Una delle opinioni più diffuse, ma non confermate da analisi più approfondite, è che durante la seconda ondata dell’epidemia da Covid-19 si siano contagiate molte più persone che non nella prima anche se i contagi hanno provocato meno complicazioni cliniche e queste sono state meno letali.  Non è facile ovviamente cercare di ricostruire quelle che potrebbero essere state le frequenze da fine febbraio ad oggi, ma questo che qui viene presentato è proprio un tentativo per provare a fare questa complicata e rischiosa operazione. Sarà difficile valutare la correttezza di questo esercizio, ma sembra che i risultati mantengano una loro coerenza interna che farebbe pensare che le stime ottenute non siano molto lontane dalla realtà di quanto accaduto.

L’ipotesi di partenza cui si basa tutto l’esercizio è che la frequenza dei ricoveri ospedalieri sia rimasta costantemente proporzionale alla diffusione del virus; si ipotizza cioè che, anche in realtà molto differenti, sia nel tempo che sul territorio, il ricorso al ricovero ospedaliero sia sempre una costante proporzionale dei soggetti contagiati, anche se forse nelle ultime settimane il richiamo a mantenere il malato a domicilio potrebbe aver modificato parzialmente questo parametro. C’è chi sciaguratamente, spero in buona fede, a luglio ha diffuso l’idea che il virus non fosse più così “cattivo” e non creasse più complicanze importanti; purtroppo i fatti hanno smentito queste affermazioni fondate forse sul nulla o comunque su scarse osservazioni. C’è poi chi ritiene che il virus abbia cambiato target: dagli anziani è passato a preferire i giovani. Sicuramente durante l’estate i novantenni non hanno frequentato le discoteche ma neppure a capodanno scorso i vecchi affollavano i rifugi di montagna dove sembra che molti giovani si siano contagiati.

La distribuzione sul territorio di sicuro è nel tempo molto cambiata e da una concentrazione nelle Regioni settentrionali il virus si è diffuso più o meno omogeneamente su tutta la nazione. Questo potrebbe aver cambiato qualcosa nella tipologia dei contagiati in quanto le Regioni hanno una demografia non del tutto uguale, ma queste differenze modificherebbero solo marginalmente i risultati di questo esercizio. Infine non è da sottovalutare che nella prima ondata, ma in parte anche nella seconda, ci sono stati importanti focolai, come quelli nelle RSA, dove il rapporto tra contagiati e malati seri è risultato differente da quello osservato nella popolazione generale.

La figura 1 evidenzia come dal 1° agosto al 30 novembre il rapporto tra la prevalenza puntuale di positivi e la prevalenza puntuale di ricoverati sia rimasta quasi costante.  In figura 2, invece, si  
evidenzia come il rapporto tra le due prevalenze sia cresciuto da fine febbraio ad oggi, ma l’andamento della crescita può essere spiegato quasi interamente dalla crescita di test molecolari con cui risulta fortemente correlato ( R2 = 0,759, cioè una correlazione dell’ 87,12%).
La proporzione tra prevalenza di ricoverati e prevalenza di positivi risulta oggi dai dati ufficiali di circa 1:21 soggetti, ma dalle stime che si possono ricavare dallo screening della provincia di Bolzano (si veda “Qual è il rischio di incrociare un positivo che non sa di esserlo?” Scienza in rete 20/11/2020), i “veri positivi” dovrebbero essere oggi il 30% in più dei positivi accertati e quindi si può supporre che in realtà ci sia una prevalenza di 26 positivi per ogni ricoverato prevalente. In tal caso l’andamento della prevalenza puntuale di contagiati ricostruito dall’inizio dell’epidemia, risulterebbe essere quello presentato in figura 3.

La durata della positività certificata può essere stimata in circa 24 giorni (si veda al proposito “Come cercare di misurare la durata del contagio da Covid-19?” Blog SaniTAC di E&P 2/12/2020) e quindi si può ritenere che l’incidenza stimabile sia un ventiquattresimo della prevalenza stimata e applicando questa proporzione si otterrebbe un andamento dell’incidenza come quello riportato in figura 4.


Sommando poi tutti i dati giornalieri di incidenza potremmo ottenere la prevalenza cumulativa dei soggetti che sono stati contagiati a partire dall’inizio dell’epidemia e questi sono quelli descritti in figura 5.


La stima della prevalenza cumulativa dell’indagine Istat, svoltasi nel mese di giugno 2020, aveva dato come indicazione circa un milione e mezzo di persone (indicata in figura con linea punteggiata) che sino ad allora erano state infettate e sicuramente questa cifra è più vicina alla stima qui eseguita che ai valori ufficiali registrati che sicuramente sottostimano la realtà.

Per verificare la compatibilità delle stime effettuate si può vedere quanti risulterebbero essere i deceduti se, come misuriamo adesso, la letalità fosse sempre stata il 2% dei soggetti certificati positivi, ovvero l’1,6 di tutti i soggetti supposti tali, compresi i soggetti non individuati come positivi e che avvenga mediamente dopo 11 giorni dalla certificazione della positività (si veda “Come cercare di misurare la durata del contagio da Covid-19?” Blog SaniTAC di E&P 2/12/2020)  La stima ottenuta viene riportata in figura 6.


Sembra quindi potersi concludere che “i conti tornano” pur ovviamente con qualche differenza che però non fa ritenere che l’esercizio eseguito sia molto lontano dal presentare la realtà dell’andamento dell’epidemia dal suo inizio.

Possiamo allora concludere ritenendo che i parametri utilizzati dovrebbero risultare abbastanza corretti e cioè che la prevalenza di contagiati sia ventisei volte quella dei ricoverati, che l’incidenza sia un ventiquattresimo della prevalenza e che la letalità sia di sedici decessi su mille contagiati a undici giorni dalla diagnosi della loro positività.

Infine possiamo ritenere che il numero di soggetti che sono stati contagiati dal coronavirus in Italia sia a oggi, ultimo giorno di novembre 2020, circa poco meno di tre milioni e mezzo, cioè il 5,6 % della popolazione italiana, un valore molto lontano dalla cosiddetta immunità di gregge.

E se si volesse confrontare la prima ondata con la seconda, dovremmo concludere che dal punto di vista quantitativo non sembra che ci siano state delle grandi differenze di incidenza, prevalenza e letalità, mentre sicuramente la grande differenza è stata nella capacità di individuare i positivi grazie ad una sempre crescente strategia di effettuazione dei test molecolari che ha permesso di ottenere dati confrontabili mentre oggi, con l’introduzione di altre modalità, come ad esempio gli screening con test antigenici, può non restare più tale. Per questa ragione è auspicabile che vengano stabilite delle linee guida vincolanti per l’attività di individuazione dei soggetti positivi al coronavirus e si definisca quindi qual è il ruolo assegnato ai test molecolari o ai test antigenici e soprattutto si sappia quando questi vengono utilizzati singolarmente ovvero il secondo venga eseguito a conferma del primo. Per controllare l’evoluzione dell’epidemia non è sufficiente sapere il numero dei contagiati, è necessario poter rapportare questo valore al numero dei soggetti sottoposti ai test. Ed anche questo potrebbe non bastare in quanto non è lo stesso se 1000 persone sono sottoposte una volta in un mese ad un test e vengono trovati ad esempio 100 positivi e quindi una positività del 10% ed una incidenza del 10%, oppure 250 persone vengono sottoposte ogni settimana per quattro volte e vengono alla fine trovati 100 positivi, perché in questo caso la positività sarebbe sempre del 10% ma l’incidenza diventerebbe del 2,5%! Serve quindi una effettiva completezza informativa per poter realmente valutare correttamente l’evoluzione dell’epidemia.

Infine sarà au8spiocabile che si riescano a valutare le efficacie delle diverse misure di contenimento che sono state introdotte nella prima e nella seconda ondata anche se probabilmente sarà difficile valutare le misure della consapevolezza e dell’accettabilità che ciascheduno di noi ha avuto nei confronti di ciò che gli è stato detto di fare o di non fare.

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