Lo studio degli effetti sulla salute delle emissioni dell’inceneritore di Valmadrera (LC) pubblicato sullo scorso numero di E&P, la lettera del Coordinamento Lecchese Rifiuti Zero e la risposta degli autori hanno stimolato una riflessione più ampia sull’integrità della scienza che iniziamo qui con un articolo di Mariachiara Tallacchini e continuerà sulle pagine del sito di E&P.

Scienza: se è rigorosa, è anche etica?

Malgrado un’incessante riflessione teorica sull’etica della scienza sia in atto da oltre mezzo secolo e nonostante l’emergere e il consolidarsi di articolate prospettive di etica pubblica e bioetica, la visione dell’ethos della scienza prevalente è tuttora l’agiografica rappresentazione prospettata alla metà del Novecento dal sociologo americano Robert Merton,1 secondo cui la scienza validamente costruita sul piano descrittivo è anche intrinsecamente inappuntabile dal punto di vista normativo, in quanto caratterizzata da:

  • universalità (carattere universale e aperto della ricerca scientifica);
  • comunalismo (condivisione del sapere e dei risultati tra gli scienziati);
  • natura disinteressata (naturale assenza di conflitti di interesse e virtuale assenza di pretese di proprietà intellettuale);
  • scetticismo organizzato (reciproca revisione tra pari dei lavori scientifici).

L’insieme di questi elementi esprime una modalità della ricerca scientifica non solo descrittiva e fattuale, ma anche valoriale: ciò che gli scienziati fanno corrisponde per definizione anche alle migliori condotte etiche.

Una visione che offusca la vista

Questa visione dell’ethos della scienza, che continua a esprimere la prospettiva più tradizionale del suo operare, non ha favorito lo sviluppo della capacità degli scienziati di percepire e analizzare le componenti valutative intrinseche al discorso scientifico. Del resto, non è prevista una formazione che insegni ai ricercatori a cogliere gli elementi eticamente sensibili del proprio lavoro paragonabile alla preparazione scientifica finalizzata a insegnare l’analisi di dati e modelli; ne consegue, in primo luogo, che gli aspetti etici della ricerca continuino sovente a essere considerati solo come “conseguenze applicative” della scienza, e non come “valori epistemici”, cioè dimensioni intrinseche alla validità del pensiero scientifico; e che tali aspetti, quand'anche studiati, non diventino parte integrante della formazione scientifica.

Nonostante i passi avanti compiuti fin qui e nonostante il generale riconoscimento che “la scienza non è neutrale”, metodi, processi e risultati scientifici sono ancora considerati immuni da valori e giudizi: questi ultimi vengono semmai ravvisati nelle (cattive) applicazioni della scienza e soprattutto della tecnologia. Si fa ancora fatica a riconoscere concretamente giudizi e valori dentro alla costruzione della scienza. Ancora oggi, se uno scienziato è sminuito dal non aver correttamente visto e interpretato “dati scientifici”, lo stesso non vale per le mancanze, spesso involontarie e non percepite, nel trattamento dei “dati valoriali”.

Imparare a vedere i pregiudizi epistemici

Da svariati decenni la riflessione filosofico- e sociologico-scientifica ha dato evidenza e ha caratterizzato le diverse “assunzioni implicite” che entrano nell’elaborazione delle analisi scientifiche e che hanno anche natura etica. Già il filosofo della scienza Karl Popper aveva osservato (nel 1934 e 1959)2 che i fatti sono sempre carichi di uno sguardo teorico-interpretativo (value-laden) e non sono quindi mai del tutto neutrali e oggettivi. Gli studi successivi, e in particolare le fondamentali riflessioni di Helen Longino, hanno caratterizzato meglio i valori intrinseci alle teorie e alle procedure della scienza, precisando le diverse tipologie di assunzioni valoriali:3

  • Ci sono in primo luogo ciò che Longino chiama bias values nel lavoro scientifico, che riguardano le frodi, le omissioni intenzionali o l’uso scorretto di dati intenzionale e/o generato da conflitti di interesse. Tali deviazioni dalle corrette condotte scientifiche inficiano radicalmente la qualità di una ricerca e devono essere eliminate.
  • Ci sono poi i valori contestuali (contextual values), che si riferiscono a valori e preferenze personali, sociali e culturali che, forse in modo meno evidente ma pur sempre pervasivo, orientano ideologicamente un giudizio. Un esempio di ciò si è avuto anni fa nella disputa sulle cellule staminali embrionali, in cui i sostenitori del loro utilizzo argomentavano a favore delle più ampie potenzialità di differenziazione rispetto alle cellule adulte, mentre gli oppositori puntavano sui potenziali rischi di sviluppo di cellule tumorali: in entrambi i casi una scelta anche valoriale veniva argomentata come meramente fattuale. Questi orientamenti valoriali personali non necessariamente devono essere eliminati – laddove essi non pregiudichino la qualità della ricerca –, ma devono quanto meno essere dichiarati esplicitamente.
  • Infine, i constitutive o methodological values consistono nelle specifiche assunzioni e scelte teoriche o metodologiche che “appartengono” alla formazione di un ricercatore e che orientano il suo lavoro scientifico. «La raccolta di dati», ha commentato in proposito la sociologa americana Kristin Shrader-Frechette, «comporta un giudizio carico di valori costitutivi, perché si devono fare assunzioni valutative su quali valori raccogliere e quali ignorare, e su come interpretare i dati evitando spiegazioni erronee».4 Queste valutazioni entrano in gioco anche in ambiti apparentemente meno sensibili a influenze soggettive, come per esempio la determinazione del p-value quale parametro cruciale per valutare la significatività statistica.5 Anche queste scelte, che sono costitutive dell’orientamento scientifico di un ricercatore, potrebbero comunque essere segnalate e argomentate, perché, nel rendere esplicite e condivise le ragioni a favore dell’adozione di un certo metodo – e forse anche la consapevolezza dei suoi limiti –, esse possono generare un dialogo scientifico collettivamente utile a rafforzare o indebolire specifiche scelte metodologiche.  

Integrità della scienza

Questo insieme di riflessioni e sensibilità in cui scienza ed etica si intrecciano e si costituiscono in un rapporto di reciprocità sta favorendo una diversa educazione e cultura, che sempre più viene indicata come “integrità della scienza”. 

Da oltre un decennio, infatti, si è cominciato a prestare attenzione al tema dell’integrità della scienza non solo a livello individuale, ma anche istituzionale ed educativo.6,7 Il termine “integrità” allude proprio al fatto che la scienza valida è la scienza che incorpora al tempo stesso i fatti e i valori della conoscenza ben fatta, credibile e trasparente. Si tratta di passare da una scienza che si autodefinisce “valida” tout court a una scienza che passa attraverso processi di “validazione” che rendono visibili e controllabili i molti passaggi che una “scienza robusta”8 richiede. 

Questa prospettiva, che salda in un collegamento unitario individui e istituzioni, enti privati e pubblici, attività a fini di lucro o finanziate con denaro pubblico, pensa la competenza epistemica ed etica non come il puro assolvimento di doveri di non conflitto di interessi e osservanza delle norme, ma come una più generale trasparenza nella percezione e comunicazione di tutti gli elementi value sensitive. Segnalare la presenza ubiqua di tali elementi non equivale a vedere conflitti di interesse ovunque e quindi a svuotare di significato la nozione medesima – come è stato peraltro sostenuto anche su questa rivista9 – ma a sviluppare un’attenzione costante ad aprire tutte le possibili scatole nere di fatti e valori di cui è disseminata la costruzione del lavoro scientifico. 

Ben lungi da un’etica con il dito accusatorio puntato contro qualcuno, questa cultura coltiva ed elicita capacità epistemicamente e valutativamente raffinate nel modo di fare scienza. E tutto ciò è particolarmente rilevante quando le conoscenze coinvolte devono informare le scelte pubbliche in tema di salute collettiva. 
Le modalità di realizzazione di questa trasparenza procedurale, al tempo stesso epistemica ed etica, non sono già completamente delineate, ma costituiscono un’attività in pieno sviluppo a cui ci viene chiesto di contribuire: vanno studiate e messe a punto caso per caso.

Aprire tutte le scatole nere

Le riviste scientifiche obbligano a dichiarare i conflitti di interesse dei singoli autori di una ricerca, ma non c’è un obbligo altrettanto stringente (spesso solo un invito) a raccontare il contesto più generale che include la dichiarazione sui finanziamenti ricevuti dagli enti per cui si lavora, che ricostruisca per i lettori i rapporti tra i committenti, i consulenti, le istituzioni.

A volte anche i ricercatori più attenti tendono a sentirsi esonerati da riflessioni  più accurate sull’etica, in particolare quando lavorano nel settore pubblico o per un’istituzione accademica. 

Nel caso che ha sollecitato questa riflessione (inceneritore di Valmadrera), per esempio, è sufficiente che gli autori dichiarino di avere in corso un contratto di collaborazione con l’Università di Torino? È superfluo specificare che il committente ha versato una grande somma di denaro all’università per attuare lo studio e che il committente è una SpA che gestisce l’impianto di incenerimento con scopi di lucro (una SpA non è un gruppo di lavoro a favore dei sindaci del territorio né un’associazione no-profit)? Anche se si risponde positivamente a questo quesito, si deve però subito precisare che la prospettiva da adottare deve essere più ampia. La ricerca odierna, infatti, non può riposare su “pregiudizi del second’ordine”, vale a dire “pregiudizi su pregiudizi” (solo il settore privato, e non quello pubblico, deve essere oggetto di attento scrutinio). La maggiore integrità delle istituzioni pubbliche rispetto a quelle private non solo non può essere presunta, ma dovrebbe acquisire lo status di evidenza. In ogni caso, i conflitti di interesse rappresentano solo uno dei problemi. La prospettiva più ampia consiste nell’accettare la sfida della complessità, che esige che ogni situazione vada osservata nella sua realtà: solo l’attenzione costante a ogni passaggio può contribuire alla costruzione di un’architettura della fiducia nei rapporti tra ricercatori, istituzioni e cittadini. 

Ripensare l’architettura delle istituzioni che producono scienza per scelte pubbliche

La prospettiva che qui si sta proponendo, proprio perché è anche istituzionale e non solo individuale, ci porta alle soglie di un tema apparentemente distante dall’etica della ricerca da cui abbiamo cominciato. 
Si tratta del modo in cui oggi si riflette a come devono essere costruite le strutture istituzionali volte alla produzione di conoscenza scientifica e alle garanzie che devono circondare i processi di validazione della scienza destinata a informare le scelte pubbliche. Questo tema corrisponde a un settore di studi ormai noto e diffuso, cui ci si riferisce con l’espressione Scientific Advisory Systems, i sistemi di elaborazione della consulenza scientifica istituzionale.10 Mentre altri ordinamenti europei e d’oltreoceano hanno dedicato, anche recentemente, profonde riflessioni e revisioni per esprimere al meglio la credibilità delle istituzioni per la scienza volta alla policy,11 le istituzioni italiane mancano ancora di una visione adeguata12 anche a livello delle norme costituzionali. Se, infatti, il testo della Costituzione italiana si sofferma essenzialmente sulla libertà di ricerca e le modalità per la sua tutela, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha certamente ribadito il valore fondamentale della conoscenza scientifica anche come uno specifico limite per il legislatore, che non può arbitrariamente allontanarsi da essa. Questa forte difesa della scienza da parte dei giudici della Costituzione è stata definita da alcuni giuristi come una vera “riserva di scienza”,13 vale a dire un limite costituzionale al potere legislativo che si allontani dal dettato scientifico in modo non razionalmente giustificato. Tuttavia, la Corte non si è posta il problema di tutti gli enti che elaborano la scienza che informa le decisioni pubbliche come un potere da costruire secondo specifiche garanzie. A partire dalla sentenza Corte Cost. 19-26 giugno 2002, n. 282, infatti, la Corte Costituzionale ha affermato che la scienza valida è tout court espressa dall’autorità esclusiva e indiscussa degli enti ufficiali (nazionali e internazionali) incaricati di produrla, senza chiedersi come tali istituzioni sono state pensate, costruite, come operano e con quali garanzie.
Ma sui temi dei sistemi di scientific advice sarà forse interessante tornare in un prossimo intervento.

Intanto, invitiamo le lettrici e i lettori a mettere in comune esperienze, riflessioni e perplessità.

Conflitti d’interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia e note

  1. Merton RK. Science and Technology in a Democratic Order. Journal of Legal and Political Sociology 1942;1:115-26.
  2. Popper K. Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza. Torino, Einaudi, 1970 (ed. orig. 1934).
  3. Longino H. Science as Social Knowledge. Values and Objectivity in Scientific Inquiry. Princeton (NJ), Princeton University Press, 1990.
  4. Shrader-Frechette KS. Risk and Rationality. Philosophical Foundations for Populist Reforms. Berkeley CA, University of California Press, 1991.
  5. Biggeri A. P-value: “Il re è morto, viva il re!”. Epidemiol Prev 2019;43(2-3):120-21.
  6. National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine. Fostering Integrity in Research. Washington, DC, The National Academies Press, 2017. Disponibile all’indirizzo: https://doi.org/10.17226/21896
  7. ALLEA - All European Academies. The European Code of Conduct for Research Integrity. Berlino, Brandenburg Academy of Sciences and Humanities, 2017.
  8. L’espressione robust science è di Nowotny H, Scott P, Gibbons M. Rethinking Science: Knowledge and the Public in an Age of Uncertainty. London, Polity Press, 2001.
  9. Traversa G, Venegoni M.  Conflitti di interesse ed ente pubblico: la distorsione e la regola. Epidemiol Prev 2018;42(2):105. La lettera risponde alla giusta riflessione di Emanuele Crocetti sulla necessità di dichiarare i conflitti di interesse anche da parte di chi lavora per un ente pubblico: Crocetti E. Perché il conflitto di interesse legato a un rapporto professionale con un ente pubblico non viene dichiarato? Epidemiol Prev 2018;42(2):104-5.
  10. Per una rassegna: • Doubleday R, Wilsdon J. (eds). Future Directions for Scientific Advice in Europe. Cambridge, Centre for Science and Policy, 2013; • Wilsdon J, Doubleday R. (eds). Future Directions for Scientific Advice in Europe. Cambridge, Centre for Science and Policy, 2015.
  11. Per esempio, Government Office for Science. Code of Practice for Scientific Advisory. Committees and Councils: CoPSAC, Updated 14 December 2021. Disponibile all’indirizzo: https://www.gov.uk/government/ publications /scientific-advisory-committees-code-of-practice/ code-of-practice-for-scientific-advisory-committees-and-councils-copsac-2021 (ultimo accesso: 19.08.2022).
  12. Tavernaro A. La science policy mancante: il COVID-19 in Italia e il dialogo tra istituzioni, scienziati e cittadini. Epidemiol Prev 2021;45(6):456-59.
  13. Servetti D. Riserva di scienza e tutela della salute. Pisa, Pacini Giuridica, 2019.
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