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E&P 2019, 43 (2-3) marzo-giugno, p. 199-200
DOI: https://doi.org/10.19191/EP19.2-3.P199.060
Malattie Trasmissibili
Intervenire dove è possibile può non essere sufficiente, ma è necessario
Immunocompromised children: to intervene where possible may not be sufficient, but it is necessary
Riassunto
- Le persone con risposte immunitarie alterate sono un target prioritario del programma di vaccinazione, perché hanno maggior rischio di sviluppare complicanze se contraggono malattie infettive.
- Per i bambini con problemi di immunodepressione esistono numerose fonti di infezione, ma le probabilità di contagio da coetanei sono massime.
- L’adesione al programma nazionale di vaccinazione riduce i rischi di acquisizione di infezioni prevenibili per i bambini da proteggere.
- Gli interventi di prevenzione di diverse patologie non sono tra loro alternativi.
La valutazione del rischio da esposizione scolastica per i bambini immunodepressi in condizioni di copertura vaccinale sub-ottimale nella popolazione di coetanei continua a essere tema di attualità e a suscitare qualche distinguo, anche tra gli addetti ai lavori. Sembra, perciò, utile fare il punto della situazione, richiamando le motivazioni scientifiche che hanno indotto ad assumere le decisioni alla base dell’attuale normativa. Andrebbe premesso che i bambini classificabili genericamente come “immunodepressi” non sono tutti uguali, perché la loro condizione può essere dovuta a cause molto diverse tra loro, può essere temporanea e può non ledere completamente la loro capacità di essere immunocompetenti. Comunque, dato che proprio questi bambini sono a maggior rischio di complicanze nel caso in cui acquisiscano un’infezione prevenibile con la vaccinazione, gli immunodepressi sono un target specifico delle vaccinazioni. I vaccini a virus vivi attenuati, che nel programma esteso italiano sono solo quelli contro morbillo, rosolia, parotite e varicella, inducono l’immunità mediante un’infezione da virus attenuato e sono, quindi, controindicati in bambini con immunodepressione grave (vedi Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente 2017-2019). In questi rari casi, la riduzione del rischio viene perseguita in modo indiretto circondando il più possibile il bambino, che non può essere vaccinato, da persone immuni all’infezione. Tuttavia, il problema della riduzione del rischio di esposizione da infezioni prevenibili con vaccinazione, per i bambini con problemi immunitari, si pone per tutte le infezioni (e non solo per MPRV), perché, anche se vaccinati, i bambini immunodepressi potrebbero avere risposte immunologiche sub-ottimali a qualsiasi vaccinazione e non essere adeguatamente protetti. Quanto è importante vaccinare tutti i bambini che vanno a scuola? Studi condotti anche in Italia1 hanno permesso di ricostruire le matrici di contatto tra le persone di diverse classi di età, fornendo alcuni parametri necessari a modellizzare la diffusione di infezioni a trasmissione diretta inter-umana in diversi contesti sociali. I risultati hanno dimostrato che, in tutti gli otto Paesi europei studiati, i contatti più efficienti per il contagio si verificano tra i giovani, per esempio, in Olanda tra i 5 e i 9 anni e in Italia tra i 5 e i 19 anni. Le probabilità maggiori di contatto sono registrate tra coetanei e in ambito scolastico. Invece, fuori da questo contesto i contatti efficienti sono molto più dispersi e meno probabili. La vaccinazione dei bambini che frequentano la scuola ha, quindi, il fondamento scientifico di rallentare la propagazione di infezioni prevenibili nel contesto dove queste sono più probabili e dove si possono accumulare più soggetti suscettibili perché giovani.
È intuitivo il fatto che i soggetti definiti come immunodepressi possono avere molte altre fonti di esposizione a infezioni pericolose, oltre a quelle da compagni di scuola, e nelle diverse vaccinazioni in uso possono essere presenti quote, anche non trascurabili, di soggetti suscettibili in diverse fasce di età della popolazione generale. In alcuni casi, i suscettibili sono tali perché lasciati indietro da politiche estemporanee di prevenzione primaria, non omogenee nelle varie aree geografiche dell’Italia e non costanti nel tempo. Programmi di vaccinazione “variabili nel tempo” (sia per tipologia di offerta sia per intensità e copertura di popolazione raggiunta) provocano l’accumularsi di suscettibili che successivamente sostengono la circolazione di malattie altrimenti eliminabili. Questo è il caso del morbillo, per il quale per sapere chi rappresenta il serbatoio di suscettibili che sostiene la circolazione della malattia in Italia basta osservare che l’età mediana dei 2.526 casi di morbillo (di cui il 90% non vaccinati) notificati in Italia nel 2018 è di 25 anni.2 E ovviamente è lo stesso per la rosolia, la cui vaccinazione è ormai da molti anni accoppiata al morbillo, per la quale l’indicatore epidemiologico più adeguato non è la mortalità, ma le interruzioni volontarie di gravidanza per infezione rubeolica e i casi di rosolia congenita tra i nuovi nati. Oltre a coperture vaccinali sub-ottimali, la presenza di suscettibili può essere attribuibile anche ad alcuni vaccini che non mantengono il grado di protezione stellare intorno al 95% a cui siamo stati abituati dai primi prodotti. Questo sembra essere il caso di alcuni vaccini contro la parotite. Tuttavia, la proposta di mantenere una libera circolazione del virus della parotite per creare immunità naturale nella popolazione generale e così proteggere gli immunodepressi è paradossale, dato che ci sarebbero molte più occasioni di contagio anche per questi ultimi.
Per la varicella, la situazione è più complessa, data l’elevata contagiosità del virus e l’infezione latente che rimane nel sistema nervoso degli infetti. Da studi di sieroprevalenza in epoca pre-vaccinale si stima che, in assenza di vaccinazione, ogni anno il numero di casi di varicella sia pari al totale dei nuovi nati nell’anno. Modelli matematici applicati anche alla situazione italiana3 hanno indicato che, per una tale forza di infezione, il controllo della malattia può essere raggiunto solo con elevatissime proporzioni di immunizzati e coperture sub-ottimali possono avere come effetto solo lo spostamento in avanti dell’età di massima incidenza, come è successo per il morbillo. Che la vaccinazione pediatrica estesa incrementi il rischio di Herpes zoster, per l’assenza di esposizioni naturali, è un problema teorico che non ha trovato conferma anche in una recente metanalisi. In diversi studi inclusi, un incremento di incidenza di Herpes zoster era stato già riportato prima dell’introduzione della vaccinazione estesa contro la varicella (senza che se ne conoscano le cause). La significatività statistica di un aumento, osservato solo per un paio di fasce di età, è stata considerata dagli autori della metanalisi comunque poco rilevante in termini di popolazione generale, perché associata ad un aumento di 2 casi per 100.000.4 E comunque non è evidente l’attinenza dell’eventuale aumento di rischio di Herpes zoster con la protezione degli immunodepressi.
Il fatto che un bambino immunodepresso possa avere molteplici possibili fonti di esposizione, anche se con diversa probabilità, oltre ai contatti scolastici non ci evita di cercare di ridurre il rischio per quanto possibile. L’osservazione non mette in discussione l’attuale programma di immunizzazione, ma anzi indica la necessità di un allargamento dell’offerta di vaccinazione alle fonti di esposizione identificabili a priori per i piccoli pazienti immunodepressi: il personale scolastico, i familiari conviventi, il personale sanitario che li ha in cura. Nel 2018, sono stati segnalati 115 casi di morbillo tra operatori sanitari, con un’età mediana di 35 anni, e in alcuni casi la malattia si è diffusa facilmente nell’ambito ospedaliero. Sembra sensato richiedere di essere vaccinato a chi si occupa di bambini a rischio.
È certamente vero che esistono diverse potenziali fonti di infezione, ma è anche vero che è prioritario ridurre il rischio dove si può. È un’azione necessaria, ma certamente non sufficiente.
Sono numerosi gli interventi di prevenzione primaria importanti almeno tanto quanto le vaccinazioni. La prevenzione primaria delle malattie cronico-degenerative è stata, infatti, il focus del Piano nazionale di prevenzione, concluso nel 2018 (a proposito, che risultati sono stati ottenuti dalle singole Regioni?). Sempre in tema di protezione degli immunodepressi dalle infezioni, per l’antibiotico-resistenza andrebbe ricordato che la vaccinazione viene identificata come uno degli strumenti per ridurre l’uso di antibiotici e il relativo effetto indesiderato di selezione di ceppi resistenti.5
Le disposizioni vigenti in tema di vaccinazione non sono da contrapporre ad altre azioni di prevenzione come se vi fosse un problema di scelte mutuamente esclusive (di che malanno preferiamo ammalarci?).
Il programma di vaccinazione necessita di coerenza e solidità sul lungo periodo per essere riconosciuto come affidabile e produrre i risultati di salute che si prefigge. La coerenza richiede di evitare continui cambi di rotta e di approccio del programma, che ne danno un’indesiderabile immagine di estemporaneità, e la solidità richiede un robusto sistema organizzativo, anche in termini di personale e professionalità coinvolte che, in modo coordinato, mirano agli stessi obiettivi e sono in grado di indicarli anche alla popolazione generale.
Sembra appropriato ricordare che, quarant’anni fa, quando nel 1979 l’Organizzazione mondiale della sanità annunciò ufficialmente l’eradicazione completa del vaiolo, il direttore generale dell’epoca, Halfdan Mahler, definì l’eradicazione «un trionfo dell’organizzazione e della gestione sanitaria, non della medicina». Nel 2019 in Italia siamo ancora alle prese con il morbillo…
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibbliografia
- Mossong J, Hens N, Jit M et al. Social contacts and mixing patterns relevant to the spread of infectious diseases. PLoS Med 2008;5(3):e74.
- Istituto Superiore di Sanità. Morbillo & Rosolia News. Rapporto n. 48. Gennaio 2019. Disponibile all’indirizzo: https://www.epicentro.iss.it/morbillo/bollettino/RM_News_2018_48%20def.pdf
- Salmaso S, Scalia Tomba G, Mandolini D, Esposito N. Valutazione del potenziale impatto in Italia di programmi estesi di vaccinazione antivaricella secondo un modello matematico. Epidemiol Prev 2003;27(3):154-60.
- Harder T, Siedler A. Systematic review and meta-analysis of chickenpox vaccination and risk of herpes zoster: a quantitative view on the “exogenous boosting hypothesis”. Clin Infect Dis 2017. doi: 10.1093/cid/ciy1099
- Bloom DE, Black S, Salisbury D, Rappuoli R. Antimicrobial resistance and the role of vaccines. Proc Natl Acad Sci U S A 2018;115(51):12868-71.
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1.
Bambini immunodepressi:
Bambini immunodepressi: intervenire dove è possibile, mantenendo il senso delle proporzioni e un bilanciamento degli effetti complessivi a livello di comunità
Salmaso riporta le motivazioni scientifiche che avrebbero portato all’attuale normativa e ricorda che le vaccinazioni contro morbillo, rosolia, parotite e varicella sono controindicate nei rari casi di bambini con immunodepressione grave. Dato che i contatti più efficienti per il contagio si verificano tra i giovani (in Italia tra i 5 e i 19 anni, in ambito scolastico e/o coetanei), la riduzione del rischio si persegue circondando il più possibile il soggetto immunodepresso con persone immuni.
Formuliamo nel merito alcune osservazioni.
1) Anzitutto è utile quantificare il rischio. L’ISTAT mostra che nei 14 anni dal 1985 al 1998, precedenti l’introduzione della vaccinazione MPR universale (1999), quando i tassi di copertura erano bassi anche per morbillo, i morti annui sono stati in media 6,9 per morbillo (solo ~metà in età pediatrica), e 0,9 sia per parotite sia per rosolia (in questi casi solo 0,3/anno in età pediatrica).
È giusto impegnarsi per evitare anche questi, che verosimilmente gravavano in misura maggiore su immunodepressi, ma è legittima la richiesta di poter discutere in modo pacato su come mirare bene le strategie d’implementazione vaccinale, senza paventare ecatombi, che anche allora non c’erano.
Rispetto a questi morti quando la maggioranza dei bambini non si vaccinava per MPR, i morti che ancor oggi si verificano ogni anno in Italia secondo fonti ufficiali (v. riferimenti in Pillole di educazione sanitaria n. 143/2019, Ed. Fondazione Allineare Sanità e Salute), in gran parte evitabili con interventi dei diretti interessati, purché il SSN desse informazioni e supporto adeguato, sono:
- 10.000 volte di più per fumo, e altrettanti in più per inattività fisica
- 8.000 volte di più perché non si arriva al consumo ottimale di frutta secca oleosa (20-25 g/die), e
almeno altrettanti per mancato consumo di cereali integrali
- 4.000 volte di più perché non si arriva a 500 g/die di frutta+verdura
- 1.200 volte di più per uso improprio di antibiotici
- 400 volte di più per incidenti stradali ecc. (riferimenti disponibili a richiesta).
Certo, dietro i 6,9 morti/anno di morbillo, 0,9 di parotite, ecc. degli anni prima delle relative vaccinazioni di massa c’erano molti più casi di malattie e disabilità residue, ma anche i morti per ognuna delle cause più sopra elencate sono punte di iceberg, dietro a tutti c’è un numero ben maggiore di malati cronici e disabilità permanenti.
2) Inoltre, è pur vero che “(Salmaso) i contatti più efficienti per il contagio si verificano... tra coetanei e in ambito scolastico”, ma ci sono altre occasioni importanti, sempre in ambito scolastico (maestre/i bidelle/i... v. punto 3 del nostro articolo a pp. 194-98), scolastico/sanitario (medici e infermieri, compresi pediatri e infermieri pediatrici, p. 4 del ns articolo), familiare (genitori, nonni, parenti, baby sitter e badanti, amici che frequentano la casa..., p. 5 ns articolo. A proposito, perché, data l’attualità del tema, non lasciarlo ad accesso libero, così da ampliare la platea dei lettori?).
Il p. 6 del ns articolo riporta che, ad es. per il morbillo, indagini sierologiche nella Repubblica Ceca mostrano che ben il 33% dei 30-39enni è del tutto scoperto (nei 18-29enni è scoperto il 15,5%), per verosimile declino dell’immunità vaccinale, e un altro 5,4% ha protezione borderline. Non c’è motivo di pensare che l’Italia si trovi in situazione molto diversa, ed è ragionevole aspettarsi che anche da noi circa un genitore su tre (di 30-39 anni) sia privo di protezione antimorbillo. La situazione per la varicella è certo peggiore (v. punto 9 del ns articolo), per non parlare della parotite (v. punto 9 del ns articolo), dove la protezione declina del ~10% ogni anno dopo la 2a dose, e gli effetti a medio termine di una vaccinazione universale con un vaccino così imperfetto sono ancora da verificare...). Non parliamo della pertosse, dove le maggiori fonti di contagio per i bimbi vulnerabili sotto l’anno sono proprio i genitori (Donzelli A et al. Epidemiol Prev 2019; 43 (1):83-91).
3) “(Salmaso) Anche se non vaccinati, i bambini immunodepressi potrebbero avere risposte immunologiche sub ottimali a qualsiasi vaccinazione...”
Questa frase sembra introdurre l’argomento che, anche per tutte le altre vaccinazioni (attuali, future...) sia importante circondare gli immunodepressi di persone immunizzate. Fatte salve considerazioni già fatte al punto precedente (e ricordando a chi rifiuta anche minimi rischi, che alcuni vaccinati con antimorbillosa ne albergano i virus per mesi nel tratto respiratorio), può essere importante valutare le priorità protettive, anziché concentrarsi solo sull’immunizzazione dei contatti. Ad es., dei 90.000 morti anno da fumo, le stime sono dai 1000 a max 5.000 da fumo passivo (grazie alla Legge Sirchia, perché nel mondo la percentuale di morti da fumo passivo sul totale dei morti da fumo è assai maggiore, secondo l’OMS), e tali numeri possono includere in misura sproporzionata proprio gli immunodepressi. Quanti di loro hanno un genitore o comunque un familiare fumatore, dato che, dal 3° Report Gyts, 1 ragazzo su 2 dichiara di essere esposto a casa al fumo passivo? Quanti sono fumatori essi stessi, considerando che in Italia dai 13 ai 15 anni 1 adolescente su 5 fuma ogni giorno sigarette (oltre a chi svapa con nicotina)? Quanti poi nel cortile della scuola, oltre a incrociare l’alunno non vaccinato della classe vicina sono esposti al fumo passivo di insegnanti (il 14% dei quali fuma nella scuola, 45% nelle pertinenze esterne), bidelli/e, compagni/e? Quanti dei loro genitori li educano a consumare 20 g/die di noci, a mangiare solo cereali integrali, le 5 porzioni/die di frutta/verdura, gli proibiscono bibite zuccherate e carni lavorate, e si assicurano che svolgano una moderata e regolare attività fisica? Quanti vigilano sempre che in famiglia non vi sia uso inappropriato di antibiotici che trasmettono resistenze? Cioè, quanti (istruiti in modo opportuno ed efficace da epidemiologi e igienisti) si preoccupano di adottare i provvedimenti che pesano per la salute dei figli immunodepressi migliaia di volte più delle suddette vaccinazioni?
Se oltre a concentrarsi solo sui vaccini si ragionasse anche d’altro, vi sarebbero anche ulteriori misure a basso costo da adottare. Per restare alle scuole, perché non prevedere almeno un lavandino con comando di erogazione d’acqua non manuale (a gomito, ginocchio, pulsante a terra, fotocellula...), ad uso degli immunodepressi, che possano lavarsi le mani prima della refezione senza riprendersi, chiudendo il rubinetto, tracce fecali e germi (batteri e virus enterici, o respiratori...) di chi ha usato i servizi prima di loro e le ha depositate chiudendo il rubinetto?
4) Salmaso conclude: “Gli interventi di prevenzione di diverse patologie non sono tra loro alternativi”.
In teoria no, in pratica invece è così. Basti pensare alle risorse di tempo di operatori, oltre che economiche e finanziarie, che la sanità Italiana (ed Europea) sta dedicando per aumentare di qualche punto percentuale le famose “coperture vaccinali” (scambiando questo risultato, di efficacia mitizzata per molte infezioni, con un’impennata di sfiducia nella sicurezza dei vaccini, passata in un campione rappresentativo di Italiani dal 10,5% del Rapporto EU 2018 al 46% dello Special Eurobarometer 488/2019, che chiarisce anche, a sorpresa, che solo in minima misura tale sfiducia è dovuta ai social e ad altri siti internet).
L’ammontare di risorse e impegno per vaccinare/indurre a vaccinarsi non è paragonabile a quello investito per la disassuefazione dal fumo, per offrire gratis i presidi efficaci (farmaci e sigarette elettroniche) SE all’interno di un programma strutturato di cessazione dal fumo, per incentivare i medici di famiglia a prescrivere su ricetta l’attività fisica, o a prescrivere di mangiare cereali integrali, ecc., anziché incentivare i MMG nel “governo clinico” quasi solo per vaccinare (o per avviare a screening tumorali) ...
Del resto, l’economia sanitaria ha le sue leggi, e l’analisi costo-opportunità ne è un fondamento: se la giornata lavorativa è troppo impegnata a vaccinare, screenare, prescrivere procedure diagnostiche e monitorare terapie farmacologiche, resta meno tempo per fare counselling antifumo (400 €/QALY, NICE), per negoziare e prescrivere un’attività fisica salutare (100 €/QALY, NICE), per (apprendere ed) educare ad alimentarsi in modo salutare ed ecologicamente compatibile, per spiegare quando gli antibiotici non servono e per far assimilare le regole igieniche fondamentali...
5) Infine, merita una riflessione quanto riportato dal Bollettino dell’Osservatorio Epidemiologico della Regione Puglia ottobre-dicembre 2018, che per gli effetti avversi delle vaccinazioni ha affiancato alla sorveglianza passiva corrente una sorveglianza attiva (l’unica attendibile, che andrebbe progettata su campioni rappresentativi della popolazione). Tra i clamorosi risultati, gli effetti avversi gravi validati come correlabili al vaccino MPRV (spesso associato anche all’antiepatite A) sono stati il 29,31/1000 dosi, dunque quasi il 3% e apparentemente 977 volte più frequenti degli effetti avversi gravi correlabili registrati nella stessa Regione con la sorveglianza passiva, che sono stati lo 0,03/1000 dosi.
Certo a chi si limiti a leggere la Prefazione al trimestrale da parte del Direttore del competente Dipartimento quanto sopra può sfuggire, dato che il suo “take home message” è “possiamo confermare che i vaccini sono sicuri...” [segnaliamo per altro che un intervento di sorveglianza attiva degli eventi avversi associati alla vaccinazione MPRV attuato nella Regione Veneto nel 2013-‘14, pur rilevando che sono molto frequenti (nel 62,7% dei vaccinati) ha mostrato che quelli seri lo sono meno: es. solo il 3,9-4,7% febbre ≥39,5° misurati all’ascella e solo 0,18-0,19% di convulsioni, a seconda del modo di somministrazione del vaccino antivaricella].
Alberto Donzelli e Paolo Bellavite – 19-7-19
NB: dato che il formato del Commento non supporta gli iperlink con i riferimenti bibliografici, chi fosse interessato può richiederli agli autori.