POST del BLOG Come sta la sanità? minuti di lettura
- 05/12/2019 15:54
Ahimè! i tetti fanno acqua, ripariamoli…anzi eliminiamoli
Non parliamo certo del tetto di casa nostra e neanche di quello della mia casetta che ho in affitto sul lago, e che sarebbe bene che il padrone lo aggiustasse, ma non credo che a voi interessi come andrà a finire!
Parliamo invece dei tetti che le Regioni pongono ai volumi di attività delle strutture private convenzionate. Pensate ad esempio di decidere che le vostre cene non ve le cucinate più da soli ma fate una convenzione con la trattoria dell’angolo che ve la fa pagare 15 € a sera per due persone. Il vostro budget per le cene che vi cucinavate da soli era di 300 € al mese e quindi fissate con la trattoria un tetto mensile di 20 cene pensando che durante gli WE non sarete mai a casa. Ma novembre è stato sempre piovoso e avete passato tutti gli WE a casa così al 20 del mese avevate consumato tutte le cene del tetto! Allora che fate? Sia per quei 10 giorni di fine mese sia per i futuri mesi.
Se avete soldi da spendere aumentate il tetto o addirittura lo togliete e pagate tante cene quante ne consumate. Ma se non avete abbastanza soldi che farete? O tornerete a cucinarvi le cene da soli o farete in modo di starci nelle 20 cene rinunciando a quelle cui potrete rinunciare oppure farete la fame ogni mese negli ultimi 10 giorni!
Ed allora le questioni diventano due: la prima è se le tariffe corrispondano o meno ai costi di produzione delle prestazioni “fatte in casa”, la seconda è se il numero di prestazioni fatte dal privato corrisponda a quelle che si sarebbero fatte nel pubblico. Sulle tariffe non è difficile ritenere che in molti casi ci siano delle tariffe anche molto maggiori dei costi di produzione se le prestazioni fossero eseguite internamente in condizioni di efficienza. Il fatto che alcuni laboratori o ambulatori offrano delle prestazioni low cost inferiori non solo alle tariffe ma addirittura ai ticket è la dimostrazione che si potrebbero erogare le stesse prestazioni con costi minori di quelli pagati ai privati convenzionati. Naturalmente il pubblico dovrebbe essere capace di produrre in modo efficiente, cosa che purtroppo non sempre accade.
Rispetto al numero di prestazioni è chiaro che il privato convenzionato avrà l’interesse a venderne il numero maggiore come ogni imprenditore privato farebbe dei suoi prodotti. Il pubblico, che ha in mano il filtro della prescrizione, dovrebbe essere in grado di controllarne il volume evitando le prestazioni inappropriate. Ma in genere il MMG, operatore anch’esso privato, non ha personalmente interesse a limitare il volume delle prestazioni prescritte che anzi tende a soddisfare il desiderio dei suoi pazienti che gli chiedono spesso anche prestazioni inutili o addirittura attiva situazioni di quasi comparaggio.
Ma i soldi sono contati e la Regione (e le ASL) non possono permettersi di dover pagare conti troppo salati per le tariffe chieste dai privati convenzionati ed allora stabiliscono a priori dei tetti sui volumi annui di prestazioni. Così capita che verso la fine dell’anno, ma già in molti casi sin dal mese di ottobre o novembre, il privato chiude l’erogazione in regime convenzionale e l’unico modo per il paziente di poter aver la prestazione è quello di pagarne interamente il prezzo, cosa che per molti non è possibile ed allora rinunciano ad averla! In altri casi questa situazione per lo meno comporta delle dilatazioni insostenibili delle liste di attesa.
Ma tutto ciò è compatibile con i diritti definiti dai Livelli Essenziali di Assistenza? È ovvio che no! Ma di soldi non ce ne sono di più! E allora che fare? Le soluzioni si conoscono ma è difficile realizzarle vuoi per ragioni tecniche vuoi per le resistenze derivanti da interessi contrapposti.
Occorre innanzitutto lavorare sull’appropriatezza e qui entrano in gioco i prescrittori che devono essere coinvolti nell’operazione vuoi con incentivi o disincentivi, vuoi con azioni motivazionali. Poi si devono rivedere le tariffe che devono essere in ogni caso competitive rispetto ai costi di produzione che si otterrebbero producendo le prestazioni internamente alle ASL. Ed infine è necessario verificare se siano opportune tutte le convenzioni attivate con i privati o non sia opportuno che progressivamente la produzione di prestazioni ritorni ad essere interna al SSN.
In ogni caso non è tollerabile che verso la fine dell’anno i pazienti non riescano ad ottenere una prestazione se non pagandola interamente, oppure che siano costretti a subire dei tempi di attesa del tutto contrari alle loro necessità cliniche. Il sistema deve “pagare” per queste sue “colpe” ed allora sembrerebbe giusto che il paziente, in queste situazioni, possa accedere gratuitamente ai servizi erogati in intramoenia o possa essere rimborsato se l’unica soluzione risultasse quella di pagarne interamente il prezzo richiesto presso un privato. In tutte queste situazioni, però, dovrà essere evitata l’inappropriatezza e quindi sarà indispensabile prevedere l’autorizzazione del prescrittore che quindi dovrà essere controllato a priori ed anche valutato a posteriori.
Non si pensi che arrivare a questo sia facile, tutt’altro! Ma se il SSN vuol sopravvivere garantendo l’universalismo e l’equità non c’è altra strada che quella di razionalizzare gli accessi della produzione evitando le scorciatoie di un facile razionamento che diventa negazione dei diritti dei cittadini. E sia chiaro che razionalizzare non significa razionare.
Invito comunque tutti i lettori di questo mio intervento a contraddirne i contenuti se non li condividono o a suggerire le vie per facilitare l’eliminazione dei tetti alle prestazioni. Se non pioverà più sulla sanità non avremo più bisogno di ripararci con dei fastidiosi tetti che per lo più oltretutto fanno acqua e rischiano di far ammalorare l’intero edificio…
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I tetti sono uno strumento di
I tetti sono uno strumento di governo (si fa per dire) usatissimo nel SSN. Alcuni vengono imposti dal livello centrale alle Regioni (tetto di spesa per il personale, tetto di spesa per la farmaceutica territoriale ed ospedaliera, tetto al numero di unità operative complesse, tetto al numero di posti letto, ecc.), altri vengono imposti dalle Regioni alle Aziende pubbliche (tutti quelli di prima) ed altri vengono imposti dalle Aziende ai cosiddetti erogatori specie privati e cioè i tetti di produzione. Da alcuni anni ai tetti di produzione per i residenti si sono aggiunti i tetti di produzione per i non residenti per evitare che la mobilità attiva diventi ancor di più -com'è da anni - terreno di conquista dei privati. I tetti, tutti questi tetti, sono un segno della attuale inefficacia o comunque efficacia parziale degli altri possibili strumenti di governo a partire da quelli che dovrebbero controllare la produzione e le prescrizioni attraverso il presidio della appropriatezza. Fino a che questi strumenti non diventeranno più efficaci i tetti rimarranno indispensabili. Certo li si potrebbe rendere più "intelligenti" ad esempio differenziandoli nel caso dei privati - ma non solo -per tipologia di prestazione/attività. E qui viene fuori un problema ancor più grosso del ricorso ai tetti: la mancanza di una cultura e di una pratica della "committenza", quella che prevede che il budget dei produttori non sia solo economico, ma di specifico contenuto clinico con una dettagliata descrizione (e verifica) delle attività ritenute di interesse e quelle di nessuno scarso interesse. E su quelle di interesse andrebbero definiti chiari indirizzi in termini di appropriatezza clinica. Se si facesse così, tanto per fare un esempio, molte case di cura dovrebbero rinunciare a quelle iperproduzioni selettive che oggi molto spesso le caratterizzano (interventi sul ginocchio, interventi sul piede, prostatectomie per iperplasia benigna, ecc). Quanto al budget finito a settembre, basterebbe prevedere una produzione ben distribuita nei diversi mesi del tetto annuale (se possibile intelligente). Sono questi temi caldi su cui il contributo della epidemiologia al governo clinico dei produttori (che brutto termine) potrebbe portare un grosso contributo.