«Quest'anno supereremo il confine dei 700mila decessi complessivi in Italia che è un valore preoccupante». Lo ha detto il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, sottolineando che «una cosa del genere l'ultima volta, nel nostro Paese, era successa nel 1944. Eravamo nel pieno della seconda guerra mondiale».

Le differenze tra il 1944 e il 2019-2020

A parte la per nulla simpatica equiparazione dei morti per mano d’uomo ai morti per proteina di virus, è opportuno chiedersi se, prescindendo dall’effetto mediatico del paragone, questo confronto abbia significato al di là del solo valore assoluto numerico.

Tre sono le differenze che il Presidente Istat conosce molto bene, ma che non ha accostato a questa dichiarazione: il totale della popolazione, la struttura per età della popolazione, la distribuzione per età dei morti.

Nel 1944 la popolazione era a inizio anno di 45.235.000 abitanti e i decessi 679.837 (https://www.istat.it/it/files/2011/03/sommariostatistichestoriche1861-1965.pdf).
Nel 2019 invece la popolazione è stata di 59.816.673 e i decessi 634.417 (http://demo.istat.it/bil/index.php?anno=2019&lingua=ita). Nel 2020 probabilmente i decessi supereranno i 700 mila. La struttura per età delle due popolazioni è stata la seguente:


È evidente quanto sono differenti le due strutture per età; la stessa proporzione la si ha solo all’età di 40 anni, ma nel 2019 la diminuzione di soggetti giovani è imponente e proporzionalmente compensata da soggetti anziani dove la probabilità di decesso è molto maggiore. Altrettanto differenti sono le proporzioni per età dei deceduti:

Nel 1944 vi era una elevata mortalità infantile ed invece il numero dei decessi degli anziani era molto inferiore.
Variano molto anche dal 1944 al 2019 sia i quozienti di mortalità (qx) sia le speranze di vita (ex):

A parte la mortalità infantile elevata nel 1944 e fortunatamente molto ridotta nel 2019, anche i quozienti di mortalità nelle età anziane sono molto più elevati nel 1944. La speranza di vita è aumentata in questi 75 anni, dal 1944 al 2019  di quasi 20 anni.

Facendo dei calcoli, forse non del tutto precisi dato che non si hanno a disposizione tutte le frequenze per singolo anno di età, si ottengono i tassi grezzi di 11,75 per mille  nel 1944 e di 9,89 nel 2019, mentre calcolando dei tassi standardizzati su una popolazione con la struttura media tra 1944 e 2019, si ottiene il valore di 14,12 per mille per il 1944 e di 6,47 per il 2019, infine le speranze di vita alla nascita fornite da Istat sono di 65,5 nel 1944 e di 83,2 nel 2019.

Possiamo concludere che il confronto tra il 1944 e il 2019 evidenzia differenze molto importanti che sicuramente rimarranno anche con l’incremento significativo di decessi a causa del Covid-19 di tutto l’anno 2020. Forse era meglio evitare il confronto perché può creare più confusione che altro.

Un esercizio per chiarire le differenze tra i tre diversi indicatori di mortalità

Colgo l’occasione per chiarire le differenze tra questi tre indicatori di mortalità; sono tutti indicatori di mortalità anche se il termine “speranza di vita” potrebbe far pensare a qualcosa di differente.
Nell’esempio allegato, (è solo un esercizio in Excel,) si evidenzia come si possono fare i calcoli per ottenere i tre indicatori, ma anche come questi possano dare risultati molto differenti.
Il tasso grezzo è semplicemente il rapporto tra il numero totale di decessi ed il numero totale di abitanti.
Il tasso standardizzato (metodo cosiddetto diretto) si ottiene calcolando quali sarebbero i decessi di una popolazione standard (ad esempio la somma delle popolazioni ciascuna riproporzionata su uno stesso totale, ad esempio di centomila soggetti) se ad essa venissero applicati i tassi specifici delle differenti popolazioni in esame.
Il calcolo della speranza di vitaè più complesso e si ottiene applicando il tassi specifici (più correttamente le probabilità specifiche qx ad una popolazione solitamente pari a 100.000 abitanti ottenendo per ogni anno di età i decessi (dx) e quindi anche i sopravviventi (lx). Assegnando poi ai sopravviventi gli anni da loro vissuti a ciascuna età più meta anno per i decessi morti a quell’età si ottengono gli anni vissuti (Lx). Infine cumulando inversamente gli Lx(dall’età maggiore all’età zero) si ottengono gli anni totali vissuti dalla popolazione a ciascuna età e dividendo questi valori per il numero di sopravviventi a quell’età si ottiene la media degli anni vissuti dalla popolazione di quella età, questa media è chiamata vita media (futura) per età o appunto speranza di vita a quell’età.

Questa spiegazione didattica è un po’ sommaria perché non entra nei diversi particolari metodologici che rendono più complesso il calcolo di una tavola di mortalità e quindi della speranza di vita. Lo scopo di questa nota, però, era appunto quella di rendere evidente che la speranza di vita null’altro è che un indicatore corretto di mortalità.

Nell' esercizio allegato (File Excel) si evidenzia come i tassi standardizzati riescano a correggere le differenze delle strutture per età (ed eventualmente per genere o altro) mentre le speranze di vita sono sensibili rispetto alle differenze dei tassi specifici per età se riguardano classi di età anziane o classi di età giovanili. Se a parità di strutture e di totale dei decessi aumentano proporzionalmente i decessi dei giovani la speranza di vita decresce e viceversa se aumentano proporzionalmente i decessi degli anziani.

Nel primo esempio sono diversi i tassi grezzi, ma diventano uguali sia gli standardizzati sia le speranze di vita. Nel secondo la standardizzazione non modifica le differenze dei grezzi e le speranze di vita hanno una elevata diversità. Nelterzo invece i grezzi e gli standardizzati sono uguali tra le aree mentre le speranze divergono di circa due anni e mezzo.

Concludendo possiamo dire che forse l’indicatore che più di altri ci può dire quale sia la dimensione dei decessi nelle popolazioni è proprio la speranza di vita che pesa differentemente i decessi dei giovani rispetto ai decessi degli anziani. Purtroppo il calcolo corretto della speranza di vita non è semplice e necessita di dati precisi, ad esempio per i decessi serve anche l’anno di nascita e non solo l’età, ed ancora, soprattutto per le età avanzate, si devono utilizzare dei modelli interpolanti come ad esempio quello proposto da Kannisto (https://link.springer.com/article/10.1007/s10680-017-9434-4).

 

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