Epidemiologia&Prevenzione 2014, 38 (2) marzo-aprile

Epidemiologia, «liaisons dangereuses» e sanità pubblica

Rodolfo Saracci

Due recenti articoli apparsi sul quotidiano Le Monde hanno aperto il dibattito sul tema dei conflitti d’interesse, facendo specifico riferimento al caso di un epidemiologo italiano candidato alla direzione di un istituto pubblico francese. La tematica può essere affrontata – e in tal modo è discussa – dal punto di vista del ruolo sociale dei ricercatori, in particolare degli epidemiologi. Gli epidemiologi che ricoprono ruoli chiave all’interno di istituti pubblici, la cui missione non è soltanto quella di fare ricerca, ma anche di incanalare i risultati ottenuti nelle procedure di decisione di salute pubblica, sono paragonabili a clinici spesso coinvolti nelle ricerche. Il loro ruolo sociale e ciò che ci si aspetta da loro è che orientino le ricerche e interpretino le inevitabili incertezze dei risultati in modo da massimizzare i benefici e minimizzare i rischi per la salute della popolazione.
Essendo coinvolti, direttamente o indirettamente, in decisioni pratiche a livello clinico o di salute pubblica, non possono rimanere “neutrali” nei confronti della salute, come un ricercatore può fare. Tale punto di vista è particolarmente rilevante per la dottrina che sostiene che i falsi positivi sono oggi il problema metodologico dominante in epidemiologia e, di conseguenza, evitare le decisioni basate su possibili falsi positivi è la priorità in tutte le circostanze. Di fatto a seconda delle circostanze specifiche ciò può rivelarsi contrario al principio di massimizzare i benefici e minimizzare i rischi per la salute della popolazione. La “dottrina dei falsi positivi” è quindi erronea per gli epidemiologi che lavorano in istituzioni pubbliche con responsabilità di tradurre la ricerca in azione.


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