Se da qualche settimana si leggono i giornali o si guardano i talk televisivi non è più il vecchio Covid-19, che da mesi conosciamo, ma sono le sue varianti a far paura e ad essere le responsabili di tutto ciò che sta capitando.

C’è la terza ondata? Non sono le scelte troppo ottimiste di apertura delle Regioni ad inizio febbraio, la colpa è delle varianti. Aumentano in decessi? Non è che la letalità la si deve misurare in relazione ai positivi di almeno due settimane prima, sono le varianti più letali. Ci sono casi di vaccinati che si infettano? Non è l’efficacia del vaccino che non è totale, la colpa è delle varianti. Si osservano più ragazzi positivi al test? Non è che il loro numero cresce come per le altre età, sono le varianti che colpiscono più i giovani. 

Forse se le varianti avessero un avvocato farebbero querela a molti media e forse riuscirebbero pure ad ottenere un risarcimento per danno d’immagine; certo sarebbe finalmente un interessante contradditorio tra virologi, epidemiologi e clinici che purtroppo manca in questi giorni. La letteratura è piena di articoli sull’argomento ma rispetto alla situazione che si osserva in Italia la loro trasferibilità non sembra del tutto convincente almeno nella rilevanza che gli si attribuisce.

In mancanza nel nostro paese di analisi epidemiologiche convincenti, accetto “gratuitamente” di far l’”avvocato d’ufficio delle varianti” sicuro che in tal modo l’accusa si sentirà costretta a produrre evidenze più convincenti.

Primo capo d’accusa: le varianti sono più letali

Analizzare la letalità non è operazione semplice e del tutto convincente quando non si hanno i dati dei singoli individui in modo da poterli seguire per un congruo periodo e determinarne il loro decesso o la loro sopravvivenza. Una modalità per stimarne la misura è quella che abbiamo proposto ed inserito nel sistema MADE: si studia innanzitutto qual è la più probabile latenza media tra l’esito positivo dei test ed il decesso. L’ISS afferma che sia di 12 giorni, le nostre analisi di cross-correlazione ci indicano similmente 13 giorni e questa è latenza che usiamo.

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L’andamento del rapporto tra la frequenza di decessi e la frequenza di nuovi contagi di tredici giorni prima è il seguente: all’inizio di novembre era attorno al 2% per poi crescere sino ad un picco del 3,5% a inizio gennaio (casi contagiatisi durante le feste natalizie) per poi discendere e ritornare a fine marzo ancora al 2%. Non sembra che si possa dire che le varianti siano oggi sparite e neppure che la decrescita sia dovuta solamente ad una maggiore percentuale, tra i nuovi positivi, di casi clinicamente meno gravi, dovuta ad una maggior diffusione dei test antigenici anche a soggetti asintomatici.

Secondo capo d’accusa: le varianti contagiano maggiormente bimbi e ragazzi.

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L’AIE raccoglie e pubblica i dati dell’incidenza per covid-19 relativi a 13 Regioni che hanno dato la loro collaborazione. 
Studiando l’andamento dell’indice di replicazione diagnostica (RDt) per classe di età si osserva che lo sviluppo dei casi nelle classi più giovani non differisce molto da quello del totale della popolazione.
Si osserva un maggior incremento dei contagi nella classe 3-5 anni alla terza settimana del 2021, ma è un incremento del tutto momentaneo che può essere facilmente essere interpretato come una semplice variazione casuale. Nelle settimane di febbraio e di marzo lo sviluppo dei contagi è comunque risultato per le classi infantili quasi del tutto analogo all’andamento generale della popolazione seppur con una certa variabilità tra le diverse Regioni. Non sembra quindi che ci sia stato un costante e continuo incremento di contagiosità nella popolazione dei minori di età.

Terzo capo d’accusa: le varianti hanno una maggior contagiosità nella popolazione

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Su questo capo d’accusa la difesa è sicuramente più difficoltosa dato che dall’inizio dell’anno i contagi in Italia sono sicuramente aumentati come è successo in tutta Europa seppur da noi con qualche settimana di ritardo.  Da capodanno i casi hanno avuto una rapida ed importante decrescita sino a metà gennaio per poi risalire e stabilizzarsi a metà gennaio quando in pochi giorni l’indice RDt è passato dal valore di 0,95 del 15 febbraio al valore di 1,33 del 25 febbraio per poi ritornare a scendere nuovamente sino allo 0,93,  ultimo valore misurato nella settimana che ha il 22 marzo come giornata centrale. Sembra improbabile che se questo andamento fosse stato causato da un incremento della contagiosità, sia stato poi possibile contenerlo così rapidamente. Si deve anche osservare che l’effetto osservato a metà febbraio deve essersi prodotto da qualcosa accaduta a inizio mese, e allora è facile citare la lettera dell’AIE del 1° febbraio intitolata “Ma siamo proprio sicuri che il giallo è il colore giusto? ” con cui ci si diceva preoccupati di una situazione che non sembrava ancora risolta mentre si riducevano drasticamente le misure di contenimento.
Esaminando il periodo dall’8 febbraio a fine mese possiamo chiederci cosa è più probabile che sia successo: l’incremento notevole dei contagi è stato determinato allora da una maggior circolazione del virus conseguente al moltiplicarsi dei contatti tra le persone oppure da una maggior contagiosità del virus?
Pur sapendo che questo nostro esercizio non costituisce una soluzione definitiva al quesito, abbiamo provato ad effettuarlo simulando due ipotesi: la prima creando di giorno in giorno, a partire dal 7 febbraio, un incremento dei contatti interpersonali come causa dei contagi; la seconda con un aumento dallo stesso giorno, della contagiosità dei contagianti del 15% in più. Questi i risultati:

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Mentre l’effetto dell’aumento dei contatti potrebbe essersi limitato a produrre un andamento lineare la maggior contagiosità dovrebbe invece aver comportato una crescita esponenziale. La realtà osservata in quei giorni è stata la seguente

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La crescita è iniziata dal 15 febbraio e si è sviluppata linearmente sino a fine mese quando poi ha iniziato a produrre degli effetti la reintroduzione di misure più rigide di contenimento dei contagi. La mancanza di una crescita esponenziale dei nuovi contagi, osservati nella realtà, sembra possa esser portata a discolpa delle varianti per non aver commesso il fatto.

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La mia arringa finisce qui, non so se l’accusa l’abbia ascoltata con attenzione e ne abbia valutato le ragioni. Ascolterò con molta curiosità le contro deduzioni e gli eventuali testimoni e solo spero che la sentenza non sia già scritta assumendo come valida l’opinione dominante senza però portarne delle prove dirimenti. Non vorrei però neppure che le varianti fossero assolte per insufficienza di prove perché se sono realmente così pericolose come si dice non debbono sicuramente restare a piede libero. Ma se invece il ruolo che hanno giocato nel produrre questi danni non è stato così rilevante allora bisogna trovare gli altri colpevoli sodali su cui intervenire. 
Se la causa andrà in appello mi sa che ci sarà un ulteriore capo d’accusa da affrontare e cioè il fatto che le varianti potrebbero essere ritenute responsabili di una minor efficacia delle vaccinazioni, ma non so se accetterò la difesa anche per quest’altra imputazione perché non credo di avere degli argomenti validi per contrastarla e consiglierò di rivolgersi a dei più informati consulenti d’ufficio. E sia comunque ben chiaro che se per casso le varianti non avessero le colpe che gli si attribuisce queste rimarrebbero tutte comunque in capo al signor Covid-19 che merita senz’altro l’ergastolo e forsanche la pena di morte; speriamo quindi che si riesca a far eseguire al più presto la sentenza!

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