Sto leggendo in questi giorni due libri: Dogma contro Critica, di Thomas S.Kuhn (R.Cortina 2000), e La conoscenza ed i suoi nemici, di Tom Nichols (Luiss Univ.Press 2017) e  mi è venuta l’idea di ragionare con queste categorie nel campo delle conoscenze sanitarie. In democrazia ha senso arroccarsi in un dogmatismo vuoi su base ideologica vuoi su base corporativa? e soprattutto l’opinione di tutti ha lo stesso valore indipendentemente dalle sue competenze? Voi come la pensate al proposito? Io vi dica la mia e spero che voi ci direte la vostra … (questa volta spero interveniate vincendo timori e pigrizia) 

Io la penso così:

Senza entrare in più difficili ragionamenti filosofici si può certo affermare che nella nostra attuale cultura il dogmatismo viene sempre rifiutato, almeno per quanta riguarda le conoscenze scientifiche. Ma non esiste solo il dogmatismo ideologico, quello per cui Galileo fu processato. Il dogmatismo ideologico è quello per cui si ritiene che una verità sia assoluta in quanto rivelata da una fonte superiore infallibile, e solitamente è frutto di un’ingerenza delle religioni sulle evidenze scientifiche. Il primato della ragione e della logica è oggi per lo più indiscusso, o quasi.

Esistono però anche dei dogmatismi che potremmo definire minori, ma non per questo meno pericolosi,  e primo tra questi il dogmatismo corporativo che si manifesta quando una corporazione, ad esempio quella sanitaria, ritiene che una sua affermazione, in quanto condivisa dai più, non possa esser messa in discussione. Ben si conoscono delle azioni cliniche in passato anche molto diffuse ritenute assolutamente valide e poi storicamente eliminate o rese residuali; è ad esempio la pratica dei salassi che sino a tutto l’ottocento veniva considerato in totale buona fede molto efficace in molte patologie e che oggi invece è praticato solo in pochissime situazioni specifiche. Ma ci sono anche dei dogmatismi di interesse, quelli in cui si fa credere ad esempio che un trattamento sia efficace perché si ha un interesse economico a che venga svolto.

Non si confonda però il dogmatismo con il giudizio basato sull’elevata probabilità di necessità come nel caso di alcune, non tutte, le vaccinazioni. Il vaiolo è stato sconfitto a partire da fine ottocento rendendo obbligatoria la vaccinazione ma sarebbe dogmatismo ritenere che oggi, in queste nuove situazioni del nostro paese debba essere ancora obbligatoria l’antivaiolosa … domani chissà!

Infine c’è il dogmatismo generato dalla pigrizia che nasce dal non voler fare la fatica intellettuale di verificare se ciò che si ritiene una certezza sia proprio tale. Anche in questo caso non è da confondere con l’atteggiamento di sicurezza che è bene che il medico abbia con il paziente per evitare che i troppi dubbi comportino una perdita di compliance, ma la sicurezza non può portare a nascondere possibili rischi di un trattamento.

Ma se il dogmatismo si innesca nell’atteggiamento di un esperto che ritiene che le sue informazioni gli permettano di dare, in buona o cattiva fede, la certezza di una verità, altro problema è invece il rispetto delle competenze In democrazia i diritti di tutti sono uguali e debbono ricevere uguale rispetto; ma è così anche per le opinioni di chiunque? Potremmo ad esempio chiederci se parlando di stelle, ha lo stesso valore l’opinione dell’astrofisica Marica Bianchesi che ha contribuito a misurare le onde gravitazionali e l’opinione di uno stravagante terrapiattista (vedi qui le loro idee).

Quando ad esempio devo scegliere una anguria preferisco la mia opinione o quella di un cocomeraio di cui ho fiducia e che so onesto e competente? Ma allora delegare una decisione a chi è competente è rinunciare ad un principio di democrazia? In sanità il problema è particolarmente delicato. Quando il paziente accetta di essere addormentato perché il chirurgo possa poi intervenire come crede più opportuno ne accetta l’autorevolezza e certamente ha poca rilevanza, se non solo simbolica, la firma del consenso informato. Attenzione a ben distinguere il caso delle misure sanitarie imposte (ad esempio le vaccinazioni obbligatorie) dalla scelta di un trattamento in cui vi deve sicuramente esservi sia l’autorevolezza dell’operatore sia l’accettazione consapevole dell’operando.

Ma cos’è l’autorevolezza e cos’è la competenza? È autorevole colui cui viene riconosciuta una competenza in un determinato campo e la competenza è la minor probabilità di affermare o di commettere degli errori. Una delle definizioni di competenza che ci sembra accettabile è la seguente: Comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale.

È bene riflettere che per molte attività personali la miglior competenza è quella propria di se stessi. Chi meglio di noi può dirci cosa ci piace, quali sono i nostri bisogni, quali sono le situazioni che è meglio che le evitiamo, ecc.? C’è comunque il pericolo di trascendere dalla autorevolezza all’autoritarismo che consiste invece nel ritenere da parte del competente di non aver alcuna possibilità di commettere errori e quindi di giudicare come soggetti incompetenti tutti coloro che  non la pensano nello stesso modo. Ma c’è anche il pericolo di non saper più riconoscere che non tutti hanno la stessa probabilità di sbagliare e qualcuno, anche se limitatamente ad un settore specifico, ha delle probabilità di errore inferiori grazie alle sue conoscenze acquisite ed alle sue esperienze accumulate.

In un processo educativo ad esempio l’autoritarismo è di sicuro del tutto disdicevole e negativo però sarebbe oltremodo inopportuno se il discente non sapesse riconoscere ed accettare l’autorevolezza del docente. Ho svolto l’insegnamento in diverse situazioni ma forse quella che mi ha dato le maggiori soddisfazioni è stata l’attività ludica di istruttore di barca a vela. Se colui cui stavo insegnando non avesse riconosciuta la mia autorevolezza difficilmente sarebbe riuscito ad imparare a navigare. Certamente alcune manovre da me insegnate non erano forse le migliori e ad esempio mio figlio poi è diventato molto più capace, ed autorevole, di me facendo cose diverse da quelle che gli avevo insegnato ma la sua competenza si è costruita man mano riconoscendo inizialmente la mia autorevolezza e poi via via quella di altri istruttori ancora più competenti. Non ho mai pensato di “insegnare la verità” ma ho avuto la pretesa di pensare che chi accettava i miei consigli poteva imparare.

Un soggetto autorevole ma non autoritario non impedisce agli altri di sbagliare o non li giudica esseri inferiori se sbagliano, ma semplicemente cercherà di far capire loro che a suo parere stanno sbagliando avendo oltretutto l’attenzione, e talvolta anche la paura, di non esser lui a sbagliare.

Ma da cosa deriva allora la crescente sfiducia nell’autorevolezza della scienza e delle professioni? Credo essenzialmente da due questioni: la prima è l’arroganza della competenza che si fa autoritaria anche quando palesemente sbaglia, la seconda è la diffusa convinzione di possedere le necessarie informazioni per giudicare senza però avere sviluppato il metodo per giudicare. Talvolta purtroppo l’autorevolezza si necessita di diventare autoritaria: in presenza di una fuga consistente di diossina è necessario costringere la popolazione ad evacuare le zone pericolose anche se certamente qualcuno opporrà delle resistenze; in situazioni di crisi psichiatrica può essere necessario un TSO, ecc.  Ma quando non c’è un pericolo grave ed incombente l’autorevolezza non può diventare arroganza senza rischiare di perdere credibilità. 

La perdita di competenza in chi la democrazia ha scelto per governare può addirittura portare dei rischi per la democrazia stessa. La perdita di autorevolezza nei governanti può far mettere in discussione persino il metodo stesso democratico con cui sono stati scelti! Ma può accadere anche che l’errore stia invece in chi ritiene che vi sia erroneamente una perdita di competenza, ed allora come venirne fuori? Attenzione a non equivocare il rispetto della competenza con l’affermazione della non criticabilità della verità. Non sappiamo se una “verità” esista, ma certamente non saremo mai sicuri di conoscerla completamente.

Possiamo azzardare una classificazione degli atteggiamenti tra dogmatismo e incompetenza ipotizzando che siano due caratteristiche descrivibili con una scala continua che per il dogmatismo va dall’affermare che esiste una e una sola verità al pensare invece che praticamente vi sono infinite verità. L’altro asse invece misura la competenza che è nulla in chi  crede che tutti siano competenti anche se non informati sino a chi invece pensa che sia competente chi è così informato da non poter sbagliare mai.

Bisogna quindi assolutamente evitare l’autoritarismo scientifico ma anche la rinuncia del rispetto della competenza, rinuncia che può essere tanto da parte dell’utente che non può pensare di possedere le stesse informazioni e la stessa esperienza dell’operatore ma deve essere anche la rinuncia dell’operatore che nega o sottostima la competenza che l’utente ha di sè stesso e dei suoi bisogni. La competenza quindi deve essere vissuta reciproca nel rapporto medico-paziente.

In concreto allora il problema è come distinguere un’informazione, seria e meritevole di essere accettata come indicazione per assumere decisioni, da altre informazioni che non hanno un valore scientifico accettabile se non addirittura sono delle false informazioni diffuse per scopi non nobili. Quante proposte allora di diete, di terapie varie, di pseudo farmaci devono essere contrastati senza il pericolo di ricadere nell’arroganza autoritaria? Si dovrebbero individuare gli elementi necessari perché una affermazione possa ritenersi degna di rispetto; tra questi sicuramente il primo è la disponibilità al confronto con la comunità scientifica, confronto non necessariamente rispettoso delle procedure ufficiali come ad esempio la pubblicazione su riviste con Impact Factor. Il rifiuto al confronto è comunque un elemento che toglie ad una affermazione il suo valore. 

Il problema della competenza comporta due situazioni: la necessità della sua eventuale certificazione e la possibilità dell’obbligatorietà delle sue decisioni. Per alcune procedure è sicuramente necessario che possano essere consentite solo a chi è stato certificato come competente; non potrebbe infatti essere consentito a chiunque di fare un intervento di chirurgia al cuore! In altri casi però l’obbligatorietà della certificazione è solo un modo per difendere gli interessi corporativi.

Il problema della facoltà di emanare delle obbligatorietà è qualcosa di molto più delicato e che comporta diverse riflessioni di democraticità. Più è carente il rispetto dell’autorevolezza della competenza, più nasce talvolta la necessità o la tentazione di emanare norme obbligatorie.

Ed allora una domanda conclusiva: le posizioni ad esempio dei “no vax” nascono da convinzioni scientifiche critiche meritevoli di rispetto e di attenzione o da una perdita di autorevolezza del servizio sanitario che troppe volte ha difeso solo le proprie prerogative corporative o anche da una mancanza di rispetto delle reali competenze dovuta ad una falsa opinione di essere tutti capaci di decidere da soli magari navigando in internet?

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