolazione.
Il benessere degli utenti: dove si può far crescere il benessere dei malati migliorando anche l’accoglienza nei servizi.
La giustizia: per ottenere un maggior rispetto delle normative che stabiliscono i diritti dei cittadini.
Ovvero...
Il criterio, in realtà non potrebbe essere che quello di rispondere alle richieste che vi vengono fatte e alle quali non potete dire di no o, “per non sbagliare”, li dareste alle Regioni proporzionalmente al loro fondo sanitario.
E chi dovrebbe decidere quali criteri utilizzare per scegliere a chi dare questi quattro miliardi?
Il Parlamento?
Il Governo?
Il Ministro della Salute?
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze?
La Conferenza delle Regioni?
Ciascuna Regione per sé?
I Direttori delle ASL?
O chi altri?
Insomma, non basta aver quattro miliardi in più! Occorre saper fare una programmazione efficace e occorre anche avere una chiara visione di dove portare il SSN a migliorare. Il pericolo, invece, è che si utilizzino criteri approssimativi o addirittura si facciano scelte di parte per spartirsi i fondi tra chi in quel momento è sul tavolo dei decisori.
La politica sanitaria è qualcosa di molto difficile da eseguire tra interessi partitici, interessi corporativi, interessi localistici, interessi lobbistici. E non sempre la semplice scelta democratica di chi deve decidere porta a risultati ottimali, ma è difficile ipotizzare altre alternative. Sarebbe però utile, almeno, che i decisori potessero essere valutati dalla popolazione sulla base dei risultati ottenuti e noi epidemiologi, per rendere possibile questa valutazione, dovremmo esser capaci di definire e offrire indicatori che, rispetto a quelli attualmente disponibili, siano maggiormente validi e soprattutto più comprensibili per tutti gli utenti in modo che possano poi scegliere, votando, a chi dar la loro fiducia, confermando o cambiando le scelte precedenti.
Commenti: 5
4.
4 MILIARDI IN PIU'? FARE INCONTRARE DIRITTI E RISORSE
Caro Cesare,
premesso che i quattro miliardi di cui parli io ce li avrei, anche se non saprei come passarli al SSN (in contanti: ma a chi? con un unico assegno – ma si puo'? – o con tanti assegni da 4.000 € - e questo so che si può; oppure con un bonifico bancario – ma non so se il SSN ha un IBAN), ti dico subito che non li do al servizio sanitario, e questo non perché sono tirchio e ho il braccino corto bensì perché non penso che il problema del SSN di oggi siano 4 miliardi in più (o magari anche 8). Oh, intendiamoci, un po’ di risorse in più fanno certamente bene perché permettono di fare cose che oggi non si fanno o di fare meglio cose che oggi non si fanno bene (come nel lungo elenco di possibilità che hai provato ad esemplificare): la questione fondamentale però è il rapporto che c’è (o che non c’è, come io penso) tra diritti e risorse. Vediamo cosa vuole dire.
Da una parte, i legislatori, diversi nel tempo, che hanno stabilito i diritti che il SSN deve garantire (art. 32 della Costituzione, Legge 833/1978, Dlgs 502/1992, Dlgs 229/1999, Dpcm 29.11.2001, Dpcm 12 gennaio 2017, …) non hanno però saputo indicare quante risorse servono per garantire quei diritti; d’altra parte, i governi che si sono succeduti, anch’essi diversi nel tempo, hanno stabilito le risorse da allocare al SSN ma nessuno di loro è stato in grado di dire se le risorse messe a disposizione permettono effettivamente di garantire i diritti stabiliti dai legislatori. Diritti e risorse sono due oggetti che non si parlano, due linee che non si incontrano, come le rette parallele nella geometria euclidea. Certo, lo so che ci sono anche altre geometrie dove le rette parallele si incontrano (all’infinito, ad esempio) ma queste geometrie non si applicano al caso dei diritti e delle risorse del SSN.
Proviamo (a scopo di ragionamento) a partire dall’ipotesi che sono validi i principi in vigore (universalismo, uguaglianza, equità, …) e che i livelli essenziali di assistenza (LEA) siano i servizi/prestazioni da erogare per garantire i suddetti principi. Quante risorse ci vorrebbero per questa operazione? Giusto per fare le cose semplici visto che si sta ragionando, è evidente che per rispondere occorrono due elementi: un indicatore economico (prezzo, tariffa, costo, …) da attaccare ad ogni servizio/prestazione (chiamiamolo Ti) ed un numero di attività da erogare per ogni servizio/prestazione (chiamiamolo Ni). Con queste informazioni la risposta è matematicamente semplice:
Risorse = Somma di (Ti x Ni) estesa a tutti i servizi/prestazioni.
Al di là del fatto che questa operazione in pratica non è per nulla banale, cosa si è fatto in realtà? Per alcuni servizi è stata identificata una tariffa o prezzo (si pensi ai DRG per le prestazioni ospedaliere, alle tariffe delle prestazioni ambulatoriali, al prezzo dei farmaci, e così via), ma tale valore economico non è stato identificato per tutte le attività comprese nei LEA (si pensi a tutto il tema della prevenzione, alle attività sociosanitarie, all’emergenza-urgenza, …), da una parte; d’altra parte nessuno si è preso la briga (capisco che è attività complessa) di stimare Ni, cioè il numero di attività che il SSN dovrebbe erogare per garantire i LEA. Ne consegue che partendo dai diritti e dai servizi/prestazioni che li dovrebbero interpretare non si è in grado di dire quante risorse occorrono per garantire quei diritti: di più o di meno di quelle immesse oggi nel SSN? Non si sa.
Facciamo allora il discorso al contrario (cioè dalle risorse ai diritti), che è il vero approccio adottato per il nostro SSN. Non avendo a disposizione i Ti per tutti i servizi/prestazioni LEA è evidente che non si può girare la formula per calcolare gli Ni (che sarebbero l’espressione dei diritti) e valutare se i diritti sono garantiti. Con questo approccio dalle risorse ai diritti, però, è possibile valutare se a partire dalle risorse disponibili si possono individuare segnali che dicono che i diritti sono o non sono garantiti. Propongo degli esempi.
- Da quando è stata attivata la metodologia di valutazione dei LEA un numeroso gruppo di regioni (e quasi sempre le stesse) viene bocciato, e tra quelle promosse nessuna raggiunge il punteggio massimo: quindi in nessuna regione è completamente garantita l’erogazione dei LEA;
- Visto che a causa dei lunghi tempi di attesa un cittadino è costretto a ritardare (o rinunciare ad) una cura essenziale o a doverla comperare con proprie risorse aggiuntive vuol dire che l’erogazione dei LEA lascia a desiderare (cioè non sono del tutto erogati);
- Il fenomeno della migrazione sanitaria secondo il quale per mancanza di adeguata offerta di servizi essenziali si è costretti a migrare anche fuori dalla propria regione è un altro segnale che l’erogazione dei LEA non è garantita;
- La carenza in parecchie regioni di molte delle attività LEA che ricadono nel capitolo prevenzione dice che queste attività essenziali difettano nella erogazione;
- La mancanza (o insufficienza) di offerta, soprattutto di servizi sociosanitari essenziali (vedi il capo IV dell’ultimo Dpcm - 12.1.2017 – che ha definito i LEA), che si osserva in particolare nelle regioni del sud, è un altro dei segnali che l’essenzialità non è garantita;
- La enorme variabilità territoriale che si osserva nella erogazione di tutte le attività sanitarie (ricoveri, prestazioni ambulatoriali, consumo di farmaci, …) e soprattutto sociosanitarie (assistenza domiciliare integrata, residenzialità e semi-residenzialità per diverse tipologie di soggetti fragili, …), al di là di quella che è ragionevole aspettarsi per ragioni epidemiologiche, è indice che tali attività essenziali in alcune aree non sono garantite mentre in altre eccedono l’essenzialità;
- Le diverse regole sui ticket in vigore nelle diverse regioni, in base alle quali i cittadini di diversi territori contribuiscono in maniera differente per ricevere la stessa prestazione essenziale inducono a chiedersi che ne è del principio di uguaglianza;
- Ed infine (ma solo per ragioni di brevità) ci sono molti segnali che anche la seconda parte dell’art. 32 della Costituzione (garantire “cure gratuite agli indigenti”) lascia molto a desiderare nella sua realizzazione, soprattutto se pensiamo alle moltissime attività sociosanitarie residenziali e semiresidenziali per le quali è richiesto al cittadino un contributo economico (anche sostanzioso) senza che sia prevista qualche tipo di esenzione per reddito.
Come si vede, la lista degli esempi e dei segnali di mancata erogazione di servizi e prestazioni essenziali (o di prestazioni gratuite agli indigenti) non solo va ben oltre la semplice valutazione fatta per individuare le regioni che non raggiungono la sufficienza nella erogazione dei LEA, ma dice anche che in sanità siamo di fatto, e da decenni, in un regime che viola sistematicamente i diritti che dovrebbero invece essere garantiti. In altre parole le risorse a disposizione del SSN non sembrano sufficienti per garantire i diritti stabiliti dalle leggi sanitarie.
Certo, la soluzione più semplice (a partire dalla immodificabilità dei diritti) sarebbe quella di aumentare le risorse, ma (nell’ovvia ipotesi che ci siano le disponibilità economiche) di quanto? Chi è in grado di dirlo? Alcuni segnali, come ad esempio la spesa privata, suggerirebbero un aumento sostanzioso delle risorse (decine e decine di miliardi), ma il vero punto è la incapacità di definirne il valore reale (a prescindere poi dalla effettiva disponibilità di tali risorse).
In altre parole, la linea dei diritti e quella delle risorse nella attuale geometria del SSN continuano a non incontrarsi ed a viaggiare ciascuna per proprio conto: o ci mettiamo a lavorare per trovare un punto di incontro tra diritti e risorse (probabilmente dovendo agire su entrambi i fattori) oppure saremo qui continuamente a lamentarci o che le risorse sono poche o che i diritti non sono garantiti, un dibattito sfiancante e, a mio parere, totalmente inutile.
3.
4 Miliardi
Peccato siano pochi ... comunque darei priorità dividendo in parti uguali a
1mld in prevenzione, medicina di prossimità ed empowerment del paziente;
1mld in informatizzazione (seria);
1mld per la formazione e aggiornamento degli operatori
1mld in gestione risorse umane includendovi incentivi economici, esodi incentivati per dare spazio ai giovani, supporto psicologico, e adeguate dotazioni organiche.
2.
Le scelte razionali si basano sui dati
Suppongo che ci siano libri di testo e estesi documenti che indicano come allocare le risorse economiche anche in sanità, ma pur non essendo esperta in questo settore apprezzo la domanda e la provocazione che mette in fila una serie di aspetti molto rilevanti per il nostro servizio sanitario. Il problema di fondo però è capire su quali dati fare le scelte per allocare risorse e sulla quantificazione dei benefici desiderabili.
Di ogni criterio da adottare è necessario disporre del peso relativo sulla salute degli italiani e così anche prevedere come misurare l'impatto di eventuali interventi.
Sarebbe interessante costruire una tabella in cui il peso di ogni aspetto elencato viene definito in modo quantitativo e altrettanto viene stimato il potenziale impatto di un intervento e anche gli eventuali co-benefici di ogni singola azione e la possbilità di sinergie con istituzioni non prettamente sanitarie. La tabella servirebbe anche per definire i "buchi" di conoscenza su determinati aspetti e poter rimediare.
I dati su ogni specifico aspetto però devono essere accessibili a tutti e non sepolti nelle stanze delle autorità. La trasparenza sui dati e sui criteri delle scelte (si spera) razionali facilitano il consenso rendendo meno attraenti polemiche ideologiche.
1.
Finalizzare 4 miliardi.
1) dotare finalmente il ssn di un sistema informativo degno di tale nome, funzionale,sistematico,indipendente che sia la base per dimostrare e sostenere le motivazioni delle scelte di allocazione delle risorse, degli esiti attesi ed ottenuti,della qualità dei professionisti 2)stabilire un sistema di relazioni con i cittadini che li faccia divenire partecipi del processo di "cura" ( le dimensioni sempre maggiori degli ambiti territoriali titolari del processo di cura hanno nettamente peggiorato la percezione della qualità dei servizi senza alcuna economia) 3)aumenti retributivi al personale 4) riforma degli studi universitari totalmente non funzionali ai bisogni e ai modelli de ssn.
5.
La penso un po’ diversamente
Caro Cesare,
premesso che i quattro miliardi di cui parli io ce li avrei, anche se non saprei come passarli al SSN (in contanti: ma a chi? con un unico assegno – ma si puo'? – o con tanti assegni da 4.000 € - e questo so che si può; oppure con un bonifico bancario – ma non so se il SSN ha un IBAN), ti dico subito che non li do al servizio sanitario, e questo non perché sono tirchio e ho il braccino corto bensì perché non penso che il problema del SSN di oggi siano 4 miliardi in più (o magari anche 8). Oh, intendiamoci, un po’ di risorse in più fanno certamente bene perché permettono di fare cose che oggi non si fanno o di fare meglio cose che oggi non si fanno bene (come nel lungo elenco di possibilità che hai provato ad esemplificare): la questione fondamentale però è il rapporto che c’è (o che non c’è, come io penso) tra diritti e risorse. Vediamo cosa vuole dire.
Da una parte, i legislatori, diversi nel tempo, che hanno stabilito i diritti che il SSN deve garantire (art. 32 della Costituzione, Legge 833/1978, Dlgs 502/1992, Dlgs 229/1999, Dpcm 29.11.2001, Dpcm 12 gennaio 2017, …) non hanno però saputo indicare quante risorse servono per garantire quei diritti; d’altra parte, i governi che si sono succeduti, anch’essi diversi nel tempo, hanno stabilito le risorse da allocare al SSN ma nessuno di loro è stato in grado di dire se le risorse messe a disposizione permettono effettivamente di garantire i diritti stabiliti dai legislatori. Diritti e risorse sono due oggetti che non si parlano, due linee che non si incontrano, come le rette parallele nella geometria euclidea. Certo, lo so che ci sono anche altre geometrie dove le rette parallele si incontrano (all’infinito, ad esempio) ma queste geometrie non si applicano al caso dei diritti e delle risorse del SSN.
Proviamo (a scopo di ragionamento) a partire dall’ipotesi che sono validi i principi in vigore (universalismo, uguaglianza, equità, …) e che i livelli essenziali di assistenza (LEA) siano i servizi/prestazioni da erogare per garantire i suddetti principi. Quante risorse ci vorrebbero per questa operazione? Giusto per fare le cose semplici visto che si sta ragionando, è evidente che per rispondere occorrono due elementi: un indicatore economico (prezzo, tariffa, costo, …) da attaccare ad ogni servizio/prestazione (chiamiamolo Ti) ed un numero di attività da erogare per ogni servizio/prestazione (chiamiamolo Ni). Con queste informazioni la risposta è matematicamente semplice:
Risorse = Somma di (Ti x Ni) estesa a tutti i servizi/prestazioni.
Al di là del fatto che questa operazione in pratica non è per nulla banale, cosa si è fatto in realtà? Per alcuni servizi è stata identificata una tariffa o prezzo (si pensi ai DRG per le prestazioni ospedaliere, alle tariffe delle prestazioni ambulatoriali, al prezzo dei farmaci, e così via), ma tale valore economico non è stato identificato per tutte le attività comprese nei LEA (si pensi a tutto il tema della prevenzione, alle attività sociosanitarie, all’emergenza-urgenza, …), da una parte; d’altra parte nessuno si è preso la briga (capisco che è attività complessa) di stimare Ni, cioè il numero di attività che il SSN dovrebbe erogare per garantire i LEA. Ne consegue che partendo dai diritti e dai servizi/prestazioni che li dovrebbero interpretare non si è in grado di dire quante risorse occorrono per garantire quei diritti: di più o di meno di quelle immesse oggi nel SSN? Non si sa.
Facciamo allora il discorso al contrario (cioè dalle risorse ai diritti), che è il vero approccio adottato per il nostro SSN. Non avendo a disposizione i Ti per tutti i servizi/prestazioni LEA è evidente che non si può girare la formula per calcolare gli Ni (che sarebbero l’espressione dei diritti) e valutare se i diritti sono garantiti. Con questo approccio dalle risorse ai diritti, però, è possibile valutare se a partire dalle risorse disponibili si possono individuare segnali che dicono che i diritti sono o non sono garantiti. Propongo degli esempi.
Come si vede, la lista degli esempi e dei segnali di mancata erogazione di servizi e prestazioni essenziali (o di prestazioni gratuite agli indigenti) non solo va ben oltre la semplice valutazione fatta per individuare le regioni che non raggiungono la sufficienza nella erogazione dei LEA, ma dice anche che in sanità siamo di fatto, e da decenni, in un regime che viola sistematicamente i diritti che dovrebbero invece essere garantiti. In altre parole le risorse a disposizione del SSN non sembrano sufficienti per garantire i diritti stabiliti dalle leggi sanitarie.
Certo, la soluzione più semplice (a partire dalla immodificabilità dei diritti) sarebbe quella di aumentare le risorse, ma (nell’ovvia ipotesi che ci siano le disponibilità economiche) di quanto? Chi è in grado di dirlo? Alcuni segnali, come ad esempio la spesa privata, suggerirebbero un aumento sostanzioso delle risorse (decine e decine di miliardi), ma il vero punto è la incapacità di definirne il valore reale (a prescindere poi dalla effettiva disponibilità di tali risorse).
In altre parole, la linea dei diritti e quella delle risorse nella attuale geometria del SSN continuano a non incontrarsi ed a viaggiare ciascuna per proprio conto: o ci mettiamo a lavorare per trovare un punto di incontro tra diritti e risorse (probabilmente dovendo agire su entrambi i fattori) oppure saremo qui continuamente a lamentarci o che le risorse sono poche o che i diritti non sono garantiti, un dibattito sfiancante e, a mio parere, totalmente inutile.
Caro Carlo,
grazie per il tuo commento. Io la penso un po’ diversamente dal tuo ragionamento per me troppo « ingegneristico ». Tu parti dai diritti/bisogni e pensi che stimando i costi per soddisfarli si può arrivare a determinare il fabbisogno sanitario.
Uno però degli assiomi accettato dagli economisti sanitari è che la domanda in sanità può considerarsi infinita, senza limiti, almeno nei dintorni dell’attuale domanda soddisfatta. Il problema quindi, secondo me, deve essere rovesciato. È sí necessario determinare i diritti e rilevare i bisogni ma poi, con una scelta che non può non essere che del tutto politica, si deve determinare quante risorse si vogliono raccogliere e di queste quante poi assegnarle alla sanità! Determinato il fondo sanitario disponibile allora il problema diventa la scelta delle priorità e la misura di risposta ai vari bisogni, compito che è dalla programmazione sanitaria che è un mix di politica e di buona tecnica. Ciascuno, vuoi ciascuna Regione, vuoi ciascun settore sanitario, vuoi ciascuna fascia di popolazione, vorrebbe ovviamente che i propri bisogni fossero interamente soddisfatti, ma questo non può avvenire a scapito dei bisogni altrui. Se le risorse pubbliche sono di tutti, indipendentemente da chi le ha conferite, allora non è corretto voler dare a qualcuno di più che agli altri. In questo senso credo che i LEA determinino di più ciò che NON deve essere erogato che ciò di cui si ha diritto che venga erogato. Insomma rendiamoci conto che viviamo in una realtà con risorse limitate e se diamo a qualcuno di più é inevitabilmente dare ad un altro di meno. E credo che in sanità l’equità sia un criterio assoluto imprescindibile anche se purtroppo spesso violato.