Mi sembra che in questi giorni sia sempre più evidente una contraddizione, sia nei media sia nelle istituzioni tra allarmi e aperture, tra variante Delta e "sbiancatura" del paese (vedi ad esempio la circolare del Ministero della Salute del 25 giugno).

Sulle varianti prima o poi si dovrà arrivare a delle conclusioni certe: di sicuro ci sono, come in tutti i virus; di sicuro possono influire sugli andamenti dei contagi, ma non mi pare che sempre le supposte loro caratteristiche si siano poi verificate negli andamenti dell'epidemia. È probabile, anche se non solidamente sempre dimostrato (vedi ECDD Threat Assessment Brief: Implications for the EU/EEA on the spread of the SARS-CoV-2 Delta -B.1.617.2- variant of concern), che ad ogni variante del virus corrisponda una diversa capacità di contagio, ma la frequenza di contagi dipende da molti altri fattori che non sono stabili nel tempo e nei luoghi. Questi fattori sono la percentuale di soggetti infetti che possono contagiare, la percentuale di soggetti suscettibili a contrarre l'infezione, la frequenza dei contatti tra soggetti ed il loro movimento, le precauzioni personali che i soggetti adottano per evitare di contagiare e di contagiarsi ed infine anche, certamente, la contagiosità della variante del virus. Per misurare quest'ultimo fattore dovremmo poter considerare costanti nel tempo e nel territorio gli altri fattori, il che difficilmente accade nella realtà.

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Figura 1: andamento delle frequenze giornaliere dei contagi da inizio maggio a fine giugno. I punti rossi sono le frequenze pubblicate ogni giorno dal Ministero della Salute e la linea azzurra è la loro interpolazione con regressione log lineare.

Come si può valutare in figura 1, durante i mesi di maggio e giugno l'andamento delle frequenze dei contagi ha seguito in modo sorprendentemente stabile e continuo un ciclo trend esponenziale con uno slope pari a 0,9513, il che significa che ogni giorno i casi mediamente sono diminuiti del 4,87%.

È pure evidente, guardando il grafico con l'ordinata in scala logaritmica, come sia stata stabile anche la ciclicità intrasettimanale che ha avuto una forma moltiplicativa ed un minimo nei giorni di lunedì e di massimo in quelli di giovedì. L'unica leggera anomalia del ciclo la si è osservata in coincidenza con la festa del 2 giugno.

Non sembra quindi azzardato affermare che i dati osservati in Italia sino a fine giugno non sembrano siano compatibili con un importante aumento della contagiosità del virus; può essere, speriamo di no, che il futuro ci riservi sgradite sorprese, ma è proprio sul futuro che sarebbe opportuno riflettere. Se infatti si teme, come più  volte annunciato, che la variante Delta produca un aumento dei contagi, allora ci si dovrebbe chiedere il perché della coincidenza di un supposto rischio con un deciso e "gradito" ridimensionamento delle misure di contenimento.

È vero che in Italia l'incidenza ormai è ovunque molto bassa; è altrettanto vero che l'impatto dell'epidemia sui servizi sanitari è in decisa decrescita, ma l'effetto di un’accelerazione della contagiosità potrebbe osservarsi dopo almeno tre o quattro settimane. E allora se crediamo che sia realmente pericolosa, perché favorirla aprendole ampiamente le porte? Già è successo a inizio febbraio con la supposta pericolosità della variante Alfa, la cosiddetta variante Inglese, che si è ritenuto che potesse comportare un aumento di contagiosità del 37% (ma con una incertezza statistica tra il 18 ed il 60%) e, nonostante ciò, si tolsero molte misure di contenimento riportando quasi tutte le Regioni a un livello di rischio di colore giallo. Che poi la "terza" massiccia ondata di contagi sia stata causata dalla variante inglese o dalla riduzione delle misure di contenimento non è cosa facile da dimostrare con chiarezza, solo che anche in quella situazione l'ipotesi di un rischio di crescita della contagiosità fu contemporanea alla diminuzione delle misure di contenimento.

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Figura 2: andamento dei contagi giornalieri nei primi 4 mesi del 2021 e interpolazioni lineari

In figura 2 c'è l'andamento dei contagi nei prima quattro mesi del 2021 che può credibilmente essere scomposto in tre fasi ciascuna con andamento non distante dal lineare. Da inizio anno a metà febbraio una diminuzione di contagi, da metà febbraio a metà marzo una forte crescita e poi una diminuzione che ha riportato a fine aprile ai valori di inizio febbraio.

Cosa è stata la causa della crescita da metà febbraio a metà marzo? La variante inglese o l'ottimistica riduzione delle misure di contenimento? Questa situazione però comunque ci suggerisce che non si può chiudere la stalla quando i buoi sono scappati ... a inizio gennaio l'AIE aveva scritto una lettera al Ministro in cui esprimeva le preoccupazioni di una riapertura in presenza di possibili ipotesi di crescita e si è riusciti poi ad ottenere un rallentamento solo dopo un mese di misure impegnative.

La situazione attuale non dà in Italia segnali chiari di possibile recrudescenza dei contagi, ma dall'estero vengono segnali preoccupanti: Inghilterra, Portogallo, Russia, Germania ... si dice che sia colpa della variante Delta, chissà, ma poi si aprono gli stadi per gli spettatori del campionato europeo di football e si permettono trasferte numerose tra paesi anche in difficoltà con l'epidemia.

Temo che se dovessero malauguratamente crescere di nuovo i contagi si dirà che tutta è colpa della variante Delta non più chiamata Indiana per ragioni geopolitiche, ma forse tutta la colpa non è della variante del virus bensì delle varianti "allegre" dei nostri comportamenti. Riapriamoci sì alla vita sociale, ma con molta cautela e senza dimenticare cosa c'è stato e cosa potrebbe ricapitare nonostante le ormai fortunatamente diffuse vaccinazioni della popolazione che, come afferma anche Mariachiara Tallacchini nell'editoriale Tessere nel puzzle della pandemia sono importanti, ma non sufficienti per sconfiggere del tutto l'epidemia.

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