Direzione E&P e Segreteria AIE

La comunità degli epidemiologi italiani ha svolto un ruolo importante durante la pandemia. L’epidemiologia ha guidato e continua a guidare la raccolta, l’analisi e l’interpretazione dei dati relativi al contagio sia a livello nazionale sia regionale e locale; ha fornito e continua a fornire indicazioni per la valutazione dell’impatto sulla salute della riduzione delle prestazioni sanitarie non riguardanti COVID-19, e detta i criteri di priorità dei programmi vaccinali.

L’importanza del lavoro svolto in questo contesto è riconosciuta (P. Sileri, Prefazione al volume di E&P su COVID-19) e la prima monografia della rivista Epidemiologia e Prevenzione (dicembre 2020) fornisce un quadro chiaro dell’impegno tecnico-scientifico profuso dagli epidemiologi durante la prima fase della pandemia; un impegno accompagnato da un dibattito continuo, animato dall’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), che ha prontamente costituito Gruppi di Lavoro e organizzato webinar, ha elaborato documenti e position paper, specie nelle fasi emergenziali. Al Covid-19, la rivista dell’Associazione ha dedicato un Repository di preprint, ha pubblicato editoriali e attualità, ha avviato discussioni, ha reso disponibili diversi rapporti sull’efficacia vaccinale, e ora cura una nuova raccolta di contributi scientifici relativi alle fasi successive dell’epidemia.

Ma nonostante il ruolo centrale giocato nei mesi scorsi, paradossalmente, alcune tendenze pericolose si contrappongono a una presenza importante dell’epidemiologia, come puntualmente messo in luce da alcuni scritti ospitati sulle pagine di E&P.

In un recente editoriale, Rodolfo Saracci  segnala gravi limiti del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) presentato dal governo: manca del tutto un programma razionale e coerente sulla prevenzione. Agli epidemiologi Saracci chiede di organizzare una “Conferenza per la prevenzione” a cui possano dare un contributo i tecnici e la società civile per definire priorità socialmente condivise. Si tratta di trasformare in realtà le tante parole del Piano Nazionale delle Prevenzione 2020-25, anche alla luce delle considerazioni espresse nel 2015 da Fabrizio Faggiano, allora Presidente AIE:

«Il Piano nazionale di prevenzione rappresenta indubbiamente una svolta nella prevenzione in Italia. Ma si tratta di una svolta incompleta, che richiede ancora passaggi importanti qui discussi. Fra i più significativi:

  • l’inclusione, nella pianificazione della prevenzione, degli interventi delle agenzie centrali (comunicazione, normative sull’accessibilità, tassazione, etichettature eccetera), a fianco degli interventi regionali, per permettere interventi integrati;
  • il finanziamento della ricerca di efficacia con i fondi CCM;
  • la creazione di un processo obbligatorio di registrazione degli interventi preventivi condotti a livello regionale.

L’epidemiologia ha molto da dire in questo percorso di completamento del PNP: lo sviluppo di metodi rigorosi, ma sostenibili, di valutazione di impatto di interventi e politiche; l’elaborazione di un sistema di  monitoraggio che utilizzi fonti di dati correnti e studi di valutazione per costruire scale di priorità a livello regionale dei fattori di rischio a maggiore impatto su cui costruire interventi; una maggiore disponibilità alla valutazione di efficacia ed equità degli interventi».

Nella sezione Attualità del corrente numero di E&P, Claudio Maffei denuncia che il PNRR porta chiaramente verso la «sostituzione del ruolo dell’epidemiologia con quello del sistema informativo sanitario, con la conseguente coerente scelta di legare la prevenzione non all’epidemiologia, ma al sistema informativo».

Un salto molto pericoloso che si concretizza in sforzi (economici) per digitalizzazione, informatica, modelli predittivi prototipali (!?), advanced analytics (!?), e Hub della prevenzione (!?).

Sul blog di E&P (Come sta la Sanità? - curato da Cesare Cislaghi) si è aperto un bel dibattito con interventi iniziali di Giuseppe Costa e Claudio Maffei. Il PNRR potrebbe essere la finestra di opportunità giusta per ridefinire e organizzare il ruolo delle discipline di “policy analysis” nel SSN (Costa), ma solo se si ottiene il riconoscimento “strutturale” (Maffei) dell’epidemiologia nei servizi sanitari regionali.

Nel 2016 l’AIE aveva redatto un documento sull’epidemiologia nelle istituzioni centrali e locali. Succedeva poco dopo il drastico depotenziamento del  Centro  Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) dell’Istituto Superiore di Sanità, con la dispersione delle varie funzioni epidemiologiche tra le varie strutture dell’ISS. Appena cinque anni fa l’AIE diceva:

«Lo sviluppo dell’epidemiologia in Italia non ha avuto un governo razionale. A posteriori è facile riconoscere come questo sia avvenuto grazie a opportunità costituite da scuole, da registri tumori e programmi di screening, da intuizioni tematiche di singoli gruppi di ricercatori o da iniziative innovative come il Laboratorio di epidemiologia dell’ISS, mentre non vi è stato un disegno esplicito di governo delle attività epidemiologiche in un programma di sviluppo della conoscenza. Anche i pochi tentativi di razionalizzare e generalizzare esperienze di successo in modelli organizzativi incardinati nel Servizio sanitario regionale hanno dato frutti parziali (come il disegno di sviluppare osservatori epidemiologici in tutte le Regioni), e anche l’esperienza delle agenzie sanitarie regionali è stata compromessa dall’ambiguità tra funzione tecnica e funzione di supporto alle scelte della politica regionale. Il risultato di questi tentativi è un quadro regionale caratterizzato da una grande disomogeneità di distribuzione territoriale e una non coordinata condivisione dei ruoli fra agenzie centrali e regionali; una situazione che merita una programmazione più attenta”. 

Abbiamo oggi un’occasione per ripensare e ridefinire le strategie per l’epidemiologia italiana nel contesto del SSN (e perché no, anche nel contesto del Sistema Nazionale Protezione Ambiente, SNPA), anche alla luce della storia dell’epidemiologia italiana nelle istituzioni negli ultimi anni. Per questo E&P e AIE aprono con queste righe un dibattito sulle pagine virtuali di E&P. Si tratta di un dibattito estivo, avrà una durata limitata (luglio/settembre), ma sarà utile per avere punti di vista diversi e un proficuo scambio di pareri.

Queste le domande principali a cui vorremmo si desse una risposta:

  1. Il documento AIE 2016 prevedeva le seguenti funzioni dell’Epidemiologia:
    Funzione di supporto alla programmazione e valutazione nell’SSN/SSR (Epidemiologia per: definizione delle priorità di salute del SSN; gestione dei rischi ambientali; l’appropriatezza e la qualità; valutazione di impatto di piani, strategie, politiche e interventi; Health Technology Assessment, valutazione della performance del SSN);
  2. Funzione di supporto allo sviluppo e innovazione (attraverso programmi di ricerca con progetti volti alla produzione di nuove conoscenze, anche in collaborazione con strutture universitarie). Negli ultimi anni, e in particolare a seguito della pandemia, si è modificato il quadro delle funzioni dell’epidemiologia, quali sono gli ambiti per i quali è atteso un maggiore sviluppo, specie nel prossimo futuro?
  3. La programmazione delle modalità organizzative dell’epidemiologia a livello nazionale e regionale non ha seguito percorsi omogenei dal 2016 ad oggi, e la pandemia ha messo ancora più in crisi di identità le strutture esistenti. Possiamo ancora facilmente distinguere una funzione tecnica “indipendente” e una funzione tecnica di supporto alle scelte di politica regionale, l’epidemiologia di “linea” e l’epidemiologia di “staff”? Come si concilia la necessità di garantire i “livelli essenziali di epidemiologia” (di cui parlava il documento del 2016) con la necessità di mediare con le esigenze del decisore politico? Quali sono le forme organizzate dell’epidemiologia nel SSN che possono garantire una produzione di conoscenze stabile, omogenea e autonoma rispetto al potere politico, per guidarne le scelte sulla base delle evidenze?
  4. Al bisogno di riorganizzazione della epidemiologia corrisponde la necessità di programmi di formazione adeguata in grado di riconoscere un adeguato sbocco professionale per i professionisti di questa disciplina. Si tratta quindi di ridiscutere di percorsi di studio, ma anche di ruoli, in particolare nell’ambito del SSN. Quali potenzialità per un futuro immediato?
  5. L’esistenza stessa delle strutture regionali è fortemente connessa con la disponibilità dei dati dei Sistemi Informativi Sanitari, e non solo. Il rischio grande, e piuttosto concreto - a leggere i documenti di riorganizzazione del SSN - è che l’epidemiologia abbia un ruolo marginale sugli aspetti relativi alla gestione e analisi dei dati dei sistemi informativi, e più in generale nei processi di ridisegno e sviluppo dell’infrastruttura informativa, che appaiono sganciati da qualsiasi valutazione sul fabbisogno di conoscenze e di ricerca sotteso, in favore di procedure di analisi (es. big data analytics), schiacciate su esigenze di tipo meramente gestionale, e comunque prive delle necessarie premesse epidemiologiche. Quali sono le priorità di innovazione del sistema informativo sanitario nazionale? Quali strategie può essere utile sviluppare per guidarne la riorganizzazione?
  6. Come infine rafforzare il ruolo dell’epidemiologia in due direzioni: orizzontale, verso altri campi e mondi del sapere scientifico e di ricerca, e verticale, introducendo nella propria pratica la voce e la partecipazione dei diversi soggetti che l’indagine epidemiologica collettivamente sottopone a indagine.

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