Negli ultimi tempi, ma forse anche prima, nella lotta al virus c'è stata un po' di miopia nella scelta e nell'uso degli indicatori che permettessero di elaborare un quadro utile dello sviluppo epidemico.

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La miopia, che viene come sopra definita in Internet, è l'incapacità di vedere con nitidezza ciò che ci sta lontano nello spazio e, per analogia, anche nel tempo. E questo può essere un difetto non di poco conto quando si scelgono degli indicatori di monitoraggio epidemiologico.

I tempi tra eventi e indicatori

Gli indicatori epidemiologici devono descrivere con la maggior chiarezza possibile la complessità della situazione ma soprattutto devono consentire di fornire le informazioni necessarie per scegliere tempestivamente le misure di contenimento dell'infezione nella comunità. In altre parole occorre poter disporre di indicatori capaci più di segnalare dei rischi futuri che dei danni passati.

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Quindi nella scelta degli indici di monitoraggio ci si dovrà preoccupare di valutare ciò che permette di ottenere i maggiori effetti di contenimento sapendo che i tempi tra l'attivazione di misure preventive e i loro effetti passano vari giorni, in genere due o tre volte i tempi di generazione dei contagi, quindi dai 14 a 21 giorni. Questo è quanto si è osservato introducendo sia delle misure importanti come il lockdown o il coprifuoco sia delle misure meno drastiche come la chiusura di specifiche e limitate attività. Ci sono purtroppo anche i tempi politico-burocratici di elaborazione delle decisioni che possono durare talvolta anche diversi giorni, anche più di una settimana, a seconda del tipo di provvedimento come, ad esempio,  per la chiusura di attività che utilizzano materiali deperibili cui viene concesso il periodo necessario allo smaltimento degli stessi.

È allora molto importante che si riesca ad anticipare il più possibile l'acquisizione dei segnali che indicano la necessità di predisporre misure capaci di ottenere un contenimento dello sviluppo dell'epidemia. Gli indicatori devono quindi possedere un livello sufficiente di sensibilità, di specificità e soprattutto di tempestività. Un indicatore altamente sensibile e specifico, ma disponibile solo con molto ritardo può risultare del tutto inadeguato e meno efficiente di un indicatore di qualità inferiore ma molto più tempestivo.

Incidenze e prevalenze

Gli indici costruiti su dati di incidenza anticipano il segnale di crescita rispetto agli indici di prevalenza. Nelle figure che seguono i dati si riferiscono ai contagi e ai ricoveri in terapia intensiva. Per rendere paragonabili i due andamenti, i dati rispettivi sono stati divisi per il valore medio dell'intero periodo.

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Si osservi in particolare che quando l'incidenza già diminuisce, la prevalenza inizialmente continua a crescere e viceversa diminuisce ancora quando l'incidenza incomincia a salire, e succede così per la differenza di input e di output di casi nella prevalenza . Questo significa che il prendere decisioni su dati di prevalenza può far ritardare di diversi giorni l'effetto delle misure che si intendono introdurre.

Data inizio sintomi e data diagnosi

Se si osservano le distribuzione delle frequenze per data diagnosi e data inizio sintomi non si vedono grandi differenze nelle forme degli andamenti anche se il valore delle frequenze è differente in quanto i soggetti positivi asintomatici, evidentemente, sono conteggiati solo nelle frequenze per diagnosi. L'altra differenza è il leggero sfasamento tra le due curve dato che mediamente tra inizio sintomi e diagnosi passano circa cinque giornate.

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Ma se si osservano i dati come vengono rilasciati il 30 luglio ci si accorge che mentre nel grafico per data diagnosi già si intravvede l'inizio di una quarta ondata, nulla si percepisce nel grafico per data di inizio sintomi. La ragione sta nel fatto che affinché si completino le frequenze per data di inizio sintomi occorre aspettare diversi giorni in quanto la diagnosi di positività, anche se in media avviene entro cinque giorni dall'inizio dei sintomi, in diversi casi avviene giorni dopo e per avere il quadro quasi completo si deve perciò aspettare.

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Se si calcola la percentuale dei casi segnalati per data inizio sintomi si osserva che sino a metà giugno questa era costante e si aggirava attorno al 50% per poi avere un'impennata e subito dopo un crollo. La ragione della crescita è di difficile spiegazione e la si potrebbe forse attribuire alla diminuzione della proporzione di soggetti asintomatici, ma il crollo che meglio si vede nel grafico di destra è dovuto all'assenza dei casi che non sono ancora registrati perché anche se già mostrano dei sintomi chiederanno di essere diagnosticati solo oltre tale data. Per questa ragione per avere dati "completi" per data inizio sintomi si devono aspettare varie giornate e quindi qualsiasi indice, come l'indice Rt, calcolato sui dati inizio sintomi è in ritardo rispetto agli indici simili, come l'RDt, calcolato invece sulla data diagnosi.

Positività e ospedalizzazione

L'incidenza di nuovi contagi ha avuto quasi sempre lo stesso andamento degli ingressi in ospedale dovuti a patologie correlate a Covid-19.

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Come si può vedere nel grafico di destra la percentuale di ricoverati è stata costantemente attorno all'8% e solo da fine giugno la percentuale è crollata dimezzandosi. È curioso che questo sia avvenuto proprio contestualmente al cambio degli indicatori scelti per  determinare le fasce di "colore" delle Regioni. Sicuramente sia la minor età dei positivi sia la presenza di molti positivi già vaccinati ha portato a una diminuzione della gravità degli esiti dei contagi e quindi anche del bisogno di assistenza ospedaliera.

In ogni caso è opportuno che l'indice di ospedalizzazione rientri negli indici utili per descrivere la situazione epidemica, ma è pur sempre l'incidenza dei contagi l'indice che determina maggiormente il tasso di ricovero.

Occupazione posti letto

L'indice che ultimamente è stato adottato per decidere le eventuali misure di contenimento che una Regione deve adottare è la percentuale di occupazione dei posti letto da parte di malati positivi al Covid-19 in area medica e in area critica.

Si comprendono le motivazioni che hanno portato a questa scelta e che intendono valutare la sostenibilità del sistema ospedaliera, ma è molto opinabile che si debba intervenire in una Regione principalmente solo per questo motivo. Oltre tutto l'occupazione dei posti letto è un indice di prevalenza e quindi, come già detto, tutt'altro che tempestivo rispetto all'opportunità di intervento.

Troppo facilmente questo indicatore può poi essere manipolato modificando la disponibilità, magari anche solo nominale, di posti letto e la prevalenza può essere modificata anche artatamente dalla riduzione non appropriata della degenza o addirittura da un numero eccessivo di decessi.

Qual è l'indice più tempestivo?

Sono molti gli indici che si possono calcolare e che riguardano dati sia di incidenza sia di prevalenza relativi alle diagnosi di positività, ai ricoveri in area medica o in area critica e ai decessi. Se si osservano gli andamenti da inizio giugno al 22 agosto tra questi indicatori si osservano per lo più dei trend simili, ma non del tutto uguali.

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I dati di incidenza risentono della variabilità dovuta al ciclo settimanale e comunque difficilmente si riesce così a confrontarli. Per poterlo fare una soluzione consiste nel trasformarli nei loro "zeta" (calcolando il valore meno la loro media del periodo e dividendoli per la loro deviazione standard del periodo) e poi calcolare le medie mobili settimanali degli zeta in modo da eliminare la ciclicità settimanale.

Il risultato è quello del grafico seguente cui si è aggiunta anche la media mobile dello zeta dell'indice RDt, l'indice di replicazione diagnostica che coglie l'accelerazione nelle variazioni delle velocità di sviluppo dei casi di contagio diagnosticati.

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Osservando le date in cui l'andamento di ciascun indicatore ha cominciato a crescere si evidenzia il grande anticipo dell'indice RDt che già aumentava il 19 giugno mentre le prevalenze ospedaliere aumentavano molto dopo di oltre tre settimane.

Correggiamo la miopia

È allora giusto chiederci a che serve un monitoraggio! Non crediamo debba servire per capire il momento in cui il danno creato dal virus è eccessivo, bensì segnalare quando si osserva il rischio di crescita e si è ancora in tempo per cercare di arginarlo con misure di contenimento. Anticipare di tre settimane il segnale di rischio è sicuramente un modo per curare la miopia di un sistema di monitoraggio che si dimostra molto carente in tempestività.

Va da sé che tutti gli indicatori, nessuno escluso, devono essere analizzati congiuntamente dato che ciascuno dà un contributo importante alla comprensione dell'andamento epidemico, ma è sui segnali che garantiscono la maggior tempestività che è necessario che si faccia affidamento.

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