Riassunto

Due recenti articoli apparsi sul quotidiano Le Monde hanno aperto il dibattito sul tema dei conflitti d’interesse, facendo specifico riferimento al caso di un epidemiologo italiano candidato alla direzione di un istituto pubblico francese. La tematica può essere affrontata – e in tal modo è discussa – dal punto di vista del ruolo sociale dei ricercatori, in particolare degli epidemiologi. Gli epidemiologi che ricoprono ruoli chiave all’interno di istituti pubblici, la cui missione non è soltanto quella di fare ricerca, ma anche di incanalare i risultati ottenuti nelle procedure di decisione di salute pubblica, sono paragonabili a clinici spesso coinvolti nelle ricerche. Il loro ruolo sociale e ciò che ci si aspetta da loro è che orientino le ricerche e interpretino le inevitabili incertezze dei risultati in modo da massimizzare i benefici e minimizzare i rischi per la salute della popolazione.
Essendo coinvolti, direttamente o indirettamente, in decisioni pratiche a livello clinico o di salute pubblica, non possono rimanere “neutrali” nei confronti della salute, come un ricercatore può fare. Tale punto di vista è particolarmente rilevante per la dottrina che sostiene che i falsi positivi sono oggi il problema metodologico dominante in epidemiologia e, di conseguenza, evitare le decisioni basate su possibili falsi positivi è la priorità in tutte le circostanze. Di fatto a seconda delle circostanze specifiche ciò può rivelarsi contrario al principio di massimizzare i benefici e minimizzare i rischi per la salute della popolazione. La “dottrina dei falsi positivi” è quindi erronea per gli epidemiologi che lavorano in istituzioni pubbliche con responsabilità di tradurre la ricerca in azione.

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Abstract

Two recent articles in the French daily Le Monde raised the issue of conflicts of interest with specific reference to the case of an Italian epidemiologist nominated for a key position in a French public institution. The issue can be seen – and is here discussed – from the angle of the social role of scientists, in particular epidemiologists. The viewpoint developed is that epidemiologists having key responsibilities in public institutions, whose mission is not only to carry research but to channel its results into the process of public health decisions, are akin practicing clinicians who are also involved in research. Their social role, and what the public expect of them, is to orient their research and interpret the unavoidable uncertainties of the results in a way that maximizes benefits and minimizes risks to peoplÈs health. Being directly or indirectly involved in practical decisions at clinical or public health levels, they cannot be “neutral” in respect to health, as a researcher could be. This viewpoint is particularly relevant in respect to the doctrine maintaining that false positive results are today the dominant methodological issue in epidemiology and consequently avoidance of decisions based on possibly false positive results is the top priority in all circumstances. In fact, depending on the specific circumstances, this may turn out contrary to the principle of maximizing benefits and minimizing risks to peoplÈs health, hence the “doctrine of false positives” is erroneous for epidemiologists working in public institutions with responsibilities for translating research into actions.

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