Dai criteri di identificazione, così ridotti a 5, la consensus conference lascia deliberatamente fuori la scarsa qualità della peer review, pur riconoscendo anche questo tra i tratti spesso evidenti dei predatory journals. Il motivo dell’omissione risiede nell’impossibilità di valutarne l’adeguatezza se non basandosi esclusivamente su elementi soggettivi, data la diffusa carenza di trasparenza dei processi di revisione tra pari. Le 5 caratteristiche incluse nella definizione sono, invece, tutte passibili di riscontro oggettivo tramite elementi quali, per esempio, la presenza di informazioni false sul sito della rivista sulla composizione dell’editorial board o riguardo agli indici di impatto, l’assenza di licenze Creative Commons applicate agli articoli, la carenza di informazioni riguardo ai costi di pubblicazione o ancora l’invio indiscriminato di mail volte a sollecitare in maniera più o meno appropriata un contributo autoriale.18 

Chi pubblica su queste riviste?

Da una recente revisione sistematica19 – terzo consiglio di lettura – emerge come la pubblicazione su riviste predatorie sia una pratica diffusa in tutte le aree disciplinari e in aree geografiche non solo limitate ai Paesi in via di sviluppo. Coinvolge, inoltre, autori di ogni livello di esperienza (non solo alle prime armi)... Accedi per continuare la lettura

 

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