I termini delle riflessioni di questi ultimi giorni sull'impatto del Covid-19 può essere riassunto nella frase a titolo di questo post: è ancora una grave pandemia o si avvia a diventare una semplice influenza? Il mantra in circolazione è che tutto ciò che sta succedendo lo si debba attribuire alla variante Omicron che, si dice, è molto più contagiosa ma anche meno virulenta.

E allora ci si deve chiedere se ciò sia provato e documentato. Di sicuro i contagi si sono diffusi da metà dicembre in poi ad una velocità che mai prima d'ora si era osservata; questo è l'andamento delle nuove diagnosi giornaliere e delle loro medie settimanali:

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In cinque settimane in Italia i contagi sono aumentati di dieci volte e nelle ultime due in soli sette giorni sono raddoppiati, ma nelle Regioni gli incrementi sono stati molto diversi.

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Ci sono infatti Regioni che sono cresciute poco ed altre invece che hanno raggiunto un incremento addirittura superiore di venticinque volte. E c'è quindi da chiedersi se questi diversi incrementi, al di là della possibile casualità, siano dovuti ad una diversa presenza della variante Omicron o da diversi comportamenti sociali. E' allora del tutto legittimo sospettare che, sebbene la variante Omicron debba aver sicuramente determinato parte dell'aumento della contagiosità, non basti però a spiegare tutta la crescita e la variabilità tra le Regioni.

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E forse bisognerebbe anche capire come mai l'intensità della crescita sia aumentata sino a fine anno per poi decelerare, mantenendo sempre valori elevati dell'indice RDt, ma non superiori a 2,5. Non essendo intervenute nuove e più efficaci misure di contenimento, perché la variante Omicron, se fosse l'unico determinante della crescita, non ha continuato a produrre una crescita con la stessa ragione moltiplicativa? Se a inizio dicembre, per ogni contagiato dopo una settimana, ce n'era un altro nuovo, a Capodanno invece ce ne sono stati addirittura quasi tre e all'Epifania però di nuovo quasi la metà. Sarebbe veramente un virus strano, se fosse lui l'unico determinante di questo saliscendi delle crescite.

Ci si permetta anche di osservare che assegnare alla variante Omicron tutto il ruolo di moltiplicatore dei contagi può diventare una facile scusante per non essere riusciti a contenere l'epidemia. Quando già si parlava di variante Omicron in Sud Africa e si osservavano crescite importanti di contagi in molti paesi a noi confinanti, noi ci beavamo dei complimenti che ricevevamo per aver meno casi di altri e non provvedevamo invece a proteggerci perché l'epidemia non dilagasse ancor di più anche tra di noi. Ricordiamo solo la fine dello smart working, la riapertura delle discoteche, gli stadi al completo di spettatori, ecc. Forse sarebbe bene chiedersi se le scelte fatte non siano state una delle cause e se la popolazione non sia stata indotta a ritenere di poter fare molte cose che forse erano da evitare.

Ma tutto ciò potrebbe anche non rappresentare un grave problema, se effettivamente i nuovi contagi non esitassero, come prima, in stati patologici severi. E quindi sono due le valutazioni che occorre fare: la prima è se l'aumento di casi positivi sia un vero aumento di contagi o, almeno in parte, un solo aumento di diagnosi derivante da una crescita dei ricorsi ai test antigenici anche da parte di soggetti asintomatici; la seconda riguarda la percentuale di positivi che necessitano di cure ospedaliere a bassa e ad alta intensità o che purtroppo muoiono.

Il numero dei test diagnostici effettuato è aumentato progressivamente da inizio gennaio sino all'Epifania per poi accennare a diminuire:

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e non c'è stata una preferenza di tamponi molecolari o antigenici che infatti sono aumentati nella stessa proporzione pur essendo più numerosi gli antigenici.

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Diversa invece è stata la percentuale di test risultati positivi. Nei primi sette giorni di  dicembre i test positivi sono stati il 7,8% tra i molecolari e lo 0,5% negli antigenici (cioè quattordici volte di meno dei molecolari). Nei primi sette giorni di gennaio, invece, i molecolari positivi sono stati il 26,1% e gli antigenici l'11,9% (cioè poco più della metà dei molecolari). Si può quindi constatare come ci sia stato non solo un aumento dei test ma anche un aumento delle percentuali di positività, e questo aumento è risultato molto maggiore nei test antigenici che sono i test preferibilmente scelti a scopo di controllo senza eccessivi precedenti sospetti di essere positivi.

Infatti, utilizzando i dati relativi allo stato clinico dei positivi disponibili sul sito Epicentro dell'ISS, e calcolando la differenza delle frequenze cumulative tra la domenica 12 dicembre e il sabato 11 dicembre, e tra la domenica 9 gennaio e il sabato 8 gennaio, si può ricavare il grafico con le percentuali dei positivi a seconda della loro situazione clinica. Il 9 gennaio gli asintomatici erano il 71,63% mentre il 12 dicembre erano il 33,82%, cioè la metà!

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Questi dati avvalorano l'ipotesi che sia cresciuto il ricorso ai test antigenici da parte di molti asintomatici e che quindi tra costoro sono stati diagnosticati diversi soggetti positivi che in altri tempi non sarebbero emersi. Questo è quindi uno dei motivi per cui la gravità conseguente ai contagi diagnosticati appare diminuita.

La gravità dei contagi può essere però direttamente indagata calcolando la percentuale dei positivi che necessitano di cure ospedaliere, oppure che vengono ricoverati in terapia intensiva o che purtroppo decedono.

Riguardo ai ricoveri ospedalieri complessivi non sono disponibili i dati degli accessi ma solo quelli dell'occupazione di posti letto, cioè non l'incidenza ma solo la prevalenza puntuale. Per questo motivo può essere ugualmente utile confrontare quanti dei soggetti positivi prevalenti siano giornalmente ricoverati.

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All'inizio di dicembre era ricoverato il 3% di tutti i positivi attivi prevalenti; al 9 gennaio questi erano meno dell'1%, cioè si erano ridotti di due terzi.

Sui valori di incidenza, invece, si possono fare due diversi calcoli, tenendo però presente che si è necessario confrontare soggetti con una stessa data di diagnosi, per lo meno stimata in media. Si è ritenuto così di considerare una latenza di 10 giorni tra diagnosi e accessi alle terapie intensive e di 21 giorni tra diagnosi e decessi. Il primo grafico di sinistra presenta l'indice di incremento dei casi dal primo dicembre in poi presentato con l'ordinata in scala logaritmica e si osserva molto chiaramente come dopo il 15 dicembre gli sviluppi si siano nettamente diversificati.

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Il grafico di destra mostra l'andamento della percentuale di accessi alla terapia intensiva e la percentuale di decessi, cioè la stima della letalità. La prima è passata dallo 0,5% allo 0,2% mentre la letalità è scesa dall'1% allo 0,9% che però si può osservare solo in relazione ai positivi diagnosticati sino a metà dicembre.

Allora possiamo dire che la pandemia è diventata un semplice raffreddore? No di certo, possiamo solo affermare che, grazie soprattutto ai vaccini, la frequenza degli esiti gravi sia diminuita e riguardi per lo più i non vaccinati, come ci riporta una tabella dell'ultimo report esteso del 5 gennaio dell'ISS che qui di seguito riproduciamo.

Ma consideriamo che se anche la letalità scendesse allo 0,5% e gli accessi in terapia intensiva allo 0,2%, e se i casi di positività crescessero sino a 500.000 al giorno, ipotesi non del tutto impossibile, i decessi sarebbero 2.500 al giorno e gli accessi in terapia intensiva 1000 e, considerando una degenza media di venti giorni, si avrebbe una presenza di 20.000 malati gravi con la necessità di essere ricoverati  in terapia intensiva e questa situazione sicuramente non sarebbe sostenibile con le strutture esistenti.

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Conclusione

Si faccia molta attenzione a ragionare solo sui casi odierni di accessi e di decessi, perché non è credibile che questi abbiano una percentuale molto inferiore all'attuale rispetto ai casi positivi. Con l’attuale velocità di crescita, o anche inferiore, i casi potrebbero raddoppiare ogni sette giorni e se questa settimana sono 150.000 la prossima diverrebbero 300.000 e quella successiva non abbiamo neppure il coraggio di indicarlo. Speriamo che l'indice di sviluppo scenda stabilmente sotto al valore 2 e quindi che i contagi non aumentino così tanto, ma è questi che si devono tenere sotto controllo cercando di contenerli, perché poi gli esiti gravi difficilmente possono essere ridotti a meno che si trovino finalmente delle terapie realmente efficaci, però di questo a breve non c'è speranza.

Quindi non diciamo, per favore, che sia meglio non parlare più ogni sera del numero dei contagiati ma sia più opportuno comunicare solo il numero dei ricoverati: se questi crescessero molto diventerebbero insostenibili per il servizio sanitario e così avremmo perso giorni preziosi per cercare di contenerli. La prevenzione può, anzi deve, essere fatta sui contagi e non sui ricoveri, e quindi non beiamoci del fatto che molti contagiati hanno pochi sintomi talvolta simili a quelli di una normale influenza! Il Sars-Cov-2 rimane purtroppo sempre capace di trasformare semplici sintomatologie in gravi e letali patologie.

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