L’analogia tra la dinamica di una epidemia e la dinamica di un incendio aiuta molto a capire come sia determinante ciò che succede nei primi momenti della diffusione di un contagio.
Se sventatamente e colpevolmente butto un mozzicone di sigaretta in un bosco può essere che provochi una fiammella tra le foglie secche che, appena me ne accorgo, posso spegnere facilmente anche col la suola della scarpa o con un solo bicchiere d’acqua. Ma se non me ne accorgo, perché magari ho gettato il mozzicone dall’auto e me ne sono andato, dopo qualche minuto c’è un incendio vero e proprio e solo se intervengono i pompieri si può sperare di spegnerlo ma anche loro talvolta ne fanno molta fatica.

La velocità di propagazione

Nel caso dell’incendio possiamo calcolare la velocità di propagazione lineare e la velocità areale che è di tipo esponenziale: se il raggio del primo cerchio dove l’incendio si è sviluppato nel primo minuto è un metro l’area sarà di π*12 la seconda di raggio 2 sarà π*22, la terza di raggio 3 sarà π*32 cioè la serie sarà pari alla successione 1, 4, 9, 16 ecc. , e se per spegnere l’incendio nel primo cerchio ci vorrà un impegno di intensità 1, nel secondo di intensità 4 e nel terzo di intensità 9 e così via: prima interveniamo e più sarà facile contrastarlo. Nel caso dell’epidemia non parliamo di aree bensì di persone e la velocità “lineare” del contagio è la trasmissione tra un soggetto ed un altro e la velocità “areale” è proporzionale al numero dei contatti con cui può trasmettersi il contagio. Se ad esempio ogni contagiato, se indisturbato, è in grado di produrre tre contatti contagianti, allora la successione della serie epidemica sarà una progressione geometrica di ragione 3, cioè 1, 3, 9, 27  ecc. come si vede ancora più attiva dell’espansione dell’incendio. La ragione della progressione è in epidemiologia definita come indice di ri-infezione espresso con il simbolo R0 , cioè misura le capacità contagiose del paziente iniziale, cioè il paziente “zero”. Durante l’epidemia la contagiosità viene invece misurata al tempo t dall’indice Rt che è condizionato anche da tutte le misure di contenimento dell’epidemia. L’indice Rt dovrebbe essere calcolato sulla data dei contagi e dovrebbe tenere conto dei tempi di generazione delle nuove manifestazioni di un contagio avvenuto. Noi lo abbiamo sostituito con un indice simile di più facile calcolo che abbiamo chiamato RDt , cioè indice di replicazione diagnostica che si può facilmente calcolare anche su dati aggregati e che, se non si conoscono i tempi esatti di generazione dei contagi, può essere calcolato a diversi lag, cioè considerando che la replicazione può mediamente avvenire dopo un numero diverso di giorni. I parametri quindi da considerare sono due: il tempo di generazione, che praticamente è dovuto solo alle caratteristiche dell’agente contagiante, e l’intensità del contagio che invece può essere modificato dalle misure di contenimento dell’epidemia.

Lo sviluppo del contagio

Ipotizzando un tempo di generazione di 5 giorni ed una intensità (Rt) di tre, partendo da un solo soggetto infetto si avrebbe una progressione che nel primo mese arriverebbe  ad una frequenza di soli 729 infetti mentre nel  secondo mese i contagiati supererebbero il mezzo milion e di soggetti.
Un primo mese quindi quasi “silente” ed un secondo veramente ”esplosivo”.

Che succederebbe se in altre aree adiacenti alla prima il paziente zero arrivasse invece 5 o 10 giorni dopo?
Succederebbe che apparentemente nel primo mese non si percepirebbero delle grosse differenze mentre nel secondo mese la situazione sarebbe molto differente e farebbe pensare che nell’area 1 si è operato un contrasto peggiore rispetto a quello eseguito nell’area 2 o ancor peggio rispetto all’area 3 anche se il parametro su cui avrebbero potuto intervenire fosse in tutte rimasto inalterato a 3 come in questo esempio simulato.

Un esempio concreto

 

Consideriamo i valori dell’indice RDt che sono stati calcolati nei mesi di marzo ed aprile per le Regioni Veneto e Lombardia che di per se non risultano tra di loro molto diversi, ma proviamo a calcolarne la loro media come indicato nel grafico a lato e ipotizziamo così che invece sia stato lo stesso nelle due Regioni.
È necessario allora considerare che il 3 marzo in Lombardia c’erano già 1514 casi mentre nel Veneto ce ne erano appena 306 e questo numero differente all’inizio della serie determina dei valori molto differenti come si può vedere qui di seguito. Si consideri che il valore moltiplicativo dell’RDt lo si è applicato ai casi precedenti ogni 5 giorni che è il tempo di generazione (lag 5) con cui appunto lo si era calcolato. Il risultato dell’andamento della incidenza non si discosta molto dal grafico dell’incidenza reale che risulta dai dati ufficiali.
Anche il grafico che crea l’andamento caratteristico dell’epidemia con il valore dell’incidenza in ascissa ed il valore dell’RDt in ordinata riproduce similmente il grafico costruito sui valori reali.

 

Conclusione

L’evidenza che questa analisi permette di cogliere è la fondamentale importanza del numero di casi da cui parte lo sviluppo della curva epidemica, molto più importante anche rispetto all’indice di replicazione sul quale si può influire con misure di contenimento che frenano l’epidemia ma non riducono le diversità tra situazioni dove  il contagio fosse iniziato in misura differente.
La diversità di frequenze di infetti iniziali dipende dalla difficoltà di capire quanto stia per succedere durante la fase iniziale che abbiamo definito appunto “silente” in quanto non appare subito come un grave problema epidemico.
Per altro all’inizio di una epidemia è facile che l’opinione pubblica non accetti ancora i sacrifici di disagevoli misure come ad esempio di lockdown e di conseguenza i decisori tendono ad aspettare prima di prendere decisioni in tal senso.
Ma come i pompieri utilizzano la sirena per arrivare il più presto a spegnere l’incendio prima che questo sia difficilmente controllabile, così si dovrebbe riuscire a far presto nell’intervenire a bloccare una epidemia sul suo nascere.
Riteniamo quindi che come per gli incendi vengono messe delle spie che colgono nei locali anche le minime tracce di fumo, così si dovrebbero avere dei sensori nei sistemi informativi sanitari capaci di cogliere subito l’informazione necessaria. Ci saranno degli allarmi “falsi positivi” come talvolta accade nei sensori antincendio che si attivano per il solo fumo di una sigaretta, ma le conseguenze possibili sono così gravi che si può anche giustificare qualche falso allarme.

Auspichiamo quindi che il sistema della prevenzione in Italia abbia la capacità di costruire e di attivare questi “sensori anti epidemie”,  e se così accadrà sarà sicuramente poi più facile intervenire con un piccolo estintore che non con l’ intervento di una squadra costosamente attrezzata di vigili del fuoco.

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