di Eugenio Paci, epidemiologo, past-director di E&P

Nel 2016, l’Associazione Italiana di Epidemiologia (presidente Fabrizio Faggiano) sottolineava la necessità di riconsiderare la governance del servizio sanitario nazionale (SSN) a fronte della crescita del numero di agenzie preposte alla sanità pubblica, lamentando la mancanza di un disegno esplicito di governo delle attività epidemiologiche. Oggi, l’esperienza ha confermato, con drammaticità, questa esigenza ma ha messo in evidenza che non solo di epidemiologia si tratta, bensì di un complessivo bisogno di ridisegno del governo del sistema sanitario, delle competenze e della pratica della sanità pubblica.

Ha scritto bene sul Corriere della sera il professor Sabino Cassese che “è ora di curare la sanità”.  Un recente documento di sei centri accademici italiani, ripreso da Giuseppe Costa in un suo intervento, presenta dieci temi che da molto tempo sono centrali per la nostra sanità. Su molti giornali o blog si chiedono interventi per rilanciare il territorio o gli ospedali e alcune regioni programmano (per es. la Lombardia) riforme del sistema sanitario regionale. Il PNRR (non solo sugli investimenti in sanità) è, di fatto, una fotografia di quanto sono in grado di produrre attualmente le strutture ministeriali e conferma con evidenza il limite della nostra struttura di governo nazionale della sanità (e non solo). I progetti di area si risolvono in assunzioni di personale e infrastrutture edilizie e tecnologiche, mentre nuove proposte , al momento solo abbozzate, presentano liste di attività e standard che dovrebbero essere la base per la nuova sanità territoriale (le case della salute), ma riproducono in sostanza una concezione burocratico-amministrativa, in larga base autoreferenziale e sorrette dalla stessa logica che ci ha portato a questa crisi. Lo stesso Ministro Speranza prevede il lancio di un nuovo Patto con i cittadini, ma al momento non si ipotizza una reale riforma della sanità pubblica e del governo del SSN. Molto ci sarà da discutere, dopo questa pandemia, soprattutto sul rapporto tra politica e sanità pubblica e sul nuovo, esplosivo, ruolo della comunicazione; una questione che riguarda tutto il mondo democratico, ma che ha interessato in specifico i paesi ove molto forte è stato l’impatto della pandemia e dei lockdown.

Il contesto Europeo e l’esperienza del NHS nel Regno Unito

L’esperienza del COVID19 ha confermato l’importanza della sanità pubblica e del servizio sanitario nazionale universalistico propri dei sistemi sanitari Europei e del Regno Unito. Il caso italiano è stato particolare proprio perché si innestava su una cronica difficoltà della sanità pubblica e della politica sanitaria precedente alla pandemia COVID19. Una revisione dell’azione di sanità pubblica deve partire dall’esperienza di questo periodo, aprendosi a una valutazione comparativa delle realtà Europee in cui i principali paesi hanno tutti una copertura universale della popolazione che li distingue in questo senso dagli Stati Uniti, ma che variano nel come è organizzato e gestito il sistema di assistenza.

La gestione della sanità è una competenza nazionale e non della EU a 27 stati (fonte OCSE). L’Europa ha oggi importanti agenzie di sanità pubblica, come per esempio l’ECDC, la struttura comunitaria per la sorveglianza e il monitoraggio delle malattie infettive, ma non è possibile un’azione politica sulla sanità senza una complessa, unanime, condivisione intergovernativa. Le prospettive di integrazione a livello europeo sono connesse al successo del PNRR perché solo in una nuova realtà potrà crescere un quadro comune di competenze e un’integrazione della sanità pubblica e dei sistemi informativi e valutativi clinico-epidemiologici, con un sistema di indicatori, che già oggi è in forte sviluppo con le iniziative di EUROSTAT e DGSANCO. L’epidemiologia e la sanità pubblica italiana a livello europeo sono rappresentate oggi da molti epidemiologi ed esperti di sanità pubblica. La nostra presenza in Europa sembra però, come è sempre avvenuto, individuale o di singoli gruppi scientifici più che espressione del sistema Paese e delle sue istituzioni. Le debolezze del nostro sistema pubblico hanno avuto un forte, negativo, riscontro mediatico nella fase di programmazione e gestione della vaccinazione anti COVID19 svoltasi a livello comunitario.

Il SSN Italiano nato con la legge 833/78 deve molto a quello che si è sviluppato in Inghilterra nel primo dopoguerra, ne condivide i valori fondanti e condivide la caratterizzazione dovuta all’importante presenza dell’offerta di servizio pubblico. Nel complesso, nonostante i cambiamenti e le difficoltà intercorse negli ultimi decenni, il National Health Service (NHS) si è dimostrato ancora oggi un sistema di riferimento per la sua forte componente di sanità pubblica, che è stata una protagonista positiva anche in questa ultima crisi e che in qualche modo è sopravvissuta alle tensioni tra le polarizzazioni delle differenti spinte politiche, mai comunque arrivate a metterne in discussione l’esistenza. Il NHS è un’istituzione autonoma che si rapporta al Governo a livello nazionale, con numerose articolazioni tecniche e di partecipazione non solo per l’organizzazione dei servizi, ma per sviluppare un reale rapporto con le realtà locali, in ottemperanza all’audace motto “il NHS appartiene al popolo” - una dichiarazione certamente molto impegnativa! Nel testo della “costituzione” del NHS è esplicito il riferimento al cittadino, alla comunità locale e alla qualità delle cure, incluso l’impegno per un elevato livello professionale del personale. Il NHS ha tuttora una forte componente di offerta pubblica anche se molti sviluppi ci sono stati, e con discussioni vivaci, verso approcci privatistici nella struttura manageriale e nei coinvolgimenti a livello locale, soprattutto a livello di gestione della primary care e degli ospedali specialistici. Il dibattito per un servizio integrato e capace di articolarsi con le realtà locali è in corso (qui un percorso di lettura del Kings Fund) con naturalmente punti di vista, contrapposizioni e discussioni, anche aspre. Una dimostrazione, comunque, di un sistema sanitario unitario, vitale e radicato tra i professionisti e i cittadini, capace di proporre una propria riforma e innovazione e che pone al centro non degli standard operativi ma il raggiungimento di complessi obiettivi di salute e progetta di articolarsi sempre più a livello locale. Durante la pandemia, il sistema informativo inglese (office for statistics-ONS e Public Health England) ha dimostrato quanto essenziale sia la capacità di risposte rapide, qualificate e comunicate in modo trasparente e esauriente per le policy di sanità pubblica. L’integrazione tra dati per la sanità e quelli di tipo socioeconomico ha permesso di delineare un quadro dell’impatto socioeconomico della pandemia pressoché immediato, così come di conoscere, dopo una prima fase di difficoltà, la situazione di settori importanti come le case di riposo e altre realtà a rischio. I finanziamenti mirati di ricerca avviati, per esempio sull’impatto delle cure per i tumori e sui rischi legati a condizioni di disagio sociale, hanno fornito informazioni essenziali confermando il ruolo, tante volte predicato a freddo, dell’epidemiologia come utile strumento nella definizione di politiche sanitarie che contrastino le diseguaglianze di accesso.

La riforma della sanità richiede una nuova sanità pubblica

L’esigenza di curare la sanità è oggi evidente: interventi su specifici settori o aree non sono in grado di ridefinire cosa oggi devono essere il SSN e la sanità pubblica in Italia. La politica – così come i sindacati e le tante corporazioni – dovrebbero fare un passo indietro nella gestione, ma questo dovrebbe corrispondere al passo avanti che soprattutto la politica deve fare nella capacità di assumere decisioni sulle caratteristiche del sistema a livello nazionale e regionale, condividerle in un partecipato patto con i cittadini e le diverse componenti sociali e professionali, per decidere cosa si chiede di fare al sistema sanitario pubblico in ottica nazionale e regionale e come si ritiene di dovere utilizzare le risorse per raggiungere obiettivi di salute condivisi. Ma questo sviluppo di un progetto triennale di riforma, negli anni del PNRR, adeguatamente finanziato, deve prioritariamente partire dal (ri)costruire un governo della sanità pubblica, che sia il motore portante di un nuovo SSN. Questo richiede un riassetto profondo e un investimento che deve innanzitutto essere in competenze tecnico-scientifiche e in ricerca&sviluppo per rendere la sanità pubblica moderna nel senso di essere interdisciplinare e interprofessionale e sorretta dalla implementazione di adeguati e rapidi sistemi informativi sanitari. Occorre costruire l’alveo politico, professionale e gestionale di tutto il sistema, ripensandolo in maniera integrata con una riforma del welfare italiano e con tutte le altre iniziative di rinnovamento, come quella di transizione ecologica, che segneranno i prossimi anni e avranno auspicabilmente un notevole impatto sulla salute globale.

Una soluzione, a mio parere, potrebbe essere ispirata al modello NHS inglese, anch’esso in fase di ridefinizione e che può essere sviluppato in maniera integrata con i cambiamenti che si avranno auspicabilmente nella direzione di una comune politica europea. Un SSN autonomo dal Ministero della salute, organizzato a responsabilità nazionale in maniera omogenea e con un’articolazione regionale e al livello delle autonomie locali (anche questo un sistema istituzionale certamente da riformare) può essere uno strumento in grado di ricostruire una funzione unitaria della sanità pubblica e di conseguenza nelle diverse aree dell’assistenza socio-sanitaria e del welfare. Un’iniziativa di questo tipo, se sorretta da una volontà politica a livello nazionale e regionale, potrebbe trovare l’interesse, ma soprattutto la motivazione, di tanti protagonisti della sanità che hanno un forte interesse allo sviluppo di una mission pubblica, siano essi attivi in strutture pubbliche, private o del terzo settore. Gli stessi dibattiti che si sono sviluppati negli Ordini professionali, come gli Stati Generali dell’Ordine dei Medici o la discussione su Quotidiano sanità nel Forum sugli Ospedali sono indicativi di quanto siano presenti queste forze di cambiamento, ma anche di quanto sia difficile parlare di contenuti di salute invece che di temi corporativi e manageriali.

Nel recupero di questa funzione di salute pubblica universalistica e ugualitaria, il SSN deve essere sorretto da un motore nazionale con articolazioni regionali, un’Agenzia Autonoma di Sanità Pubblica italiana. Essa deve prevedere una struttura responsabile dell’attività di garanzia e aggiornamento dei LEA in ottica di valutazione di tecnologie (qualcosa di simile al NICE -National Institute for Clinical Evidence- del Regno Unito), ma anche deve assumere a livello nazionale l’elaborazione teorica e l’indirizzo della Sanità Pubblica, del sistema informativo clinico-epidemiologico e la sorveglianza epidemiologica, articolandosi con i sistemi sanitari regionali. Essenziale sarà la presenza di un settore autonomamente strutturato di Prevenzione/preparedness, come sottolineato nell’editoriale di Saracci, che dovrà avere una prospettiva interdisciplinare con altri ministeri, come quello di transizione ecologica (superando l’effetto silos tipico della nostra pubblica amministrazione). Sicurezza e governo della prevenzione e delle cure sono sfide che oggi è necessario affrontare con qualità tecnico-scientifica, risorse adeguate e competenze multidisciplinari. Questa struttura di sanità pubblica a elevata competenza multi-professionale deve essere capace di attivare autonomamente investimenti in ricerca&sviluppo e formazione che vedano la partecipazione di centri di eccellenza universitaria e non per la conduzione di studi e ricerche finalizzati alla sanità pubblica, competitivi a livello internazionale e che siano la base conoscitiva per iniziative di formazione superiore sia accademiche sia di servizio.

L’epidemiologia e la valutazione di sanità pubblica del SSN

E’ necessario chiedersi perché in Italia i dati siano stati così inadeguati, non trasparenti e soggetti a tante, talora imbarazzanti, contestazioni ed errori. I sistemi informativi nazionali, a partire dalla mortalità, hanno prodotto dati essenziali in ritardo rispetto a quanto avvenuto in paesi europei e limitati nelle variabili rese disponibili. Un sistema che è risultato spezzettato tra ministero, istituzioni e regioni e che non è integrato sia nelle tecnologie informatiche sia nelle competenze analitiche. Questo è il risultato del non aver mai considerato i dati clinico-epidemiologici e i flussi informativi sanitari e sociali come costitutivi per le scelte e le decisioni di policy nazionali e regionali. Si è inoltre perpetuata, come è sempre stato nel settore delle malattie infettive coordinato dall’ISS, la pratica di servizi informativi ad hoc, stand-alone. La risposta informativa è stata improvvisata per l’emergenza e solo molto in ritardo si sono avuti collegamenti con altri sistemi informativi. Il file dei dati COVID-19, mediaticamente resi disponibili all’Accademia dei Lincei, ma di fatto inutilizzati, simboleggia in modo esemplare questo isolamento.

Vi sono motivi di fondo che spiegano questa situazione. Un modo che forse è efficace per capire la gestione di un sistema complesso come quello sanitario è vedere cosa si misura o meglio a quali misure si dà particolare rilevanza per giustificare (se le si giustificano) le decisioni di governo; in breve, quali sono i risultati che, si presume, siano privilegiati dai decisori per la gestione. Guardando alla situazione pre-COVID-19 - cioè nell’epoca dei limiti di bilancio - il valore attribuito alla valutazione economico-finanziaria è stato assolutamente prevalente - se non esclusiva - rispetto a quella sugli obiettivi di salute della comunità (forse con l’unica eccezione della recente legislazione sull’obbligo vaccinale). Il ruolo centrale in Italia lo ha sempre avuto la relazione della Corte dei Conti, che pone al centro dell’attenzione, oltre alla compatibilità economica, i diritti, cioè l’aspetto dell’eguaglianza sul territorio nazionale nell’offerta sanitaria in rapporto alla popolazione e alle ripartizioni geografiche, fondandosi sui principi costituzionali. Le iniziative parlamentari riguardano prevalentemente interventi settoriali, per lo più per singole patologie, sulla base di spinte dell’opinione pubblica e il più delle volte per l’introduzione di nuove tecnologie (farmaci innovativi o biomarcatori di rischio).

Il punto è stabilire se questi due obiettivi principali (bilancio e diritti) siano oggi sufficienti per governare il SSN in base alle scelte programmatorie. Claudio Maffei nel suo intervento rilancia il sistema di valutazione dei LEA come funzione propria dell’epidemiologia. L’ebook di Filippo Palumbo e Maria Giuseppina La Falce (ed. Quotidiano Sanità) intitolato Aspetti teorici e applicativi dei Livelli Essenziali di Assistenza nell’introduzione specifica: “parlare di Livelli Essenziali di Assistenza significa parlare del primo dei capitoli di quel libro speciale intitolato “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” che la nostra Costituzione ha voluto mettere a disposizione di cittadini e istituzioni e che può essere letto bidirezionalmente: da un lato come il libro delle prestazioni che la Repubblica Italiana si impegna a garantire in misura adeguata, dall’altro come il libro delle prestazioni che il cittadino può chiedere gli vengano erogate in misura adeguata. L’adeguatezza riguarda sia gli aspetti qualitativi sia quelli quantitativi.” La conseguenza di questa impostazione è che i sistemi sanitari regionali sono stati, ognuno a suo modo, flessibili quanto alle modalità organizzative e gestionali, ad esempio nell’organizzazione delle aziende sanitarie territoriali o ospedaliere, così come nel differente contributo della sanità privata rispetto a quella fornita dai servizi pubblici. Dall’altra parte il Ministero della salute è stato normativamente burocratico e statico in ordine all’aggiornamento delle prestazioni e soprattutto preoccupato di valutare la rispondenza al principio di universalità e uguaglianza in base alla lista LEA. Il nuovo "Nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria (1 gennaio 2021, DM 12 marzo 2019) e il Portale della Trasparenza del Ministero della salute, realizzato da AGENAS, sono un esempio di un lento sviluppo, ma nella stessa direzione. Le prestazioni garantite dal SSN sono monitorate con indicatori LEA sulle prestazioni cliniche e su alcuni aspetti relativi alla prevenzione, vaccini e screening oncologici confermando il modello e la continuità con il sistema LEA. I percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali (PDTA) sono descritti come una “sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni erogate a livello ambulatoriale e/o di ricovero e/o territoriale, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti (oltre al paziente stesso), a livello ospedaliero e/o territoriale, al fine di realizzare la diagnosi e la terapia più adeguate per una specifica situazione patologica o anche l’assistenza sanitaria necessaria in particolari condizioni della vita, come ad esempio la gravidanza e il parto”.

In questi termini, il sistema dei LEA ha un’evidente derivazione dai sistemi mutualistici: la valutazione del SSN è basata sull’offerta delle prestazioni considerate essenziali al diritto alla salute del cittadino, quelle prestazioni che lo Stato, seppure con impaccio burocratico, come una compagnia assicurativa, aggiorna in base allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e soprattutto dell’innovazione tecnologica. L’obiettivo principale consiste nel valutare che tutte le prestazioni siano disponibili localmente secondo i principi di universalità e uguaglianza, con un’attenzione al percorso individuale di prevenzione e cura e ad alcuni indicatori di adeguatezza tecnico-scientifica della struttura che offre la prestazione.

Tentativi di conoscenza di indicatori di salute di comunità per valutare come l’attività e i servizi offerti dal servizio sanitario modificano le condizioni di salute della popolazione (nazionale, regionale, locale) sono oggi esercizi descrittivi o ricerche, per lo più realizzate da centri epidemiologici su progetti di ricerca finalizzata pubblica, che rimangono sugli scaffali o sono estemporanee, magari pubblicate su buone riviste scientifiche, ma di pura testimonianza; non incidono sul governo del sistema. Le stesse agenzie regionali di sanità pubblica laddove esistono e hanno una buona competenza epidemiologica non rientrano tra gli organismi del governo sanitario. Sono riferimenti politico-istituzionali, ma non organi del sistema di sanità pubblica. Le aziende sanitarie locali rispondono di fatto solo della compatibilità economica e alle normative. La struttura del servizio sanitario non risponde, se non genericamente e politicamente, alla comunità di riferimento ed è sostanzialmente governata dalla struttura politica e funzionariale dei dipartimenti alla salute regionali.

Questa disarticolata struttura aziendale del SSN è entrata in evidente sofferenza nella pandemia, anche se ne erano evidenti le premesse; l’emergenza ha fatto prevalere la decisionalità politica degli assessorati e dei presidenti di regione. La Conferenza Stato Regioni è divenuta una, non riconosciuta, terza camera, quella delle autonomie (solo quelle regionali), uno strumento di contrattazione delle politiche e dei poteri. Dato che questa situazione corrisponde a un mix di sistemi sanitari, con variabili modalità di rapporto tra servizio pubblico, privato e terzo settore, in cui il vincolo alle decisioni è prevalentemente economico e la funzione di sanità pubblica e di salute di comunità rappresenta una questione irrisolta, la risultante non può che essere una frammentarietà - o assenza - di governance pubblica nazionale. Un problema che è diventato evidente, nella sua drammaticità sulla questione dell’invisibilità della pandemia nelle RSA. La sostanziale assenza di un governo di sanità pubblica della Long Term Care, nella maggior parte dei casi svolta in regime privatistico e con limitate risorse e qualità professionale in rapporto alle crescenti esigenze dovute all’invecchiamento della popolazione, riflette la complessiva mancanza di integrazione tra sanità e welfare. Trasversale a tutto il settore è ormai la questione lavoro, con una crescita del lavoro a termine o interinale e, soprattutto nel sistema di welfare, del lavoro nero e sottoqualificato. Infine, assolutamente non connesso al sistema di governance è il contributo del terzo settore, disperso in molte realtà di volontariato sociale, ancora oggi in ritardo nella necessaria riorganizzazione prevista nella legge di riforma, ma che ha in molte aree assistenziali, non coperte dal servizio sanitario pubblico, un ruolo importante.

Conclusione

Lo spazio triennale offerto dal PNRR può essere la base per una innovativa riforma del SSN, una struttura autonoma nazionale articolata su base regionale, che sia un asset cruciale per esempio degli investimenti nei sistemi informativi e per la diffusione delle tecnologie biomediche avanzate e che agisca in base a obiettivi di salute di comunità nazionale, regionale e locale. Un adeguato rifinanziamento della sanità sarà possibile solo, come ha affermato Draghi nella sua prima conferenza stampa, in presenza di un piano di riforma e solo allora questa potrà essere sostenuta con un adeguato investimento in un rinnovato contesto europeo. Per esserlo, prioritariamente, deve essere (ri)costruita una funzione moderna di sanità pubblica con l’ambizione di farne il motore di un nuovo servizio sanitario nazionale. Essa si deve avvalere di tutte le competenze in primo luogo di sistema informativo, monitoraggio e sorveglianza e di quelle epidemiologiche presenti nei centri di ricerca e nelle Università, e porsi l’obiettivo di definire sostenibili obiettivi di salute nazionali e locali, definendo le linee per l’uso corretto della tecnologia biomedica. Nello stesso tempo la riforma potrà consentire di integrare la sanità con aspetti oggi trascurati come la prevenzione nell’era della transizione ecologica, la sicurezza delle cure e la long-term care, sfide inevitabili del nostro futuro.

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