Si legge e si sente dire spesso che ormai qui in Italia la Pandemia non è più come una volta in cui molti morivano, ormai non si muore quasi più. Questa, purtroppo, è una fake news!

Guardando il trend del numero dei morti giornalieri dal 1 settembre 2021 in poi si vede ahimè una mortalità in chiara ascesa che ha superato a metà gennaio i 300 decessi al giorno e la crescita non sembra dare ancora tregua.

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Ma i decessi aumentano non perché l'infezione adesso produca esiti più gravi di prima, ma principalmente perché i casi di infezione sono molto più numerosi di prima. Qualche sprovveduto commentatore offre come misura della gravità dell'infezione il rapporto tra i decessi e le diagnosi notificate nello stesso giorno e così facendo offre una immagine del tutto distorta che dà l'illusione che la letalità sia in forte diminuzione:

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Questo modo di stimare la letalità è del tutto erroneo perché il calcolo corretto dovrebbe essere fatto sui dati individuali dei soggetti contagiatisi calcolando quanti di loro sono deceduti entro un certo lasso di tempo, ad esempio un mese, e questo sarebbe il calcolo corretto della letalità a trenta giorni. Sarebbe comunque la letalità dei soli casi diagnosticati - case fatality rate CFR - e non la letalità di tutti i soggetti che hanno contratto l’infezione - infection fatality rate IFR . Purtroppo se una parte degli infetti non viene diagnosticata l'IFR non può essere calcolato.

Se si vuole comunque eseguire una stima della letalità che possa avvicinarsi al calcolo corretto prima indicato, bisogna allora fare un rapporto tra i decessi e i casi diagnosticati in un periodo precedente pari alla distanza media in giorni tra diagnosi e decesso in modo tale da riferire i decessi alla stessa popolazione dei contagi. Questa distanza, pur essendo mutevole nel tempo, sembra potersi oggi assumere di tre settimane. Un altro accorgimento necessario consiste nel trasformare le serie dei dati nelle loro medie mobili settimanali, eliminando così la variabilità intra settimanale dovuta sia a variazioni accidentali sia a diversa tempestività delle notifiche di decesso soprattutto durante i fine settimana. Così facendo risulta il grafico seguente che può essere considerato una stima accettabile dell'andamento della letalità per Covid-19 da settembre scorso a oggi. Si riporta anche il calcolo rispetto ai positivi di due e di quattro settimane prima che determinerebbero valori differenti nelle stime della letalità.

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Rapportando i casi positivi ai decessi a lag 14 la letalità apparirebbe in maggior decrescita, mentre con i decessi a lag 28 la letalità addirittura crescerebbe.

Su questo calcolo della letalità incide molto il livello di completezza delle diagnosi rispetto al totale dei contagiati. Ammettendo ad esempio, solo come ipotesi, che la letalità "vera" sia costante, se vengono diagnosticati solo i casi con sintomi più severi la letalità sarà maggiore rispetto a quando vengono diagnosticati anche molti dei soggetti asintomatici individuati da un test solo perché bisognosi di un certificato di negatività. I fattori che invece possono determinare delle variazioni della letalità "vera" sono innanzitutto la mutata virulenza del virus e la diversa efficacia delle misure assistenziali.

È probabile che l'aumento e la diminuzione della letalità osservati a novembre scorso siano però dovuti più ad artifici di calcolo prodotti dall’eterogeneità dei motivi che hanno portato a richiedere i test diagnostici piuttosto che a fattori "reali ". In ogni caso la letalità così calcolata non appare oggi del tutto diversa da quella osservata a settembre 2021.

Ragionando solo sui decessi della prima decade di gennaio è chiaro che questi non possono ancora essere messi in relazione alle diagnosi registrate da Natale in poi e quindi non non sappiamo ancora se l'aumento considerevole di contagi comporterà una letalità più o meno simile a quella delle settimane precedenti - e cioè di poco inferiore all'1% - oppure se, come speriamo, diminuirà grazie all'aumento dei tamponi effettuati solo per controllo preventivo (non per sospetto diagnostico) e alla crescita della copertura vaccinale.

È probabile infatti che la variante Omicron induca una letalità di molto inferiore rispetto alle varianti precedenti, ma è quasi impossibile determinarlo con i dati a disposizione oggi e servirà quindi un approfondimento con studi analitici su dati individuali che possano distinguere e confrontare la letalità degli infetti da Omicron da quella degli infetti da altre varianti.

Altri due elementi che potrebbero incidere sulla stima della letalità globale sono la mutevole composizione per età dei contagiati e la quota di soggetti portatori di patologie che aumentano la fragilità in caso di infezione. Quest'ultimo fattore può anche essere causa del cosiddetto effetto harvesting (mietitura) che consiste nella riduzione della mortalità - per forte diminuzione dei soggetti suscettibili - che segue temporalmente all'anticipazione del decesso dei soggetti fragili durante i momenti di maggior sviluppo dell'epidemia.

Per analizzare la letalità per età possono essere utilizzati i dati che Epicentro mette a disposizione ogni giorno. Nella tabella pubblicata ci sono i dati cumulativi dei decessi e dei contagi per età. Per ottenere le frequenze settimanali è sufficiente sottrarre al dato cumulativo di un giorno quello di sette giorni prima. Questa tabella riporta le frequenze dei decessi e dei contagi settimanali per classi decennali di età come ricavati dai files dell'ISS:

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Si osservi che i totali settimanali sia dei decessi sia dei contagi non corrispondono esattamente ai totali che si possono ricavare dai dati comunicati dalla Protezione Civile, ma le differenze non sono grandi e non dovrebbero falsare le analisi. Nei grafici che confrontano le due fonti i valori delle frequenze settimanali sono riportati sull'ordinata in scala logaritmica per poter rappresentare congiuntamente sia le basse frequenze delle classi giovanili sia le più alte delle classi adulte.

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L'analisi della letalità per classi di età è stata eseguita sui decessi delle ultime sei settimane dal 29 novembre al 9 gennaio riferiti ai casi diagnosticati dall' 8 novembre al 19 dicembre.

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Anche in questo grafico per poter meglio rappresentare la letalità in tutte le classi dai trent'anni in poi è stat usata la scala logaritmica sull'ordinata. La letalità sotto i trent'anni è minima e praticamente non analizzabile in modo significativo.

Si noti come nelle sei settimane considerate la letalità all'interno di ciascuna classe di età non ha avuto grandi variazioni e la crescita della letalità tra le classi risulti lineare in scala logaritmica indicando quindi una crescita esponenziale. Rappresentiamo di seguito l'andamento settimanale solo per il totale delle classi d’età; si nota una leggera diminuzione della letalità dovuta principalmente ai decessi di gennaio riferiti ai contagi di metà dicembre, quando potrebbe aver incominciato a produrre i suoi effetti la copertura delle dosi booster.

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Possiamo comunque ritenere che l'andamento sia in netta decrescita dai casi diagnosticati a inizio febbraio 2020 sino a quelli di metà dicembre 2021 ma questa decrescita non è ancora così importante da considerare la letalità un elemento quasi trascurabile.

Conclusione

Si è osservata sino alla prima decade di gennaio una letalità in leggera decrescita che non permette ancora di affermare la probabile ridotta virulenza degli attuali contagi sempre più prodotti, così sembra, dalla variante Omicron. Se la letalità così calcolata non accennerà però a diminuire ulteriormente in misura significativa, come confidiamo che accada, ci si dovrebbe aspettare un incremento notevole dei decessi. Infatti anche ipotizzando una letalità scesa allo 0,5% dei contagi, con un’incidenza che si attesta sui duecentomila contagi al giorno, la mortalità giornaliera sarebbe di 1.000 casi!

È difficile quindi ritenere, come diversi commentatori oggi fanno, che la pandemia ormai sia solo una influenza o un raffreddore! 1.000 decessi al giorno significherebbero tutti i giorni una metà in più della mortalità generale che è di poco inferiore ai duemila decessi al giorno, ma anche gli attuali 300-400 decessi giornalieri sono certamente qualcosa di difficilmente trascurabile. Speriamo quindi che i duecentomila casi di questi giorni siano costituiti per lo più da soggetti con una bassa probabilità di avere un esito grave soprattutto grazie alla diffusione dei vaccini e delle dosi di richiamo. L'andamento dei decessi nei prossimi quindici giorni ci farà capire molte cose in più dell'epidemia e soprattutto del ruolo giocato dalla variante Omicron.


Quesito:

Dove si muore di Covid? in ospedale o a casa?

Sembra che i conti non tornino! nel nostro immaginario pensiamo che quasi tutti i decessi per Covid avvengano nei reparti di terapia intensiva o per lo meno che i deceduti siano comunque transitati  nei reparti ospedalieri di terapia intensiva. Questi sono i grafici dal 1° dicembre dell'occupazione dei posti letto e delle ammissioni e dimissioni giornaliere dalle terapie intensive:

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Le dimissioni dalle terapie intensive dovrebbero poter avvenire per tre ragioni: per miglioramento del paziente e trasferimento in un reparto ad esempio di pneumologia, per decesso o, più difficilmente, per trasferimento del paziente in stato terminale in altro luogo, trasferimento eseguito per liberare un posto a chi ne ha bisogno. Non sappiamo quanti siano i "guariti" transitati in terapia intensiva, ma speriamo siano almeno il 50% altrimenti sarebbe veramente esasperante! Quindi secondo questa ipotesi i deceduti dovrebbero essere circa la meta dei dimessi.

Ma confrontando i dimessi dalle terapie intensive e i totali dei deceduti per Covid, questi non sono circa pari alla metà delle dimissioni ma ne sono addirittura il 50% in più!

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È allora legittimo chiedersi dove si muore di Covid e perché più della metà dei deceduti non siano stati assistiti in una terapia intensiva. Questa domanda ha due ragioni: la prima è chiedersi come si stiano assistendo i malati gravi di Covid, e la seconda su che base di documentazione clinica si basino le certificazioni di morte accadute al di fuori degli ospedali.

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