Quante volte di fronte ad una chiara situazione di pericolo si assiste a una pressoché totale inerzia nell’intervenire e si sente dire in giro: “nessuno farà niente sino a che non ci scapperà il morto”! e purtroppo, poi, accade proprio così…

Sembra che il dramma, se non la tragedia, sia l’unico evento capace di dare l’energia per attuare un’attività di prevenzione. E se molte volte è così, sarebbe allora necessario chiedersi il perché e soprattutto il cosa e il come fare per far cambiare questo comportamento.

A livello di individuale è esperienza comune che molti smettano di fumare o di bere alcool solo in seguito adun evento patologico che li ha spaventati. Questo significa che la percezione del rischio cresce solo quando si fa esperienza di un possibile danno. C’è anche l’effetto che in economia si chiama attuarizzazione: un beneficio futuro deve essere molto elevato per compensare un costo nel presente. Questa è spesso la ragione per cui è difficile far capire ai giovani l’importanza dell’astenersi da comportamenti che, seppur gratificanti, comportano dei danni nella loro salute futura.

Sicuramente per superare queste inerzie e queste distorte percezioni è necessario che intervenga un po’ di razionalità e quindi è necessario che ci sia una buona e chiara comunicazione capace di diventare una specie di efficace educazione sanitaria.

Ma la domanda del perché tutto ciò accade deve essere posta anche a livello delle istituzioni e dobbiamo chiederci il perché dei ritardi in campo di politiche preventive, ad esempio anche durante questa epidemia da Covid-19.

Abbiamo assistito a diversi atteggiamenti di ritardo nell’avvio di politiche preventive di contenimento. Innanzitutto quelle “saccenti” inerzie di capi di governo come Boris Johnson o Donald Trump: erano in buona fede oppure no quando pontificavano che l’epidemia non sarebbe stata un grave problema? Se lo erano si deve supporre l’ignoranza loro e di tutti i consiglieri di cui si affidavano. E probabilmente un po’ di ignoranza c’era ma non credo fosse questo il fattore principale in grado di determinare le loro scelte.

I fattori principale di queste inerzie penso siano due fattori basati sulla convenienza: convenienza economica e convenienza politica.

Primo fattore

Convenienza economica non tanto della società nel suo complesso quanto della classe dominante che ha in mano la maggior parte delle risorse economiche. Si è anche arrivati ad affermare che un danno economico da lockdown avrebbe comportato alla società un futuro danno di salute complessivo maggiore di quello che avrebbe prodotto l’epidemia senza lockdown.

I conti sono difficili da fare soprattutto perché è difficile stimare cosa avrebbe prodotto l’epidemia senza alcuna misura di contenimento e neppure cosa e quanto i sacrifici dell’economia possano avere come impatto sulla salute. Per esemplificare le difficoltà delle scelte si pensi ad un padre di tre figli cui venga chiesto quante risorse della famiglia è disposto a sacrificare per permettere al nonno di salvarsi la vita. Comparare il beneficio della vita del nonno con i costi che determinerebbero gravi difficoltà per il mantenimento e la crescita dei figli non sarebbe certamente una operazione facile e comporterebbe quasi certamente delle crisi di coscienza, e sarebbe il caso di chiedersi chi dovrebbe decidere: il padre, il nonno, i figli?

La scelta a livello politico non ha gli stessi risvolti affettivi ma sicuramente vi assomiglia molto: quante vite che si possono salvare oggi valgono le difficoltà, anche in termini di salute, per le conseguenze negative sull’economia create dalle misure di contenimento dell’epidemia?

Si consideri anche che questo ragionamento sembra riguardi una società cui vengono riconosciuti dei benefici e dei costi che devono essere valutati congiuntamente. Ma in realtà la società è fatta da più individui e coloro che subiscono i costi non sono spesso gli stessi che usufruiranno dei benefici. E possiamo tranquillamente pensare che sia giusto decidere che questi possono morire per far star meglio quest’altri? Anche se così fosse chi dovrebbe scegliere chi deve morire e chi invece deve continuare a poter star bene?

Ed infatti sia Boris Johnson sia donald Trump, quando i costi in termini di salute hanno incominciato a pesare sulla società, hanno perso l’arroganza delle loro affermazioni relative alla necessità di sopportare un certo numero di decessi per garantire il benessere economico della società. Soprattutto dopo che si sono anche loro ammalati, anche se poi son tornati nuovamente ad avere atteggiamenti di riduttivismo.

Secondo fattore

Ed allora interviene il secondo determinante dell’inerzia nell’assumere decisioni efficaci, che è la forza condizionante del consenso della popolazione, o per dirla meglio degli elettori e soprattutto dei grandi elettori.

Un esame delle posizioni dei leader politici, vuoi di maggioranza che di opposizione, nei confronti delle misure necessarie per contenere l’epidemia ci fa capire quanto sia stato e sia tuttora più importante avere il consenso della gente che scegliere le misure più efficaci. E quando si sono scelte fortunatamente proprio queste lo si è fatto, il più delle volte, perché il vento del consenso spirava a loro favore.

Gli aperitivi a Milano di Zingaretti o le accuse di Salvini e di Meloni contro il governo che affossava il turismo e l’economia e toglieva la libertà ce le ricordiamo bene … È quasi impossibile riuscire a realizzare una corretta politica preventiva se non si riesce ahimè ad aver dalla propria parte anche il consenso della popolazione. E qui ci potrebbe essere un equivoco sul concetto di democrazia: ritenere cioè che la politica giusta, anche nelle specifiche operative, sia quella decisa direttamente dalla maggioranza dei cittadini. Il rapporto tra democrazia e competenza è un rapporto che si dovrebbe chiarire meglio: i cittadini devono scegliere chi deve decidere in virtù dei valori che esprime e garantisce, ma è poi il decisore che deve avere, lui o chi per lui, la competenza operativa per decidere al meglio.

Ci preoccupa molto che si pensi che sia “il popolo” che decide se si deve fare o no il lockdown o se sia giusta una certa misura di contenimento piuttosto che un'altra; il “popolo” deve scegliere chi difende i valori che ritiene più giusti e importanti, ma poi la politica sanitaria, e soprattutto la politica della prevenzione, deve essere affidata a chi ha le necessarie competenze. Il rapporto tra tecnici e politici è stato sempre, durante le emergenze sanitarie, ma anche in diverse altre occasioni o settori, un rapporto difficile da governare.

E oltre tutto poi la situazione si complica se non vi è unanimità di vedute proprio tra i tecnici.

Ma perché non accada di aspettare il morto per prendere dei provvedimenti è necessario che nella mentalità dei più si penalizzi la politica incapace di anticipare le decisioni e ci si astenga però dal criticarla esageratamente mentre le misure sono in corso, dato che ciò solitamente serve a poco, e si aspetti invece l’evoluzione della situazione per confermare o per togliere il consenso a chi è stato scelto per  assumere le decisioni giuste nei tempi giusti.

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