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Malattie Trasmissibili - 12/01/2022 22:42
Non è nascondendo i dati che si risolve la pandemia
Qual è stata la "grande pensata" di alcuni noti infettivologi ed epidemiologi per risolvere i problemi della pandemia? Quella di eliminare la pubblicazione serale dei dati e tutt’al più di sostituirla con un report sintetico settimanale. L'11 gennaio Donato Greco, Matteo Bassetti e Pier Luigi Lopalco ne hanno parlato o scritto e si dice che anche il CTS sia dello stesso parere e che il Governo ci stia pensando.
Possiamo pensar male e possiamo pensar bene: vogliamo pensar bene, perché stimiamo questi amici o colleghi e non crediamo che ci siano ragioni poco chiare e poco pulite che possano averli indotti a fare questa proposta in modi e tempi coordinati.
Vogliamo pensar bene... occorre controllare la sovraesposizione mediatica
Volendo pensar bene la ragione principale che li ha mossi e che loro stessi dichiarano è la necessità di abbassare lo stato d'ansia collettiva che la sovraesposizione mediatica sta creando. Effettivamente in televisione, e anche in radio, possiamo quasi dire che non si parla d'altro. Tutti i talk show ripetono le stesse battaglie tra fautori ed oppositori dei vaccini, tra interpreti e divulgatori dell'andamento epidemico, tra minimalisti e catastrofisti.
Si deve però dire che questo proliferare di spettacoli sulla pandemia copre uno spazio comunicativo lasciato per troppo tempo vuoto da parte delle istituzioni sia nazionali che regionali. È pur vero che il sito del Ministero, quello dell'Istituto Superiore di Sanità e quello di molte Regioni hanno delle pagine, spesso anche ben fatte, che danno informazioni corrette sulla pandemia. Ma è un’estrema minoranza quella che accede a questi siti e né le radio né le televisioni hanno spazi istituzionali di comunicazione tranne qualche comparsata di sottosegretari e di assessori.
Il report settimanale del venerdì dell’ISS può essere molto utile per chi sa leggerlo, ma chi non è del mestiere fa veramente fatica a capirci qualcosa tra tabelle, grafici e testi non facili. Servirebbe un report per esempio bisettimanale semplice che faccia il punto della situazione in modo semplice, sintetico e comprensibile a tutti, magari con l’aggiunta dei consigli necessari per prevenire il contagio o per comportarsi nel modo corretto qualora accadesse.
La rivista Epidemiologia & Prevenzione e l'Associazione Italiana di Epidemiologia hanno predisposto un sistema di analisi dei dati che si chiama MADE (Monitoraggio ed Analisi dei Dati dell'Epidemia) che permette agli esperti di approfondire le analisi e ai meno esperti di leggere un report giornaliero semplice e immediato. Oltre a questo report l'AIE ogni lunedì diffonde un report con il punto della situazione epidemica. Questi strumenti fatti in modo totalmente volontario possono certamente essere migliorati, ma il vero problema è che quasi nessuna istituzione ha pensato di usufruirne e di divulgarli.
Vogliamo pensar bene... occorre che si evitino gli svarioni interpretativi
È vero che si sentono e si leggono commenti che se fossero risposte di studenti a un esame di salute pubblica non meriterebbero neppure il 18 e lo sarebbero rimandati all'appello successivo! Dopo due anni di epidemia, per esempio, diversi giornalisti, o che si dichiarano tali, non hanno ancora capito che i dati hanno una ciclicità settimanale che comporta che il lunedì il numero dei contagi è per lo più la metà di quello medio settimanale; e quindi ogni martedì si ascolta che c'è stata un’impennata di contagi.
Confrontano poi, per esempio, il numero di contagi con il numero dei decessi come se fossero eventi confrontabili in contemporaneità. I morti di Covid sono soggetti cui è stato diagnosticato il contagio diversi giorni prima, mediamente tre settimane. E quindi se si vuol stimare la percentuale di casi esitati in decesso bisogna utilizzare la frequenza dei positivi di tre settimane prima.
Molti pseudo-divulgatori non hanno ancora capito la differenza tra incidenza e prevalenza e quindi spesso confondono, per esempio, i nuovi casi di accesso alle terapie intensive con la differenza tra le prevalenze di due giornate successive.
A molti piace usare l'espressione "tasso di contagiosità" che sarebbe più corretto definire semplicemente “percentuale di positività dei test diagnostici”. Ma non è tanto questione di correttezza della definizione quanto, piuttosto, di significato dell'indice. L'indice registra per lo più la variabilità sia del numero sia dell’utilizzo dei tamponi: quando sono di meno significa che in proporzione sono di più i soggetti sintomatici e quindi l'indice cresce, quando sono di più è perchè molti hanno fatto il test per controllo senza un sospetto diagnostico vero, e quindi la percentuale di positività decresce.
Vogliamo pensar bene... forse non volevano soffocare la ricerca
Sottrarre i dati alla ricerca indipendente è un’operazione sbagliata e pericolosa. Forse chi vive nella turris eburnea di un comitato centrale non si capacita di quanti stiano utilizzando i dati forniti dalla Protezione Civile e dall'ISS per capire meglio tutto ciò che sta accadendo. La ricerca indipendente è essenziale perché garantisce non la verità, ma l'estraneità da logiche di mercato o da logiche politiche.
Allora i signori che hanno fatto la proposta ribattono: ma agli esperti si potranno continuare a dare i dati originali giornalieri. Ma chi sono gli esperti? Chi decide chi sono? Si accorgono che si rischia di definire esperti solo gli "esperti di regime", cioè quelli autorizzati ad avere i dati? E si rendono conto che se i dati vengono rilasciati qualcuno poi li fa ugualmente girare magari per ottenerne benefici?
Vogliamo pensar bene... ma si rendono conto dello scenario a cui si andrebbe incontro?
Se la conoscenza dei dati dà ansia, non pensano che l'assenza di dati creerebbe ancor più ansia e magari anche terrore? L'altro ieri c'erano duecentomila casi... quanti ce ne saranno tra cinque giorni? E se ieri non conoscevo nessun positivo e oggi ne ho scoperti tre nella mia cerchia di amici mi verrà di pensare che i casi si siano almeno triplicati. Senza dati le sensazioni, le paure, i dubbi produrranno mille fantasie anche cause di allarmi sociali. Se oggi le fake news sono numerose domani senza dati diventerebbero molte di più.
Ma la preoccupazione maggiore è perdere quel clima di trasparenza e di accesso ai dati di salute pubblica che solo l'epidemia, per la sua gravità, ha permesso di avere; la proposta in discussione, invece, ci imporrebbe di accontentarci di alcune "tabelle di regime" in un clima di "démocratie octroyé".
In sanità la trasparenza dei dati è una componente della democrazia ben più rilevante dello stesso rispetto della privacy; questo è una difesa del singolo, quella è una difesa della società dall'eventuale arroganza e dalla possibile manipolazione del potere.
Vogliamo pensar bene... facciamo insieme ciò che serve veramente
Quindi auspichiamo che quelle di questi giorni siano state delle uscite maldestre fatte però con buone intenzioni e che quindi rientreranno e si dimenticheranno. Ma non perdiamo l'occasione invece per capire che c'è bisogno di una comunicazione istituzionale ben fatta accanto anche ad una comunicazione indipendente che dia garanzia di correttezza e di assenza di conflitti di interessi politici od economici.
Credo che le società scientifiche di sanità pubblica, e l'AIE in particolare, possano offrire la propria collaborazione in tal senso; collaborazione che non deve essere vissuta come monopolio accademico ma come occasione di confronto basato su competenza e approfondimenti scientifici. Tutti noi vogliamo aiutare la gente a capire bene e correttamente tutto ciò che sta succedendo perché siamo convinti che l'unico modo per controllare l'ansia sia quello di avere reale consapevolezza dei fatti e delle possibilità per affrontare al meglio la situazione pandemica.
Commenti: 4
3.
un cambio di strategia però occorre inizare a immaginarlo
Fatto salvo il principio della trasparenza dei dati, penso che tutti dovremo sperare che a un certo punto i dati descrittivi macro non servano più.
Questa pandemia difficilmente finirà perché cesserà la trasmissione interindividuale del Coronavirus Sars2, ma più probabilmente perché si raggiungerà (e si “accetterà “) una endemizzazione.
Per questo, come in altri interventi, invito i colleghi epidemiologi che lavorano sui dati Covid a spostare l’attenzione e gli sforzi verso un calcolo non distorto della letalità.
Che dunque contempli al numeratore i decessi in cui la Covid abbia un ruolo causale o concausale e al denominatore una stima dei contagiati (e non il computo dei positivi da tampone che potrebbe essere, con una variante diffusiva come Omicron di un ordine di grandezza più basso).
Mi preoccuperei anche di discriminare i soggetti ricoverati per sintomi covid da quelli che sono ricoverati per altro e sono positivi (e questa richiesta sta arrivando ormai da più parti e il report FIASO è un inizio, ma dovrebbe diventare una cosa sistematica. Anche perché, aggiungo, è in realtà la scoperta di una cosa già pienamente immaginabile, se non nota).
Stessa cosa per i deceduti, come già detto a proposito della letalità: discriminare i decessi in cui il Covid è stato una causa o anche solo una concausa da quelli per altre cause con positività per Coronavirus (la variante Omicron amplifica questa distorsione rispetto alle varianti precedenti proprio per la sua altissima contagiosità). Certo l’ISTAT ha dato direttive in merito, ma come sappiamo i dati istat sono prodotti con un lag temporale di anni e non hanno la stessa risonanza mediatica dei dati giornalieri.
Poi andrebbero eseguiti test sulle varianti almeno per i ricoverati in terapia intensiva e su campioni rappresentativi dei ricoverati. Delta non è Alfa, Omicron non è Delta. Sarebbe anche utile capire l'effetto di Omicron sulla ormai esigua quota di non vaccinati: è meno letale anche per loro? quanto?
Per quanto difficile, uno sforzo in questo senso è a mio avviso doveroso proprio per una questione di trasparenza, perché i numeri da soli non parlano.
Questa naturalmente è la mia personalissima opinione.
Saluti
Francesco Cuccaro, epidemiologo
francescocuccaroepi@gmail.com
2.
Si parla di promuovere la consapevolezza dei singoli e poi si tacciono i dati?
La proposta di ridurre "le uscite" dei dati sulla pandemia, da quotidiani come sono ora a settimanali o peggio bisettimanali mi sembra un errore per diversi motivi, oltre a quelli già espressi chiaramente da Cislaghi.
Da un punto di visto puramente tecnico-orgazzativo, la scadenza quotidiana dei dati sintetici e quella settimanale, dei dati più completi, impone a tutti di rispettare, nei limiti del possibile, i tempi in cui registrare le informazioni. I dati sono così sotto gli occhi di tutti e carenze e problemi nel flusso possono venire identificati rapidamente. E' strano che a fronte di molti problemi non si invochi un miglioramento dell'intero sistema di raccolta e trasmissione dei dati (spesso in larga misura ancora manuale) rendendolo il più automatico possibile, ma si decida che tutto sommato si può rinunciare a pezzi di informazione.
Dal punto di vista dei singoli cittadini, l'informazione regolare e tempestiva sul numero di nuove infezioni diagnosticate, è la base per la consapevolezza dei rischi che si corrono ad acquisire l'infezione e quindi l'elemento fonadmentale su cui basare le nostre scelte quotidiane: mettere la mascherina, andare a vaccinarsi, evitare le situazioni di maggiore contatto con tante persone, etc. E non è vero che la conoscenza del numero di infezione sia irrilevante, perchè è sempre predittiva dei casi severi e dei decessi, anche se in proporzione molto minore.
Se la motivazione per questa proposta è che i dati quotidiani "mettono in ansia" il pubblico generale allora la soluzione non è non dare i dati, ma darne di più, per permettere a tutti di capire meglio e fare i distinguo che servono.
In UK, in Francia, in Germania vengono pubblicati bollettini quotidiani molto più dettagliati della spartana tabella in pdf che circola in Italia, perchè noi dovremmo essere trattati alla stregua di cavalli con il paraocchi per non farci preoccupare?
1.
dati spesso inaccessibili , ma questo non riguarda solo la pandemia
l'accesso ai dati è problema generale che non rigurda solo la pandemia ;
e c'è anche un problema di attendibilità dei pochi dati magnanimamente dispensati dalle istituzioni; qualche volta i dati non sono divulgabili in quanto non esistono;
tempo fa in un webinar ho sentito che alla data x gli effetti collaterali dei vaccini risultavano in Veneto il doppio ripetto alla Lombardia con una popolazione in Lombardia doppia rispetto al Veneto;
possiamo ritenere credibile la raccolta dei dati ?
epidemiologia e prevenzione e l'Aie rappresentano una rara "lanterna" che si aggira nella grotta di Polifemo...
Mentre qui occorre una riforma dei canali di accesso ai dati il parlamento europeo vagheggia circa un "diritto alla conoscenza" che dovrebbe comportare un ruolo attivo delle istituzioni nella diffusune dei dti mentre in verità qui devi chiedere 10 volte per non ricevere nulla...
un sistema autoritario ha bisogno di una condizione che facilita la obbedienza .
VitoTotire
4.
Morti covid per milione di abitanti
Più che un commento, volevo porre un quesito. Perchè il nostro paese pur essendo uno dei paesi con il più alto tasso di vaccinati continua ad avere uno delle più alte percentuali, tra paesi industrializzati, dei morti covid per milione di abitanti?