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SSN; - 29/01/2024 10:32
Autonomia differenziata o differenze autonomiste?
Si sta discutendo molto sulla legge che introduce nel nostro ordinamento l'autonomia differenziata.
Dobbiamo subito fare una premessa, e cioè che ci sono paesi, come ad esempio gli USA, in cui vi sono differenze molto rilevanti tra gli Stati che lo compongono, si pensi solo alla presenza assenza della pena di morte. Ma questi paesi hanno un assetto federale e dobbiamo chiederci se quello che vogliamo sia in realtà un tentativo di trasformare l’Italia in uno stato federale ritornando, più o meno, alla situazione preunitaria.
Parlare di autonomia è molto vago se non si entra comunque nel merito delle regole che le si vogliono assegnare, ed in particolare ciò che riguarda i diritti dei cittadini e la disponibilità delle risorse.
Limitandoci a ragionare di sanità, dobbiamo riflettere su ciò che potrebbe succedere a riguardo della ripartizione del fondo sanitario e della definizione dei livelli essenziali di assistenza.
Oggi le risorse per il servizio sanitario nazionale sono determinate a livello centrale e ricavate dalle entrate fiscali di tutto il paese. Il fondo viene poi ripartito secondo criteri che, almeno in linea teorica, dovrebbero corrispondere ad uguali bisogni della popolazione.
Chi ha vissuto le vicende relative alle formule di riparto ben sa che queste sono sempre state in fondo solo un accordo politico in cui le Regioni più influenti sono sempre riuscite ad ottenere dei vantaggi. Ma questi vantaggi comunque non hanno stravolto l’equità della distribuzione se non marginalmente.
Le differenze tra i pro capite delle risorse ripartite, qui sopra relative al 2023, dipendono soprattutto, ma non solo, dalla struttura per età della popolazione, molto anziana ad esempio in Liguria e giovane in Campania, ma la Liguria ha solo un'assegnazione del 7% superiore alla Campania.
Se invece, domani, saranno le Regioni stesse a trattenere le risorse raccolte con le tasse, e ad usarle per finanziare la loro stessa sanità, ci saranno sistemi sanitari regionali ricchi e sistemi poveri a seconda della ricchezza della popolazione. Usando una stima disponibile, seppur approssimativa, dei PIL regionali pro capite, si può provare a calcolare quanto sia la proporzione del finanziamento pro capite assegnato oggi alla sanità delle Regioni:
Se la sanità dovesse essere finanziata dalle sole risorse prodotte in Regione (cioè dal PIL regionale) si andrebbe, con i valori dell'attuale ripartizione, da meno del 5% del PIL del Trentino Alto Adige a più del 12% del PIL della Calabria.
Si parla allora di un possibile meccanismo di perequazione, ma come sarà possibile trovare risorse per i “poveri” se i “ricchi” se le sono già trattenute per la maggior parte in casa? Se saranno invece i “ricchi” che dovranno perequare i “poveri” ai livelli di oggi allora, da questo punto di vista, si sarebbe fatto solo un polverone perché niente cambierebbe se si ritornasse ad una ripartizione di risorse simile a quella attuale. E' invece molto più probabile che i “ricchi” avranno molte risorse per la loro sanità ed i “poveri” dovranno accontentarsi del minimo disponibile.
Ed allora si dovrebbe arrivare a determinare qual è il livello essenziale di prestazioni che deve essere garantito da una Regione, cioè si devono determinare Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) o come oggi si preferisce chiamare, allargandoli anche a settori non sanitari, i livelli essenziali di prestazioni (LEP).
E si badi bene ad usare il termine "essenziali" e non "minimi" perché i livelli minimi di assistenza non sono certo quelli di un sistema sanitario oggi accettabile.
Ma di LEA si parla già da oltre vent’anni e in sanità sono stati più volte definiti e ridefiniti. Ma hanno funzionato? In parte si, più per dire ciò di cui non si aveva diritto che per garantire realmente parità di assistenza. I LEA per lo più hanno però definito solo i “nomi” delle prestazioni erogabili, ma nonostante alcuni tentativi in tal senso, non hanno potuto definire la parità delle modalità di erogazione.
Tutti sappiamo quante differenze tra Regioni nei tempi di attesa per ottenere una prestazione, ma anche le differenze di qualità delle prestazioni stesse. Non è sicuramente solo la regionalizzazione della sanità che abbia creato queste differenze, frutto di molti fattori economici, sociali e culturali per lo più storicizzati da decenni.
Peraltro, un conto è l'aver previsto una regionalizzazione della gestione della sanità con un livello centrale molto presente e con un ruolo preminente, un altro è invece una totale autonomia delle Regione nel governo della sanità con un probabile ruolo molto debole da parte della Stato. Un sistema complesso come la sanità necessita di livelli decentrati di gestione, ma anche di un livello centrale di governo unificante.
Nella valutazione dell'adempienza delle Regioni rispetto al mantenimento dell'erogazione dei LEA già da ora, nonostante tutto, si osserva una associazione con il PIL regionale; le Regioni più ricche hanno già oggi una adempienza maggiore rispetto alle Regioni più povere.
Ma chi può pensare seriamente che un aumento del grado di autonomia possa invece riuscire ad invertire la situazione? Di sicuro l’aumenterà innescando via via sempre maggiore conflittualità tra i territori, conflittualità che minerà l’unitarietà sociale del paese. E si dovrà aspettare che i “più poveri” diventino di più dei “più ricchi” per vedere una inversione del credo autonomista?
Purtroppo, questa autonomia che tende all’egoismo dei territori più benestanti, rischia di impedire lo sviluppo di livelli autonomi di applicazione delle regole comuni a tutti. Ci sono sicuramente differenze ambientali, culturali, sociali etc. che non rendono buone per tutti le stesse soluzioni nazionali. Ma questa autonomia è tutt’altra cosa dell’autonomia differenziata di cui si sta parlando e che è frutto postumo e maldestro degli analisti di separatismo che abbiamo vissuto a fine ‘900 e che sono presenti ahimè in molti paesi dove i “ricchi” non vogliono più contribuire proporzionalmente al governo comune come i “poveri”, ed allora si parla di flat tax e di tante altre invenzioni per garantire più diritti e più risorse a chi già ne ha di più.
Sarà allora determinante valutare molto bene le modalità con cui si deciderà di declinare questa autonomia differenziata che può anche rimanere solo uno slogan preelettorale, ma può diventare anche un grosso rischio di disgregazione del paese. Speriamo invece che si riesca solo più saggiamente ad aumentare la responsabilità gestionale delle Regioni mantenendo un livello di governo centrale efficace.
Sarà una autonomia differenziata che produrrà semplicemente delle differenze autonomiste? ahimè speriamo di no! Ma non si pensi neppure che la soluzione sia di ritornare ad un sistema sanitario che elimini la regionalizzazione. Piuttosto si considerino dei nuovi meccanismi per ampliare la responsabilizzazione delle Regioni e parimenti garantire la capacità del Governo centrale di garantire una reale equità di accesso e di qualità dell'assistenza in tutto il paese.
Commenti: 13
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Autonomia differenziata
Oltre ai graditi commenti al mio post qui inseriti, ci sono sul web molti altri interventi interessanti e tra questi vi segnalo quelli pubblicati da “Forward”, progetto de Il Pensiero Scientifico: [https://forward.recentiprogressi.it/it/il-progetto/about/] Può sorprendere che le valutazioni sull’autonomia differenziata siano alquanto differenti e vanno dal pericolo che favorisca una sorta di secessione a che invece permetta di trovare della soluzioni per migliorare la sanità. Ho la sensazione però che non tutti abbiano in mente lo stesso scenario, e questo perché per il momento si possono ipotizzare diverse modalità con cui l'autonomia verrà implementata. Quindi credo sia importante evidenziarne i pericoli e invece, se ci sono, coglierne le opportunità cercando di farle fruttare. E ... speriamo in bene!
Buongiorno Cesare. Leggo da tempo commenti sull'autonomia differenziata ed ovviamente si dice tutto ed il suo contrario. Parto da una riflessione personale basata sulla mia vita professionale che da 5 anni si svolge in sanità nella Provincia autonoma di Bolzano, per eccellenza la più autonoma realtà italiana perché governata da leggi speciali, tanto da essere evocata come possibile modello per risolvere la questione ucraina. Conosco questa realtà da oltre 25 anni e posso certamente affermare che nelle materie come i trasporti e la mobilità piuttosto che l'energia, l'ambiente, questa ricchissima provincia italiana ha fatto molto ma se tocchiamo i temi della ricerca o della sanità allora le cose si complicano, e non poco. Per anni la Provincia è risultata ultima nella griglia LEA non solo perché non trasmetteva i flussi informativi, ma perché non li produceva efficacemente e regolarmente. Il costo delle prestazioni è altissimo ed il bilancio sfiora il miliardo e 600 milioni con anche un aumento del debito negli ultimi anni. Per alcuni indicatori la provincia va bene ma per altri è davvero in difficoltà. E poi tanto autonoma non è visto che ultimamente la Consulta ha bocciato i concorsi di 52 primari perché non condotti secondo le leggi nazionali e il TAR ha cancellato la delibera di conferma del Direttore generale per cui è stato nominato un commissario. Il PNRR poi ha introdotto regole ferree per le missioni ed in particolare per la missione 6 di cui sono la referente unica di parte (responsabile per la Presidenza), regole che uniformano a livello nazionale le procedure di esecuzione dei lavori e l'adozione dei regolamenti e leggi locali. Esattamente all'opposto della PA di Bolzano vi è quella di Trento che ha un grado di autonomia appena inferiore: prima spesso su tutti i fronti sanitario, sociale etc. Cosa vuole dire questo? Che non sappiamo a dire il vero cosa succederà nelle regioni ordinarie per tutte le materie esclusa la sanità dove il LEP non sono affatto definiti (che migliorino i trasporti? Magari). Per la sanità ci sono i LES e da qui non si scappa ed esiste il nuovo sistema di monitoraggio con oltre 80 indicatori: voglio proprio vedere cosa succederà e se sarà possibile revocare l'autonomia se gli indicatori non fanno emergere miglioramenti. Ecco perché in PA di Bolzano si corre... Rimane la questione risorse del fondo sanitario nazionale e come vengono distribuite!!!! A presto
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Altri interventi interessanti
Oltre ai graditi commenti al mio post qui inseriti, ci sono sul web molti altri interventi interessanti e tra questi vi segnalo quelli pubblicati da “Forward”, progetto de Il Pensiero Scientifico: [https://forward.recentiprogressi.it/it/il-progetto/about/] Può sorprendere che le valutazioni sull’autonomia differenziata siano alquanto differenti e vanno dal pericolo che favorisca una sorta di secessione a che invece permetta di trovare della soluzioni per migliorare la sanità. Ho la sensazione però che non tutti abbiano in mente lo stesso scenario, e questo perché per il momento si possono ipotizzare diverse modalità con cui l'autonomia verrà implementata. Quindi credo sia importante evidenziarne i pericoli e invece, se ci sono, coglierne le opportunità cercando di farle fruttare. E ... speriamo in bene!
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Autonomia o bisogni di salute differenziati?
Il modello di autonomia differenziata è frutto ancora una volta della visione economicistica che pervade, direi pesantemente , la sanità nel Paese da alcuni decenni, nel momento in cui il finanziamento dei servizi sanitari regionali viene parametrato sulla base di standard che nulla hanno a che vedere con i reali bisogni di salute, questi sì da differenziare all’interno della popolazione. L’emergenza pandemica ad esempio ha messo in evidenza tutti i limiti di un approccio che per lungo tempo ha privilegiato il pareggio di bilancio nel momento in cui sono venute alla luce le carenze, in particolare di risorse umane, sul territorio, a cui si è dovuto frettolosamente porre rimedio. Si fa un gran clamore, a parole, in documenti di programmazione di livello centrale sulla necessità di programmi di intervento improntati all’equità mentre di contro, sul piano legislativo, si perseguono logiche che non tengono conto delle differenze in termini di esiti di salute tra regioni e sulle modalità per ridurle. Eppure disponiamo ormai di svariati indicatori sintetici che potrebbero esprimere in maniera efficace lo stato di salute della popolazione e che potrebbero essere introdotti per mitigare l’effetto di politiche di distribuzione del fondo sanitario ispirate a parametri economici. L’epidemiologia valutativa (e i professionisti del settore) potrebbero fornire un valido contributo al riguardo. Purtroppo sappiamo bene quanto tempo sia stato necessario per iniziare ad introdurre il concetto di deprivazione socioeconomica tra i criteri di riparto e non si può essere ottimisti sulla eventuale ricorso ad ulteriori misure riassuntive dei bisogni di salute a livello regionale, dato lo scarso livello di sensibilità sul tema registrato persino all’interno dello stesso tavolo tecnico di confronto interregionale. Programmare per obiettivi di salute oggi si può, pur tenendo conto dei vincoli di natura economica imposti dalle regole della sostenibilità, ma la voce della sanità pubblica, e di chi per professione se ne occupa, è percepita molto lontanamente dalla politica che privilegia l’economia, in un settore, quello sanitario, che dovrebbe viceversa tenere conto di particolari prerogative.
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Un divario incolmabile
Per immaginare come sarà il diritto costituzionale alla salute all'epoca dell'autonomia differenza (AD), è utile capire come ci si arriva. In particolare, in relazione a ciò che rimane dei principi cardine a cui si è ispirato il movimento riformatore che ha portato all'approvazione della 833 ed, in secondo luogo, alle disparità ”strutturali” tra sistemi sanitari delle regioni del nord vs quelle del sud.
Quanto alla prima questione, ha ragione Tommaso Fiore che c'è stata una progressiva derubricazione ("svalorizzazione") del concetto di diritto alla salute. Da principio assoluto su cui orientare tutte le scelte, con riferimento a categorie filosofiche di stampo razionalistico ("La salute in tutte le politiche"), si è man mano transitato verso una condizione di esigibilità "relativa" di tale diritto (attraverso i LEA), assoggettata a criteri pragmatici di compatibilità, soprattutto di carattere finanziario.
La modifica dell'assetto istituzionale, dalla Usl alla Asl, ha comportato la progressiva emarginazione del ruolo di governo delle comunità locali (i Comuni) e delle organizzazioni del lavoro, con alcune conseguenze rilevanti: 1. non c'era più un luogo di democrazia rappresentativa della civitas dove governare le politiche per la salute; 2. la funzione di controllo sulla garanzia dei diritti è stata genericamente assegnata a forme di partecipazione diretta dei cittadini (art. 14 della 502), sostanzialmente fallimentare; 3. la visione preventiva per la tutela della salute è progressivamente scemata, se non quasi scomparsa. A proposito, un indicatore simbolico: provate a fare una ricerca della parola 'rischio' a partire dal testo della 833 e progressivamente nelle principali norme successive. All'inizio era associata al concetto di prevenzione del rischio professionale/ ambientale, oggi esclusivamente a quello di gestione del rischio clinico.
Durante gli anni del finanziamento pro capite alle regioni, con ripiano centrale dei deficit a consuntivo, in fondo c'è già stata una prima sperimentazione di "autonomia", tenuto conto del fatto che le regioni del centro nord hanno avuto una capacità di spesa più rilevante rispetto a quelle del sud, con il risultato di aver strutturato i propri sistemi sanitari regionali in maniera ben più robusta (sia per dotazioni strutturali/ tecnologiche sia di personale). E questo grazie, soprattutto, alla presenza in quelle regioni sia di una più radicata cultura dell'organizzazione sanitaria, sia di una classe politica di governo ben più preparata e robusta (tanto da aver costruito forti e condizionanti gruppi di potere all'interno dei partiti della prima repubblica, ma questa è un'altra storia).
Alla vigilia del Trattato di Maastricht (con gli impegni a garantire il Patto di stabilità), del d.lgs. n. 56 del 2000 (con il superamento del finanziamento secondo il vecchio meccanismo della spesa storica), e della modifica del Titolo V della Costituzione, che ha riformulato l’art. 119 Cost. e che ha assegnato alle regioni la responsabilità di governo della spesa, ciò che rileva è che a questa nuova stagione del SSN, iniziata con il nuovo millennio, si è arrivati senza alcuna visione equitaria, universalistica e solidaristica del diritto alla salute per tutti e già con un profondo squilibrio tra regioni del nord e del sud, per condizioni strutturali, prima ancora che per disponibilità di risorse finanziarie disponibili.
Con ciò che si sta disegnando con il processo di autonomia differenziata, viste le premesse che ho sinteticamente tracciato e considerate le prospettive indicate dagli altri interventi, non vedo alcuna speranza per le regioni del sud e per le loro popolazioni di poter aspirare al diritto costituzionale di tutela della salute, anche se potessero disporre della migliore classe politica e dei più competenti tecnici per la gestione dei servizi.
8.
Autonomia differenziata? Si può
Preliminarmente si tratta di decidere se vogliamo parlare di autonomia differenziata in astratto, prefigurandone potenziali pregi e difetti, ovvero se ne vogliamo discutere con riferimento al testo appena approvato al senato e che deve ancora completare il suo percorso parlamentare.
Mi spiego con un esempio concreto: il finanziamento. Nel primo caso (astratto) si possono indicare (come nei contributi che mi hanno preceduto) i rischi che il finanziamento nel contesto dell’autonomia differenziata possa portare all’aumento delle differenze tra nord e sud, tra regioni ricche e regioni povere, o i benefici anziché i rischi; nel secondo caso (concreto) non si parla del finanziamento e quindi il rischio o beneficio (astratto) configurato è solo una ipotesi da tenere in considerazione. E per proseguire nell’esempio: è possibile una autonomia differenziata che, in termini di finanziamento, eviti (o riduca) le differenze attuali tra regioni? Sempre solo a titolo di esempio ricordo che circa un quarto di secolo fa Formigoni (allora al suo primo mandato da presidente ed all’alba della riforma della sanità lombarda) propose una versione di autonomia differenziata che non prevedeva spostamento di risorse aggiuntive tra regioni, autonomia che per ragioni di primariato politico venne bocciata proprio dalla Lega di Bossi che riteneva di essere stata scippata di un proprio cavallo di battaglia.
Ciò premesso, e con l’obiettivo (astratto) di allargare il dibattito ma anche consapevole che per ogni argomento si possono trovare soluzioni (concreto) che massimizzino i pregi e minimizzino i difetti (o che trovino un accettabile compromesso tra pregi e difetti) provo sinteticamente a mettere sul tavolo qualche (astratto) opportunità che il tema della autonomia differenziata può offrire.
Un primo gruppo di argomenti riguarda il tema della efficienza e della qualità delle prestazioni erogate. Ci si chiede: per le materie per le quali viene attivato il principio della autonomia le regioni possono essere più efficienti dello stato nella erogazione dei servizi? E possono erogare servizi con maggiore qualità? A questo livello di argomenti tutto si gioca quindi sulla capacità di buon governo delle regioni rispetto allo stato, cioè sul fatto che una regione (ad esempio senza intervenire su una diversa distribuzione delle risorse) risulti capace di amministrare una determinata competenza in maniera migliore rispetto a come lo fa lo stato centrale. E’ una scommessa che la regione fa con lo stato sulla sua capacità di dar vita ad una scuola, una sanità, un altro servizio, che sia migliore (rispetto al modo con cui lo fa lo stato centrale). E’ una scommessa dove l’autonomia spinge le regioni ad essere virtuose, ad essere migliori, perché si tratta di una sfida dove chi rischia è la regione stessa: a vincere o a perdere in questo caso è la regione (e di conseguenza i suoi cittadini).
Un secondo gruppo di argomenti ha a che fare con il tema della sussidiarietà, intesa come tentativo di far corrispondere il livello della risposta sociale, politica e amministrativa con il livello dell’interesse e/o del bisogno del cittadino. E’ l’idea di prossimità e di vicinanza al bisogno, più facilmente esercitabile da chi (pubblico o privato, non profit o profit, individuo o associazione, …) al bisogno è più vicino. Ed è un principio di intervento che non riguarda solo il rapporto tra il livello regionale ed il livello centrale ma, soprattutto per le regioni più grandi (Lombardia, Emilia Romagna, …), si applica anche a livelli di aggregazione inferiori (ASL, Distretti, …), al fine di evitare di riproporre a livello di regione il centralismo che si intende superare a livello di stato centrale.
Se al cuore del SSN si pone la centralità della persona, il criterio sussidiario è particolarmente adatto nella organizzazione, erogazione e gestione dei servizi sanitari e sociosanitari (oltre che sociali). Ad esempio, può trovare facile applicazione nella costruzione di reti di prossimità aiutando ad individuare esperienze (e competenze) distribuite sul territorio che possono essere valorizzate e proficuamente usate per la cura a domicilio del paziente fragile. Sempre ad esclusivo titolo di esempio, la Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) può essere erogata in forme e modalità che si caratterizzano localmente, sfruttando le diverse opportunità esistenti nei singoli territori. La scelta sussidiaria è capace di coinvolgere nei servizi sanitari e sociosanitari il volontariato, che ha dimostrato di saper intervenire in situazioni diverse anche complesse. E così via con gli esempi. Non sono le occasioni che indirizzano verso la applicazione di un approccio sussidiario che mancano: mancano invece gli strumenti legislativi (normativi) che permettano di individuare e di favorire l’implementazione di soluzioni sussidiarie. La realizzazione del PNRR (case ed ospedali di comunità, …) e le proposte possibili sul tema della autonomia differenziata, ad esempio, se stiamo sul livello nazionale, offrono l’opportunità di introdurre strumenti favorevoli alla adozione di interventi sussidiari; ma anche a livello regionale si possono individuare forti soluzioni normative.
Un terzo gruppo di argomenti ha a che fare con i Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP). Su questo punto l’esperienza della sanità ha molto da insegnare, ma a mio modo di vedere l’insegnamento più importante che ne deriva è che i LEP (o meglio i LEA nel linguaggio sanitario) non hanno nulla a che fare con l’autonomia differenziata. Concepire i LEP come parte del progetto di autonomia differenziata sarebbe come dire che in sanità questa autonomia è già stata realizzata perché di fatto i LEA ci sono già da tanti anni. Come per i LEA, i LEP (ed anche i costi standard) saranno senza dubbio uno strumento interessante che se non prenderà esempio dalle magagne e dai problemi già sperimentati in sanità non farà altro che riprodurli in tutte le altre materie.
Da ultimo, ma solo per necessità di sintesi, sempre prendendo spunto dall’esperienza sanitaria sarà fondamentale pensare ad un sistema di monitoraggio e valutazione, sistema che preveda non solo di misurare ma anche di identificare azioni da intraprendere all’esito della valutazione.
Comunque si valutino la attuale situazione di eterogeneità territoriale del SSN e le sue cause potenziali, è evidente che la sanità ha molto da insegnare a proposito di autonomia differenziata, nel bene o nel male: sarebbe un grave errore non tenerne conto. In questa direzione non mi sembra che la attuale versione del “Decreto Caldiroli” faccia un passo avanti.
Certo il tema dell’autonomia differenziata si inserisce in un contesto più generale, e rimaniamo esemplificativamente solo al tema sanità, costituito da tanti problemi (inutile ripetere l’ennesimo elenco) che dimostrano l’eterogeneità territoriale che caratterizza il nostro paese: in questo contesto è possibile pensare ad una autonomia che garantisca i principi fatti propri dal SSN (universalità, uguaglianza, equità), e oggettivamente spesso in pratica oggi disattesi anche se non siamo in regime di autonomia differenziata, in maniera migliore rispetto alla situazione attuale? Non si tratta di essere ottimisti ovvero pessimisti ma io credo che questa possibilità esista.
Che poi questa possibilità sia veicolata dal cosiddetto “Decreto Calderoli” quando (e se) uscirà dall’iter parlamentare sarà tutto da vedere: allo stato attuale, e se lasciamo perdere la polemica politica tra contrapposti schieramenti, a me sembra di poter dire che il percorso previsto sia molto lento e lungo, quasi si voglia preferire “sventolare una bandiera piuttosto che garantire forme concrete di maggiore competitività ed autonomia” (Cattaneo, Tempi, 27/1/2024).
Carlo Zocchetti
31 gennaio 2024
7.
Mogli e buoi dei paesi tuoi?
"Mogli e buoi dei paesi tuoi" recita un vecchissimo proverbio ad indicare che ogni area ha caratteristiche, usi e bisogni diversi.
Proverbio indubbiamente valido se riferito a macro aree molto diverse tra loro (pensiamo ai land tedeschi dove hanno perfino confessioni religiose diverse) ma poco più che folcloristico in realtà come quella italiana dove, ad ascoltar bene, nemmeno i dialetti esistono più.
Il sospetto quindi è che la sbandierata autonomia sia solo un modo per non condividere risorse e moltiplicare poltrone e poltroncine.
La sanità come altre istituzioni (penso principalmente a sicurezza ed istruzione) devono beneficiare di una certa elasticità locale per aderire meglio alle esigenze ma non possono prescindere da un controllo/coordinamento centrale che ne ottimizzi i costi e purtroppamente (come direbbe un comico) garantisca almeno un livello accettabile di minimo.
Consigli? Ho solo il buon senso (che notoriamente non porta voti): tagliare gli sprechi ed il malaffare non i fondi.
Sembra di assistere ad una di quelle pantomime politiche tristemente abituali; l'acquedotto ha troppe perdite? Affianchiamogli un servizio di acqua in bottiglia privato porta a porta al 50% a carico del consumatore ed al 50% a carico dello stato. Così il povero non beve ma, in compenso, contribuisce alla spesa del ricco.
Utopia? Forse si ma sarebbe bello
6.
PIÙ AUTONOMIA SOLO SE PIÙ RESPONSABILIZZAZIONE
Le posizioni preliminarmente ideologiche mi lasciano sempre perplesso soprattutto di fronte all'evidente degrado o involuzione dell'Istituzione Regione, del Ministero della Sanità e, in generale, di molti servizi pubblici.
La Sanità è sicuramente la principale competenza e il terreno in cui le Regioni - piccole e grande, in ogni caso molto diverse - danno prova della capacità o meno di Governo del Servizio Sanitario Nazionale già da alcune di esse declassato a Sistema Sanitario Regionale.
Il rapporto tra salute, sanità (intesa come apparato e regole di funzionamento) e politica è condizionato, se non determinato, dai corporativismi (vedi caso MMG), dalle cordate e dalle clientele che fanno passare in second'ordine l'efficacia e la qualità del servizio pubblico da assicurare.
Per questo ritengo che, preso atto da parte di tutti della legge approvata dal Parlamento, l'attuazione dell'utonomia differenziata possa essere anche l'occasione di un cambiamento se viene perseguito con tignosità e metodo il principio: AUTONOMIA SOLO SE PIENA RESPONSABILIZZAZIONE DEL PIENO FUNZIONAMENTO DEL SERVIZIO PUBBLICO ALLE VARIE COMUNITÀ LOCALI.
A questo fine serve una vera AUTORITY nazionale indipendente in grado di gestire il dispositivo di responsabilizzazione con accertamenti e commissariamenti sia di tutto il territorio regionale, sia di parti di esso.
5.
UNA SFIDA PER LA SANITÀ? 𝗟𝗔 𝗗𝗜𝗦𝗨𝗚𝗨𝗔𝗚𝗟𝗜𝗔𝗡𝗭𝗔 𝗘𝗖𝗢𝗡𝗢𝗠𝗜𝗖𝗔
Nelle ultime cinque decadi, negli USA si è verificata una significativa trasformazione socioeconomica. Il dato emergente è la contrazione della classe media e l'aumento dei redditi alti.
Questo fenomeno, che non colpisce solo i singoli individui ma anche diverse regioni geografiche, si caratterizza per variazioni di reddito medio familiare che toccano picchi come nel District of Columbia (127.629$) e valli in Mississippi (62.802$).
Anche la salute risente di queste differenze. L'aspettativa di vita varia drasticamente in base allo stato e alla classe economica, con quasi 10 anni di scarto tra alcuni stati.
Questi dati sollevano, a mia opinione, una questione cruciale su cui la politica dovrebbe riflettere: può l'autonomia differenziata prevenire o mitigare simili disparità? E dovrebbe farlo pensando che questo non andrà ad incidere solo sui modelli di telefonini che i cittadini potranno permettersi ma sulla loro aspettativa di vita.
Se è vero, però, che sta alla politica scegliere che modello di Paese darsi (certamente non ad un tecnico come me) osservando cosa succede negli Stati Uniti devo/dobbiamo ipotizzare cosa succederà nel prossimo futuro anche nel nostro Paese.
Secondo me dovremmo chiederci seriamente ed urgentemente che meccanismi di garanzia dei LEA adottare in uno scenario di autonomie differenziate.
Le regioni ricche diventeranno sempre più ricche ed aumenteranno anche le regioni povere. Come ce la gestiamo per evitare che siano ancora più evidenti le disparità sull'aspettativa di vita?
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Preghiera della serenità«Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.»
4.
Ma gli attori della sanità pubblica cosa dicono?
Caro Cesare, non che prima fossi ottimista, ma la realtà supera le previsioni e sono seriamente preoccupato per gli indirizzi di governo e la sopravvivenza di una sanità pubblica più che residuale e lungimirante.
Dalla autonomia regionale che aumenterà le disuguaglianze e non permetterà livelli uniformi di prestazioni, all' attacco del piano pandemico e al ruolo dei vaccini con affermazioni sconsiderate sulla prevalenza della politica sull'evidenza scientifica,e il ministro della sanità costretto a fare ammenda dichiarando che di tratta di una bozza, per non parlare dell' ultima dichiarazione della lega sull'interruzione del finanziamento italiano alla organizzazione mondiale della sanità, che a loro dire non fa nulla per gli italiani, e che con quei soldi "si potrebbero fare ospedali". Ma nessuno gli ha mai sentito parlare di salute globale e del fatto che i problemi sanitari vanno affrontati in modo sistemico a livello mondiale - la pandemia non ha insegnato nulla?- si pensa di risolvere i problemi sociali, sanitari, ambientali, i rischi infettivi con il posto letto in più a Brembate?
Con l' età mi è forse calato l'udito ma non sento la voce dei rappresentanti della sanità pubblica che difendano con forza il suo ruolo. I tempi sono oscuri a livello planetario, ma nel nostro paese sono proprio neri, siamo al cupio dissolvi.
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Altri interventi interessanti
Oltre ai graditi commenti al mio post qui inseriti, ci sono sul web molti altri interventi interessanti e tra questi vi segnalo quelli pubblicati da “Forward”, progetto de Il Pensiero Scientifico: [https://forward.recentiprogressi.it/it/il-progetto/about/] Può sorprendere che le valutazioni sull’autonomia differenziata siano alquanto differenti e vanno dal pericolo che favorisca una sorta di secessione a che invece permetta di trovare della soluzioni per migliorare la sanità. Ho la sensazione però che non tutti abbiano in mente lo stesso scenario, e questo perché per il momento si possono ipotizzare diverse modalità con cui l'autonomia verrà implementata. Quindi credo sia importante evidenziarne i pericoli e invece, se ci sono, coglierne le opportunità cercando di farle fruttare. E ... speriamo in bene!
Per chi fosse interessato segnalo quest'altro interessante report SVIMEZ sulle disparità territoriali di salute e di sanità:
https://lnx.svimez.info/svimez/un-paese-due-cure-2/