Ormai tutti stanno dicendo la loro sui dati dell'epidemia da Covid-19. La Protezione civile dà i dati aggregati ogni sera, l'Istituto Superiore di Sanità dà i dati del sistema di sorveglianza ogni giorno e ogni settimana pubblica un Report che purtroppo arriva prima sui giornali che in Internet, le televisioni e le radio danno i numeri e gettano lì delle interpretazioni, gli esperti fanno commenti spesso tra loro contradditori; in conclusione la gente ci capisce sempre di meno!

A inizio marzo c'era chi rassicurava su una continua e felice decrescita dei contagi e chi invece incominciava a osservare che c'erano segnali preoccupanti e consistenti di ripresa dell'epidemia. Spesso però le analisi sono poco corrette, ad esempio si vedono commentare le variazioni tra dati giornalieri come se fossero differenze di tendenza e così succede che se il lunedì ci sono meno casi della domenica e la domenica meno decessi del sabato si parla subito di abbassamento dell'epidemia per poi, nei giorni successivi, affermare il contrario quando le differenze si invertono. Sono ormai da più di cento settimane che si fanno commenti e ancora molte sono le inesattezze e le banalità che continuano ad essere diffuse sull'andamento dell'epidemia..

Dati giornalieri o dati settimanali?

Un primo aspetto che sovente viene del tutto ignorato è quello della ciclicità intra settimanale delle diagnosi. Infatti si osserva costantemente un valore minimo il lunedì causato dal minor numero di test diagnostici durante i fine settimana, cui segue poi un massimo il martedì per i più numerosi test effettuati il lunedì. La proporzione delle diverse motivazioni per cui vengono richiesti i test varia tra i giorni della settimana e nel tempo. Da una parte ci sono i sintomatici che hanno un dubbio diagnostico e quindi cercano di eseguire un test anche di domenica, dall'altra gli asintomatici, contagiati o non contagiati, lo richiedono solo per motivi di controllo e quindi si rivolgono per lo più alle farmacie che alla domenica sono prevalentemente chiuse. E' quindi evidente che non si può considerare come diminuzione della diffusione del virus la differenza di diagnosi tra il lunedì e la domenica o un aumento la differenza tra il martedì e il lunedì.

0q1-fig-1-che-non-va.png

 

Ma allora che fare? si osservino ad esempio le frequenze tra il 18 febbraio ed il 10 marzo. Guardando i valori giornalieri non si riesce subito a capire se i contagi stiano crescendo o diminuendo dato che la componente ciclica è dominante.

02-fig-2-che-non-ve.png
03-fig-3-che-non-va.png

Una modalità di analisi spesso presentata è quella di calcolare delle medie settimanali, ad esempio centrate sulle giornate del venerdì. Così facendo si sarebbe in questo caso portati a dire che nelle ultime settimane i casi sono diminuiti, anche se la diminuzione ha rallentato.

Ma un altro modo, sicuramente più corretto, è quello del calcolo delle media dei sette giorni precedenti ad ogni giorno trasformando l'andamento dei casi osservati in quello delle loro medie mobili settimanali. In questo modo, diventa evidente che, dal 1° di marzo, i contagi non sono più diminuiti ma, anzi, hanno ricominciato a crescere.

04-fig-4-che-non-va.png
05-fig-5-che-non-va.png

L'indice di positività

Un indice molto commentato dai media è l'indice di positività calcolato come percentuale di esiti positivi tra i tamponi effettuati. Se i test fossero rappresentativi dell'intera popolazione questo indice direbbe quanti sono attualmente i positivi, cioè la prevalenza di contagiati. Purtroppo invece coloro che richiedono un test non sono né rappresentativi della popolazione né rimangono costanti nel tempo.

06-fig-6-che-non-va.png
07-fig-7-che-non-va.png
08-fig-8-che-non-va.png

Sia il numero di tamponi effettuato che il numero di diagnosi positive mostrano un chiaro andamento ciclico intra settimanale, che risulta tra di loro molto associato. L'indice di positività, cioè il rapporto tra diagnosi positive e test, ha un andamento che sicuramente risente della diffusione del virus, ma anche della quantità e della tipologia dei test effettuati.

09-fig-9-che-non-va.png
10-fig-10-che-non-va.png

La percentuale di test molecolari sul totale dei test è in forte diminuzione mentre ultimamente le diagnosi positive hanno origine da una percentuale costante dei tipi di test. L'indice di positività risulta in diminuzione per i test molecolari mentre rimane quasi costante per gli antigenici: nell'ultima settimana sono però entrambi aumentati.

In conclusione, non si deve interpretare automaticamente l'indice di positività globale ai test come una misura della diffusione della circolazione del virus, senza considerarne il volume e la proporzione tra i differenti tipi.

Attenzione alla data dell'indice di trasmissibilità

Un altro punto dove sono possibili delle erronee interpretazioni è quello che riguarda l'indice Rt di trasmissibilità del virus. Questo indice è costruito considerando le date dell'inizio dei sintomi dei contagiati. Per questo motivo, come peraltro viene chiaramente indicato nei Report dell'ISS, esso si riferisce ad una situazione di circa due settimane precedenti rispetto al momento in cui viene calcolato.

Nel Report Settimanale n° 95 dell'ISS pubblicato il 9 marzo si dice infatti:

"Nel periodo 16 febbraio 2022 – 1 marzo 2022, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 0,83 (range 0,73 – 0,95), in aumento rispetto alla settimana precedente e al di sotto della soglia epidemica"

Non si confonda quindi questo indice con l'indice RDt che chiamiamo "indice di replicazione diagnostica" che calcola l'incremento quotidiano dell'incidenza sulla base dei sette giorni.

11-fig-11-che-non-va.png

 

I due indici assumono valori simili ma come si vede l'RDt anticipa di quasi due settimane le indicazioni che derivano dall'Rt. Nel Report settimanale ISS n°95 del 9 marzo viene dato un valore Rt pari a 0,83 che corrisponde al valore dell'RDt del 25 febbraio.

Si consideri perciò che i due indici, seppur dicono cose simili, sono differenti e se si vuole avere una indicazione tempestiva di quanto stia accelerando o decelerando la circolazione del virus, l'indice RDt dà sicuramente una indicazione più utile.

Incidenza e prevalenza di ricoveri

Uno dei problemi maggiori creati dall'epidemia è l'affollamento ospedaliero con rischi di saturazione, tanto è che nei parametri per definire i "colori" delle Regioni c'è sia l'occupazione di posti letto in area medica sia quelli in terapia intensiva.

Quando la tendenza dei contagi passa da una fase di decrescita ad una fase di crescita ed i ricoveri sono una proporzione stabile dei contagi, si può arrivare a credere che la occupazione di posti letto decresca e questo venga interpretato come minor gravità dei contagiati.

In verità quando si passa da una decrescita alla crescita, le ammissioni ospedaliere aumentano dopo tanti giorni dopo quanto è il tempo medio tra il contagio e il peggioramento clinico che richiede il ricovero. Ma se la durata dei ricoveri è costante nel tempo, il trend delle dimissioni sarà uguale a quello delle ammissioni e traslato in avanti di tanti giorni quanti sono quelli della degenza media.

Che succede allora nell'occupazione di posti letto? succede che quando le ammissioni sono al minimo le dimissioni saranno ancora numerose per cui l'occupazione diminuirà nonostante le ammissioni stiano crescendo. I due grafici seguenti spiegano questa situazione.

12-fig-12-che-non-va.png
13-fig-13-che-non-va.png

Quindi la decrescita dell'occupazione di posti letto durerà qualche giorno in più rispetto all'inversione di tendenza, ma presto si adeguerà anch'essa a salire. Quindi sarebbe necessario evitare di commentare l'andamento dell'occupazione di posti letto senza esaminare congiuntamente l'andamento delle nuove ammissioni

Mortalità e letalità

Anche l'esame dei decessi non deve essere analizzato solo come andamento della mortalità, cioè del rapporto tra decessi e popolazione, ma anche come andamento della letalità, cioè del rapporto tra decessi e soggetti contagiatisi contemporaneamente ad essi.

Esaminando i decessi dal 1° gennaio, e in particolare dall'inizio di marzo, si hanno i seguenti andamenti, che potrebbero portare a ritenere che la mortalità stia calando:

14-fig-14-che-non-va.png

 

Se si considerano i contagi, il loro andamento è il seguente:

15-fig-15-che-non-va.png

 

Considerando che, mediamente, i decessi sono riferiti a casi diagnosticati tre settimane prima, si riportano i decessi ai contagi che hanno la stessa data di diagnosi, ottenendo la seguente stima della letalità che non sembra decrescere ma semmai tendere a salire:

16-fig-16-che-non-va.png

 

Quindi si eviti di considerare l'aumento o la diminuzione dei decessi come indice dell'andamento dell'epidemia, ma si riportino i dati dei decessi a quelli dei contagiati con la stessa data di diagnosi per valutare la letalità della malattia.

Ma i dati di oggi che quadro ci mostrano?

Tutti i grafici qui mostrati ci disegnano un quadro relativo agli eventi osservati, ma quando si sono prodotti questi eventi? La mortalità di oggi, si è detto, riguarda i soggetti diagnosticati tre settimane prima, ma il loro contagio è almeno di almeno quattro settimane prima e si può ritenere che siano stati contagiati a loro volta da soggetti probabilmente contagiatisi cinque o sei settimane fa. Quindi se si vogliono predisporre delle misure preventive si deve considerare che, agendo oggi, si riuscirebbe forse a limitare le mortalità futura ma non prima di un mese e mezzo.

Questi tempi molto lunghi tra predisposizione di misure preventive ed il loro effetto rende ancora più importante poter per lo meno avere un monitoraggio molto tempestivo, altrimenti - se il quadro odierno lo si potrà leggere tra due settimane - allora tra la predisposizione di misure restrittive e il loro effetto passeranno non meno di due mesi.

Insomma, per prevenire si cerchi di anticipare le misure precauzionali quando i primi segnali permettono di ipotizzare che stiano per manifestarsi nuovamente degli eventi che invece si sperava fossero in via di esaurimento.

       Visite