Leggiamo in Internet: la definizione di appropriatezza condivisa a livello internazionale è quella secondo cui una prestazione è appropriata se oltre ad essere efficace viene erogata a quei soggetti che ne possono realmente beneficiare, con la modalità assistenziale più idonea e con le caratteristiche (di tempestività, di continuità, ecc.) necessarie a garantirne effettivamente l’utilità. In altre parole, una prestazione dovrebbe essere erogata rispettando il quadro clinico del paziente e le indicazioni per le quali si è dimostrata efficace, nel momento giusto e secondo il regime organizzativo più adeguato.

Potremmo noi semplificare dicendo che ogni azione produce delle utilità e delle disutilità e un’azione è appropriata se le utilità complessive sono maggiori delle disutilità sempre complessive. Parlando di utilità ci riferiamo a variabili soggettive riguardanti soprattutto la salute ma anche il benessere in generale, mentre tra le disutilità, anch’esse prevalentemente soggettive, si annoverano il dolore, gli sforzi, il tempo di lavoro, i costi, ecc.

Non possiamo quindi definire in astratto cos’è appropriato perché la stessa azione può produrre diverse utilità o disutilità a seconda della persona ed a seconda delle sue condizioni. Non si deve scambiare l’appropriatezza nè con l’efficacia nè con l’efficienza: un trattamento molto costoso potrebbe essere efficace per un leggero malessere ma proprio la costosità lo potrebbe rendere inappropriato: scegliereste del vino prezioso per usarlo in cucina? ma anche un vino scadente non sarebbe appropriato per una ricetta importante! Se non si considerano le possibili disutilità si può cadere ad esempio sia nell’accanimento terapeutico sia nell’inutile dissipamento di preziose risorse.

Ma come si originano le inappropriatezze?

Innanzi tutto, per la pressione di interessi al limite della legalità ovvero del tutto illegali. Il cosiddetto comparaggio classico è la situazione in cui un medico accetta le pressioni di un farmacista prescrivendo i farmaci da questo indicato senza che ve ne sia esattamente la necessità clinica. La cronaca anche recente ci ha parlato di ricoveri ed anche di interventi chirurgici in cliniche private su pazienti che non ne avevano esattamente bisogno. Una certa aggressività, poi, degli informatori farmaceutici, pur rimanendo nella legalità, può certamente indurre delle perdite di appropriatezza, ma in questo caso responsabili sono anche gli operatori che prescrivono senza verificare correttamente le indicazioni scientificamente stabilite.

Il secondo fattore responsabile dell’appropriatezza è l’ignoranza dei prescrittori, ignoranza che può derivare per lo più da una carenza di aggiornamento. È normale per tutti i professionisti continuare a fare come già si faceva, ma se un tempo le modifiche della clinica dai giorni della laurea ai giorni della pensione non erano molto importanti, oggi invece lo sono ed anche molto accentuate.

Ma l’ignoranza può essere non solo quella die singoli operatori ma anche quella di intere corporazioni cliniche che continuano a difendere posizioni ormai superate e non sono disposte ad accettare nuove indicazioni.

Un terzo fattore, e forse quello più di tutti rilevante, è l’ipocondria e l’ansia dei pazienti. La paura per una sintomatologia anche minore, o anche solo le fantasie su delle ipotetiche malattie possono portare molte persone a pretendere degli esami diagnostici ed anche, talvolta, delle pseudo terapie. Questo elemento viene sicuramente enfatizzato dalle riviste e dalle trasmissioni televisive di divulgazione medica, nonché, a ancor più, dai vari siti in Internet che parlano di salute. Con ciò non si vuol dire che i contenuti di questi media siano scorretti; il problema è che senza l’intermediazione di un soggetto con una buona cultura medica, le informazioni divulgate possono spesso esser fraintese da chi “vuole” sentirsi malato. 

Che fare allora per cercare di aumentare l’appropriatezza che a seconda dei medici che hanno risposto alle nostre domande potrebbe portare ad uno spreco che supera i 10 miliardi ed anche a dei rischi per la salute della popolazione? Innanzitutto, un maggior controllo sulle attività prescrittive per individuare le situazioni di illegalità. La presenza crescente di attività private profit, non solo nel settore farmaceutico ma anche in quello diagnostico e pure ospedaliero, e della medicina assicurativa, il cosiddetto secondo pilastro, comporta la necessità di istituire maggiori controlli sulle attività prescrittive. Le analisi dei consumi sanitari per MMG, ad esempio, operazione possibile attraverso strumenti come la BDA (banca dati assistiti), consentono di individuare le situazioni più gravfi di tendenza all’iper prescrizione.  Non si tratta poi di voler condannare i medici che prescrivono eccessivamente ma solo di coinvolgerli in una attività di autocontrollo orientata allo sviluppo dell’appropriatezza prescrittiva. 

Contro l’ignoranza, invece, è necessario rivedere i contenuti dell’ECM (educazione continua in medicina) stabilendo l’obbligo per gli operatori di partecipare a momenti didattici che affrontino i contenuti delle loro specifiche attività e non solo convegni e congressi in cui magari si parla un po’ di tutto. Un maggior sviluppo e controllo da parte delle autorità sanitarie pubbliche delle linee guida può favorire questa attività didattica che potrebbe svolgersi anche per via telematica introducendo però dei test di valutazione che certifichino la partecipazione proficua. Non si vuole certo mortificare la giusta e necessaria libertà prescrittiva dei medici, ma si vuole cercare di fsr crescere il più possibile la loro consapevolezza della necessità di un aumento del livello di appropriatezza.

È poi ormai sempre più necessario che le istituzioni sanitarie pubbliche sviluppino maggiormente le attività di informazione medica della popolazione. Il primo elemento da comunicare è ad esempio il pericolo del fai da te o l’ascolto dei falsi profeti di benessere e di salvezza. È bene che la popolazione abbia più informazioni ma è ancor più importante che sia aiutata ad usarle in modo corretto.

Mi è capitato quando da neolaureato facevo delle interviste alla popolazione che in una casa della periferia milanese alla domanda se l’intervistato avesse preso dei farmaci per una cefalea mi veniva mostrato un antibiotico dicendo che gli era stato prescritto per il mal di gola e quindi doveva andar bene anche per il mal di testa. Uno strumento importante che dovrebbe essere sviluppato è un sito di Internet controllato dalle istituzioni pubbliche dove chiunque possa trovare delle informazioni esaurienti e scientificamente aggiornate. La libertà di opinione deve essere comunque garantita ma si potrebbe ad esempio stabilire l’obbligo per chi scrive di sanità sulle riviste o in Internet e parla in televisione di dare sempre il riferimento ai contenuti del sito pubblico di informazione ufficiale.

Lavorare per aumentare l’appropriatezza significa lavorare per garantire maggior salute alla popolazione vuoi perché si potrebbero liberare risorse da destinare alle numerose necessità oggi non soddisfatte, vuoi perché l’appropriatezza non è sollo fonte di sprechi ma anche di rischi e di danni per la salute. E rendiamoci conto che l’inserimento di maggiori attività profit in sanità, come quelle favorite dal cosiddetto secondo settore, aumenta la probabilità di inappropriatezza perché ogni attività di mercato non può sottrarsi dal bisogno di aumentare i profitti e questo obbliga a cercare di aumentare i consumi, ahimè anche se non necessari. 

Ed infine non si può non auspicare che attraverso gli strumenti informativi sempre più sviluppati si possa valutare e quantificare realmente qual è la quota di prestazioni sanitarie e di spesa sanitaria pubblica, ma anche privata, che deve essere definita come inappropriata. E la conoscenza è sicuramente uno strumento che aiuta il miglioramento delle attività.

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